Mario Deaglio, La Stampa 11/10/2014, 11 ottobre 2014
L’INCAPACITÀ DI CONTROLLARE LE EMERGENZE
Se riusciamo a guardare al di là delle, pur importanti, tempeste politiche di casa nostra siamo costretti a una constatazione amara e allarmata: il mondo è stato – ed è ancora – scosso da altre, e ben più dure bufere. Sotto il loro peso, la globalizzazione non solo non riesce a ritrovare il sorriso ma rischia di scomparire in un vortice caotico di irrazionalità.
Il primo elemento di questo vortice è un clamoroso errore degli enti che tengono sotto osservazione l’economia globale. «La marea della crescita sta salendo?» si chiedeva il titolo di gennaio della nota sull’economia mondiale del Fondo Monetario Internazionale (Fmi). E la risposta era un chiaro sì, l’atmosfera sembrava robustamente ottimista e lo rimaneva ad aprile pur venata di cautela che aumenta a luglio (con il titolo «La ripresa, irregolare, continua») E infine il «terremoto» di ottobre: nel rapporto di martedì scorso il Fmi cambia tono e intitola il suo rapporto «Eredità, nuvole, incertezze».
L’eredità è negativa, le nuvole sono tempestose, le incertezze molto consistenti: da gennaio a ottobre la stima della crescita mondiale si riduce di un decimo (dal 3,7 al 3,3 per cento), ma gran parte di questa riduzione è concentrata nell’eurozona, dove l’Italia, ultima della classe, è l’unica a passare a un segno negativo (da +0,6 per cento a -0,2 per cento).
Questi decimali sono poco significativi per i non addetti ai lavori, ma fanno la differenza tra maggiori e minori consumi, investimenti, occupazione, dicono che il vento è cambiato. Se ne accorgono subito le Borse che, pressoché ovunque nel mondo, perdono quota dai massimi settembrini, talora annullando i guadagni di un anno.
Nessuno mette in dubbio la professionalità degli esperti del Fmi che lavorano su modelli matematici le cui basi concettuali risalgono a 20-30 anni fa. Occorre quindi concludere che qualcosa è cambiato nella nostra economia sulla cui natura e portata sappiamo assai poco. In un sistema in cui «impresa» ormai solo talvolta significa «industria», nel quale i tre quarti della produzione è invisibile, consistendo di servizi quali salute, istruzione, trasporti, turismo, finanza, cultura e quant’altro, le decisioni si prendono con un click su un computer, un iPad o un telefonino. E’ come se dentro al meccanismo di queste decisioni ci fosse un virus imprevisto che modifica la dinamica di domanda e offerta secondo una dinamica che non conosciamo. La realtà ha così smesso di essere rassicurante, è divenuta scivolosa e illusoria, non dà quasi certezze per il trimestre o l’anno successivo.
Al virus dell’economia ha fatto da contrappunto in questi giorni, inserendosi di prepotenza sulla scena, il ben più concreto virus dell’Ebola. Lo si conosce da quasi quarant’anni, ma, nel clima economico-culturale del liberismo spinto, le case farmaceutiche non hanno mai avuto alcun incentivo a studiare un vaccino perché questo male sembrava stagnante in qualche remota, oltre che poverissima, area dell’Africa.
La sua improvvisa esplosione in buona parte di quel continente, e la sua comparsa in altre parti del pianeta, hanno quindi trovato impreparate le organizzazioni internazionali, passate in poche settimane da un tono rassicurante a un tono preoccupatissimo. Come per l’economia, dobbiamo registrare il brusco passaggio dalla sicurezza all’allarme, con provvedimenti che ci riportano alle epidemie preindustriali, con i progetti di usare gli stadi delle città africane come lazzaretti, il blocco dei voli e i controlli agli aeroporti che ricordano le chiusure delle città per il colera o la peste. E gli effetti sull’economia potrebbero essere gravissimi, distruggendo le prospettive di crescita di molti Paesi africani e facendo ancora scendere di qualche decimale le previsioni sul prodotto lordo mondiale.
Il cerchio sembra chiudersi ma purtroppo non è così. Un ulteriore segnale di incertezza proviene dalla politica internazionale, con le incredibili immagini dei carri armati turchi ordinatamente schierati a un tiro di voce dalla città curdo-siriana di Kobane a spiarne l’agonia, immagini che hanno alimentato la rivolta dei curdi della Turchia con una trentina di morti. Anche qui il «califfato» - una forza misteriosa, modernamente organizzata, sorta come dal nulla, quasi quanto l’Ebola e i malanni delle economie avanzate - mostra i fortissimi limiti delle nostre previsioni.
Intanto, dietro alle vicende di Kobane, il prezzo del greggio sta calando, grazie al ribasso deciso dall’Arabia Saudita cui si è accodato l’Iran per battere la concorrenza dello shale gas, il nuovo petrolio americano. Questo ribasso mette in difficoltà la Russia, vincitrice in Crimea, ma oggi perdente sul fronte valutario, impegnata nella costosa difesa di un rublo sceso a livelli minimi. Torniamo così alle agitazioni convulse dei listini delle Borse e dei cambi, giusto specchio di una società forse troppo basata su meccanismi non controllati di mercato in un mondo che sembra aver perduto ogni controllo sui propri cambiamenti.
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Mario Deaglio, La Stampa 11/10/2014