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 2014  ottobre 09 Giovedì calendario

ART 18 SONO ITALIANE LE SENTENZE PIÙ PAZZE LE MONDO


I tre «blocca-carrelli» di Melfi tornati in fabbrica
L’ultimo caso clamoroso risale al luglio 2013, quando la Cassazione ha ordinato il reintegro dei tre operai licenziati alla Fiat Sata di Melfi (Potenza) perché durante uno sciopero notturno, il 7 luglio 2010, avevano bloccato un carrello per il trasferimento di materiali, impedendo per una decina di minuti il lavoro alla maggioranza degli addetti che avevano deciso di non scioperare nel reparto (108 su 159). In primo grado la Fiat aveva visto riconoscere la legittimità dei licenziamenti. Poi nel 2012 la Corte d’appello di Potenza aveva deciso all’opposto e la Cassazione ha dato definitivamente ragione alla Fiom-Cgil, sentenziando che c’era stata un’immotivata «differenza di trattamento fra i tre licenziati rispetto agli altri lavoratori che avevano scioperato stazionando in quella medesima zona e non sono stati destinatari di sanzioni disciplinari». Uno dei tre operai reintegrati oggi è senatore di Sinistra, ecologia e libertà.

Frugare in un bagaglio non basta a perdere il lavoro
Diciotto addetti allo smistamento bagagli della Società esercizi aeroportuali di Milano vengono licenziati nell’agosto 2003 perché alla Malpensa 3 anni prima erano stati filmati di nascosto dalla polizia mentre frugavano nelle valigie dei passeggeri: tutti e 18 erano stati indagati per furto e poi rinviati a giudizio. In tre, però, impugnano il provvedimento e nel giugno 2008 uno di loro viene reintegrato dal giudice del lavoro di Milano. A nulla serve l’opposizione dell’azienda: «Un dipendente filmato mentre mette le mani nei bagagli di un passeggero non è più degno di fiducia. E non importa se ha rubato o no, perché comunque le valigie non si aprono: mai». Il giudice stabilisce il contrario. Perché? «L’azienda non ha indicato gli oggetti del furto contestato e le eventuali denunce dei passeggeri riferite al giorno della contestazione».

Calci in faccia (alla logica)
Un dipendente di un’azienda industriale di Tivoli, nel 2007, litiga con un collega. La rissa degenera al punto che il dipendente, salito su una scrivania, assesta un calcio in faccia all’avversario e gli rompe una protesi dentaria. L’azienda licenzia il «calciatore». Il Tribunale di Tivoli rigetta il suo ricorso, ma la Corte d’appello di Roma nel 2011 ribalta la sentenza: «L’episodio poteva essere sanzionato in maniera più adeguata sulla base delle previsioni alternative del contratto di lavoro», ovvero con 3 giorni di sospensione. Il licenziamento è stato annullato, l’azienda ha dovuto retribuire i 4 anni dal licenziamento al reintegro.

Se sei in malattia puoi anche fare il contestatore
L’8 settembre 2011 un manutentore torinese è in malattia, ma viene immortalato dalle telecamere mentre prende parte alle dure contestazioni contro il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, che alla festa del Pd viene colpito da un fumogeno. L’uomo viene licenziato, ma i suoi avvocati fanno opposizione: «Non poteva sostenere gli sforzi richiesti per il lavoro, ma ciò non gli impediva di uscire di casa per fare la spesa o per partecipare a una manifestazione al di fuori delle fasce orarie previste per la visita fiscale dell’Inps». L’8 febbraio 2012 il giudice lo reintegra.

L’infermiere manesco
Nel 2000, nel reparto psichiatrico di un ospedale romano, un infermiere getta per terra un paziente affetto da grave insufficienza mentale, poi lo prende a calci al torace e allo stomaco, e grida a un’infermiera che interviene di farsi i fatti suoi. Licenziato, nell’ottobre 2000 l’infermiere viene reintegrato dal Tribunale di Roma perché «non costituisce giusta causa l’inadempimento del lavoratore, perché aver perso per un momento il lume della ragione è evento eccezionale, non ripetibile».

Esibizionista, ma in borghese
Nel 2001 un ferroviere milanese viene denunciato da una passeggera per esibizionismo sessuale: l’uomo le ha mostrato il pene mentre la donna era in una sala d’aspetto. Le Ferrovie decidono il licenziamento, ma il Tribunale di Milano lo annulla perché «tali comportamenti erano stati posti in essere fuori dall’orario di lavoro, in località diversa da quella di lavoro, e senza divisa ferroviaria».

Spinello libero
Nel novembre 2001 il Tribunale di Milano obbliga una grande azienda a riassumere un addetto, che è stato licenziato perché scoperto mentre fumava hashish al suo posto. «L’uso sul luogo di lavoro di una sostanza stupefacente leggera» sentenzia il giudice «non legittima il licenziamento in mancanza di previa contestazione di concrete conseguenze negative sulla prestazione lavorativa».

Calcoli (renali) in sala giochi
L’addetto di un’azienda commerciale bolognese, ufficialmente in malattia per una colica renale, viene scoperto dall’azienda mentre lavora in una sala giochi. Viene licenziato. Ma nel luglio 2000 il Tribunale lo reintegra perché «la presunzione di contraddizione tra malattia e lavoro deve essere verificata in concreto, esaminando il tipo di malattia e valutando se l’attività svolta presenti o meno identità con quella sospesa».

Nessun problema se gonfi i rimborsi spesa: basta negare
La Corte d’appello di Catanzaro nel giugno 2003 ha reintegrato il dipendente di un’azienda con questa macchinosa motivazione: «È illegittimo il licenziamento disciplinare basato sull’addebito per cui un lavoratore aveva presentato, per il rimborso spese di un pernottamento in trasferta, ricevute alberghiere d’importo superior a quello pagato, presupponendo che egli, pur avendo negato la veridicità del fatto, si fosse in realtà comportato analogamente ad altri lavoratori i quali, nelle medesime circostanze (stesso periodo di tempo, stesso albergo e stesso prezzo indicato nelle ricevute) avevano invece ammesso il fatto». In parole povere: basta negare di avere rubato per evitare ogni sanzione.

Rissa ammessa, se manca il codice disciplinare
Nel 2006 la Cassazione ha stabilito fosse illegittimo il licenziamento di una guardia giurata addetta al trasporto di valori, che aveva picchiato un collega tanto da mandarlo al pronto soccorso: questo perché «in assenza dell’affissione del codice disciplinare, la fattispecie non è riferibile a violazione di norma di legge o ai doveri fondamentali del lavoratore». Ma davvero serve un codice affisso in bacheca per avvisare il dipendente che menare un compagno di lavoro è «inadempimento notevole degli obblighi contrattuali»?