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 2014  ottobre 11 Sabato calendario

I TRE PROBLEMI IRRISOLTI DEI GRILLINI

Il punto è che Grillo ha vinto troppo nel febbraio 2013. Con quella inaspettata vittoria e ciò che ne è seguito ha spazzato via qualsiasi possibilità di un traballante governo a guida Bersani. E ha dato il calcio di inizio allo smottamento interno della nomenclatura Pd aprendo un’autostrada a Renzi. Con Bersani barcollante a Palazzo Chigi avrebbe potuto continuare la sua esuberante cavalcata alla testa del popolo indignato.
Ma invece togliendo ogni speranza al premier in pectore del Pd ha aperto la porta a Renzi. Un osso un po’ più duro che è stato in grado di fronteggiarlo ad armi pari. Gli ha letteralmente tolto il terreno da sotto i piedi rincorrendolo su giovanilismo e inesperienza, indossando gli stessi panni del guerriero solo contro tutti e maneggiando con destrezza le stesse (brutali) sciabole verbali. Alla fine lo ha messo ko. È il paradosso a 5 stelle: Beppe ha generato gli anticorpi contro se stesso. Ha creato la sua nemesi. E ora, come esce dall’angolo in cui è stato a sua volta cacciato?
Intanto si torna in piazza. Da dove si era partiti. Si ricomincia dall’appello al popolo o a quel che ne rimane. Tra l’inno di Fedez, il rap di Rodotà e la musica di Dj Ferry, artisti «con la schiena dritta» (eh?). E ci si portano dietro i parlamentari-cittadini, piazzandoli sul palco, ai gazebo, anche a raccogliere le cartacce pur di togliergli di dosso l’odore del «sistema».
A quasi due anni dall’entrata in Parlamento, il movimento-partito si trova a un bivio e deve fare i conti con almeno tre grandi problemi, ancora non risolti: l’organizzazione, le leadership intermedie e le alleanze sui programmi. O il Movimento si decide ad affrontarli ora, o diventa troppo tardi.
L’organizzazione. I rapporti tra gli eletti e tra eletti ed elettori sono ancora modellati da improvvisazione e pura casualità. Non si capisce quali siano i ruoli, chi deve fare cosa e quale sia la divisione del lavoro. La frenetica rotazione dei capigruppo e dei portavoce, la sostituzione continua dei responsabili della comunicazione (da ultimo Claudio Messora, licenziato in tronco dai parlamentari europei), l’individuazione dei partecipanti al «dialogo» con il Pd e tanti altri episodi ci dicono che il partito di Grillo non è ancora in grado di darsi una struttura e regole condivise. Senza le quali è difficile durare a lungo.
Le leadership intermedie. Grillo rimane il capo. E ieri sera col comizio-blues al Circo Massimo ce lo ha fatto capire di nuovo. Altro che garante, la faccia e la testa del Movimento è sempre lui. È lui che controlla chi entra e chi esce per evitare che il «Movimento si disintegri dal basso», è lui che va al pub con Farage, che muove i fili dei referendum virtuali e le votazioni online scaraventando l’ultimo dei cittadini nell’Eden glorioso degli eleggibili. Difficile che Di Maio, il preferito tra i colonnelli, possa prendere il posto di un simile istrione megagalattico. E ieri sera Grillo ce l’ha messa tutta per rivendicare e rilanciare: le migliaia di consiglieri e di amministratori in pochi anni, la vittoria derubata del 2013, le battaglie sull’acqua e la sanità pubblica, i pregiudizi della stampa e poi gli attacchi a Renzi, il leader senza base che deve essere più veloce a distruggere il Paese, ad approvare il «Job Ax» che livella i salari verso il basso. E basta con la crescita e il Pil e via con gli e-book, i pixel che ti trovi direttamente dentro a una cellula, e le lavagne elettroniche.
Infine, alleanze sì alleanze no. Sui temi in discussione in Parlamento il Movimento 5 Stelle oscilla tra tardive prove di dialogo col Pd (legge elettorale) e ostruzionismo duro e puro (con risse, lanci di libri e monetine). Anche qui, manca completamente una linea chiara e soprattutto univoca. Beppe ripete di non avere fiducia in nessuno e che la loro avanzata nel deserto verso la vittoria è solo posticipata. Ma la strategia per arrivarci rimane oscura.
Non sarà una sfida facile portare avanti il sogno dell’Italia a 5 Stelle. Eppure lo spazio elettorale c’è. Gli elettori anti-establishment, quelli che pensano che Renzi «sloganizzi tutto» senza aver cambiato di una virgola le drammatiche condizioni del Paese, e quelli in attesa di un leader che dia rappresentanza al centrodestra sono lì, potenzialmente disponibili. Vedremo tra oggi e domani se Beppe è ancora in grado di dare una nuova «spinta propulsiva» al sogno a 5 Stelle o se dimostrerà che la spinta si è esaurita.