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 2014  ottobre 08 Mercoledì calendario

SONO MEGLIO DAL VIVO

Di solito, arriva sempre in anticipo e quindi si agita un po’ quando vede che sono già nel bar ad aspettarlo. Si scusa. È una persona gentile, Fabio De Luigi, e quell’aria svagata del genere «non so bene che ci faccio qui» che mostrano spesso i suoi personaggi al cinema e che attira le donne, ce l’ha anche dal vivo. È arrivato a Bologna da Roma, guidando la sua auto («Preferisco muovermi con mezzi miei, così appena ho finito posso tornare a casa, non tollero di passare più di due settimane fuori»). Casa è a Santarcangelo di Romagna, vicino a Rimini, dove lo aspettano la compagna Jelena, 44 anni, e i due figli Dino e Lola, 7 e 3.
A 46 anni, De Luigi, che ha iniziato come comico nei programmi della Gialappa’s, si è conquistato un posto stabile nel cinema italiano; il suo genere è la commedia, anche se la prossima in cui lo vedremo protagonista, Soap Opera di Alessandro Genovesi (al cinema dal 23 ottobre), che aprirà il Festival del cinema di Roma, ha ambizioni più alte: ambientata in una città immaginaria, in un contesto condominiale dichiaratamente finto, racconta i rapporti tra i personaggi (nel cast ci sono Ricky Memphis, Cristiana Capotondi, Diego Abatantuono, Ale e Franz) in maniera poco realistica e con un gusto estetico molto forte. De Luigi è Francesco: quarantenne fedifrago, ancora innamorato della ex Anna (la Capotondi), si trova coinvolto nel suicidio di un vicino di casa e nelle dinamiche che ne conseguono nel palazzo. Una parte non del tutto comica, che per l’attore ha rappresentato una scelta precisa.

