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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

L’ANNUNCIO A LEZIONE DI CHIMICA “MI SENTO FORTE E CORAGGIOSA CHE ONORE ESSERE LA PIÙ GIOVANE”

BIRMINGHAM
Stavolta la lezione di chimica è finita davvero con il botto. «All’improvviso è entrato in classe uno dei miei insegnanti, mi ha chiamato da parte e mi ha detto che aveva qualcosa di importante da comunicarmi», racconta qualche ora dopo la ragazza con il capo avvolto in un sari verde e oro, gli occhi che le brillano di emozione, la voce ferma e sicura ben più dei suoi 17 anni. «Ero certa che non sarebbe toccato a me e invece la prof ha detto: “Congratulazioni, hai vinto il Nobel per la Pace e lo condividi con un grande uomo che si batte come te per i diritti dei più giovani”. Non è facile esprimere quello che ho provato. È un grande onore, che mi rende più forte e più coraggiosa.
Tuttavia ho deciso di finire normalmente la mia giornata di scuola, sono andata alla lezione di fisica e poi a quella di inglese».
Del resto era questo il segnale che voleva dare quando nell’ottobre 2012 in una sperduta regione del Pakistan i Taliban le spararono un colpo in testa, per impedirle di studiare e chiudere la bocca alle sue denunce contro l’oscurantismo: l’istruzione è un diritto per tutti, anche per le femmine.
Ma se per lei il mondo era già radicalmente cambiato negli ultimi due anni, chiamata a parlare dal podio delle Nazioni Unite, ricevuta da Obama alla Casa Bianca e dalla regina Elisabetta a Buckingham Palace, autrice di un’autobiografia diventata un bestseller internazionale, dalle undici del mattino di ieri la terra ha cominciato a girare con una trottola sotto i piedi di Malala Yousafzai e si può scommettere che non si fermerà più.
«Sono felice di essere la donna, anzi la persona più giovane, a vincere questo premio», dice nella conferenza stampa organizzata dalla Edgbaston High School for Girls, la scuola privata di Birmingham (13 mila euro di retta l’anno, ma per lei c’è una borsa di studio) che frequenta da quando è stata curata nell’ospedale locale per la ferita che poteva ucciderla, mentre il padre, i fratelli e la sorella, le compagne di classe, le si stringono intorno a festeggiarla. «Sono fiera di essere la prima cittadina pachistana a riceverlo e di condividerlo con un cittadino indiano», Kailash Satyarthi, l’attivista per i diritti dei bambini con il quale ha subito parlato al telefono e con cui lavorerà presto su progetti comuni.
Due pacifisti di due paesi acerrimi rivali, un Nobel diviso a metà anche per avvicinare India e Pakistan, il sogno di Gandhi: e Malala invita il primo ministro indiano Modi e il pachistano Sharif alla cerimonia di premiazione ad Oslo, «perché credo fermamente nella pace e le buone relazioni sono importanti per il progresso di entrambi i paesi». Il riconoscimento a lei e Satyarthi viene già paragonato ad altri “Nobel per due”, quelli a Mandela e De Klerk, ad Arafat e Rabin (e Peres), con la speranza che abbia lo stesso effetto nel sub-continente asiatico.
«Dedico il Nobel a tutti i bambini che non hanno voce », soggiunge sul podio la ragazza con il sari, «perché non è un premio soltanto per me, ma per tutti i bambini che lottano per il diritto allo studio. Io ho fatto sentire la mia voce e scelto di rischiare la morte solo perché volevo andare a scuola, ricevere un’istruzione, avere diritto a un futuro». Ma con il Nobel il suo futuro, che già si prospettava diverso dopo il suo discorso all’Onu ed è gestito dalla Edelman, la più grande società di pubbliche relazioni al mondo, è destinato a cambiare ulteriormente. Lo ammette lei per prima: «Due anni fa sognavo di fare il medico, ora voglio diventare un politico, un buon politico».
Zara, una sua compagna di classe, pronostica che Malala diventerà presidente del Pakistan, altri la immaginano in un domani più lontano come segretario generale dell’Onu. Con tutti i grandi della terra che si congratulano con lei, e la consapevolezza di avere battuto il papa nella corsa al premio per la Pace, niente appare impossibile per la ragazzina con il sari che giusto due anni fa viaggiava su un bus in una remota valle del Pakistan e si prese una pallottola in testa dai Talebani. «Il mio mondo è cambiato, ma non sono cambiata io», scrive lei però nel libro di memorie, Io sono Malala.
Enrico Franceschini, la Repubblica 11/10/2014