Lei ha iniziato come comico all’inizio degli anni Novanta. Come si fa a far ridere la gente per vent’anni?
«È difficile. Il comico è uno dei mestieri più umilianti del mondo: basta una serata in cui non riesci a far ridere il pubblico per darti una botta tremenda all’autostima. Quando sali su un palco sei autorizzato a fare qualunque cosa per far divertire le persone, quindi fai il cretino. Se le fai ridere, bene, altrimenti sei tu il cretino».
A lei è capitato spesso di sentirsi cretino?
«Sono stato fortunato perché ogni volta che mi è accaduto, subito dopo è arrivato qualcosa di molto stimolante che mi ha fatto desistere dal mollare».
Era un mestiere che sognava fin da bambino?
«Mi è sempre piaciuto far ridere, già all’asilo. Sono un terzo figlio arrivato a sorpresa, a distanza di dieci anni dai miei fratelli, nessuno badava molto a me, mia madre ogni tanto chiedeva: “Dov’è il piccolo?”, nessuno mi chiamava per nome. Di carattere stavo sulle mie, ma ero ipercinetico, facevo tanto sport: sono arrivato a giocare in serie A nel baseball ma ho fatto anche dieci anni di karate».
Due sport a livello agonistico, una passione per lo spettacolo, e una laurea presa all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Dove trovava il tempo di fare tutto?
«Forse mi sono annoiato molto prima. Avevo molta energia e la molla è sempre stata la curiosità. Ho iniziato a giocare a baseball perché avevo un campo vicino a casa, guardavo i giocatori che facevano cose strane, volevo capire come funzionasse. All’Accademia mi sono iscritto perché in realtà avrei voluto fare il grafico pubblicitario, ma alla scuola di Urbino, dove puntavo a entrare, non mi avevano preso».
Quindi sa dipingere?
«Sapevo dipingere. Oggi ho appeso il quadro al chiodo: non dipingo più. Ho sempre scelto io ogni cosa della mia vita e alcune le ho volute fortemente. Oggi, invece, vedo che come genitori proponiamo un sacco di attività ai nostri figli e in questo modo forse non insegniamo a desiderare le cose».
Anche la famiglia l’ha voluta fortemente?
«Ho incontrato Jelena quando avevo 31 anni a una cena tra amici. Lei, che è serbocroata, viveva in Romagna da cinque anni; non ci siamo più lasciati e condividiamo tutto, anche le scelte professionali. Poi sono arrivati gli “intrusi”. La seconda, che è femmina ed è bionda, sia nell’aspetto che nel carattere, è entrata a gamba tesa nel nostro equilibrio. Le differenze tra uomo e donna sono evidenti da subito: la malizia in lei è già chiara, nel maschio chissà se e quando arriverà».
Lei piace alle donne e ha lavorato con varie bellissime, da Michelle Hunziker a Laetitia Casta, compresa la modella italo-francese Elisa Sednaoui che tenta di sedurla in Soap Opera. Sua moglie non è gelosa?
«No, è una donna molto sicura e risolta».
E lei è geloso?
«No. Quando lo sono stato, in passato, ne avevo motivo».
È difficile essere monogami?
«Per me no, dipende dalle priorità. Ognuno ama sedurre, ma non per questo è necessario essere infedeli. Io poi sono fortunato, perché devo essere seduttivo per lavoro».
Riceve molte avance dalle fan?
«Più che altro mi dicono che sono meglio dal vivo, più giovane, più alto. E pensare che con tutte le ore che passo al trucco sul set dovrei essere al massimo dello splendore...».
Perché non si è sposato?
«Ci dia il tempo di conoscerci, stiamo insieme solo da quindici anni! Scherzi a parte, ci consideriamo già “sposati”, e un giorno lo faremo. Nessuno di noi ha avuto il privilegio di assistere al matrimonio dei genitori. Un tempo ci si sposava prima di avere figli. Quindi mi piacerebbe che i nostri, invece, avessero l’età per rendersene conto, e avere ricordi di quel giorno».
Si sposerebbe in chiesa?
«Non ci ho pensato. Io non vado a messa, ma crescere in un Paese come il nostro e diventare un ateo puro è difficile. Come diceva Walter Fontana: “Dire di credere in Dio è una parola grossa, diciamo che lo stimo”».
Com’è vivere a Santarcangelo?
«Ci stiamo bene, perché è un posto vivo, oltre che a misura d’uomo. Non siamo andati via prima, non avrebbe senso farlo ora con i bambini piccoli. Poi io faccio un mestiere privilegiato che ci permette di muoverci».
Dei suoi vari interessi, alla fine quello che è diventato il suo mestiere è quello che preferiva?
«Direi di sì. Anche perché nel baseball ero abbastanza bravo per giocare in serie A ma non ero il Totti della situazione».
Diceva poco fa che ha avuto momenti di crisi. Ora non ne ha più?
«Può succedere, ma dopo un po’ che le cose vanno, smetti di chiederti perché: provi solo a farlo durare il più a lungo possibile. Non conosco comici che abbiano fatto ridere più da vecchi che da giovani».
Vuole dire che è un mestiere per giovani?
«Un po’ sì; se vedo uno di 20 anni scivolare su una buccia di banana rido, se vedo un cinquantenne che lo fa, mi fa tenerezza. Alla mia età è importante fare scelte mirate, selezionare. Anche se, dipendesse da me, lavorerei sempre. Mi piacerebbe un giorno provare a cimentarmi in una regia, anche solo per vedere che effetto fa “guidare la macchina”».
Il luogo comune del comico depresso è da sfatare?
«Ho sempre pensato che quando approcci un comico fuori dal palco hai delle aspettative, e quindi trovarlo meno pimpante sia abbastanza normale. Adesso però sto cambiando idea: forse è vero che questo lavoro ti spegne, ti chiude in te stesso».
Prima che il suo diventasse un lavoro faceva ridere di più i suoi amici?
«Questo di sicuro».