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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

DUE TEMPORALI A FRANCOFORTE

Mario Draghi sta aprendo sempre di più l’ombrello della liquidità ed è determinato a continuare. Ma ci sono almeno due temporali, che possono rendere vano lo sforzo che la Bce sta attuando: il temporale franco-tedesco e quello americano.
Ieri il presidente della Bce ha ribadito la volontà di riportare sul sentiero di equilibrio una inflazione troppo bassa, accentuando la manovra di espansione della liquidità, attraverso operazioni che in parte dipendono dalla volontà delle banche di attivarle - i rifinanziamenti vincolati - in parte da un mercato di titoli privati, ancora relativamente acerbo rispetto alle necessità di aumento della moneta, ma in cui il grado di autonomia della manovra della Bce può aumentare. Inoltre è stato riaffermato l’intento di non lasciare alcuno strumento inutilizzato, se il rischio disinflazionistico non verrà domato.
Serve a qualcosa un’ulteriore espansione monetaria? Dal punto di vista della ripresa economica, se pensiamo che l’Unione Europea sia bloccata da una trappola della liquidità, l’unica speranza è che vi sia un effetto attraverso il meccanismo delle aspettative. In una trappola della liquidità la politica monetaria convenzionale non ha effetti diretti sulla domanda aggregata; può avere effetti indiretti sia sulla domanda che sulla offerta se e solo se muove le aspettative di una crescita degli aggregati nominali. Si può provare a governare le aspettative con manovre non convenzionali, che allo stesso tempo aiutino a "riparare" il meccanismo monetario, uscendo dalla trappola. Ma le aspettative si muovono nella giusta direzione solo se i segnali della politica economica sono univoci. Purtroppo mentre l’ombrello della Bce si apre sempre di più, almeno due temporali continuano a impensierire: il temporale franco-tedesco ed il temporale americano.
Il temporale franco-tedesco è ripreso con forza in questi giorni: a Parigi e a Berlino si continuano a sostenere approcci opposti alla gestione della politica fiscale. Ma l’Unione ha invece bisogno di un approccio comune. Innanzitutto perché in una trappola della liquidità la politica fiscale è l’arma più efficace per stimolare direttamente e indirettamente la domanda aggregata. Ma la politica fiscale è efficace solo se chi la attua è credibile.
Quindi le sortite francesi, che di fatto minano la necessità di avere conti tendenzialmente in ordine, sono dannose. Inoltre, per avere conti in ordine bisogna far crescere tutte quelle economie che sono in deficit di produttività, come l’Italia. Per recuperare il deficit di produttività la condizione necessaria sono le riforme strutturali. Da questo punto di vista, è giusta la direzione intrapresa dal governo Renzi.
Ma allo stesso tempo sono dannose quelle uscite tedesche - Bundesbank in testa - che continuano a negare la necessità di assumersi il ragionevole rischio di trovare strade che coniughino la disciplina fiscale di medio periodo con una azione congiunturale attiva. Il connubio tra disciplina ed attivismo è l’unico che potrebbe consentire alla Bce di attuare in modo credibile un’ulteriore espansione monetaria che utilizzasse anche l’acquisto di titoli pubblici.
Come è tradizione, Draghi non ha speso parole sull’azione delle altre banche centrali, Fed in testa. Ma il temporale americano può nascondere più di una insidia. Gli osservatori più ottimisti guardano a quello che sta accadendo negli Stati Uniti con ottimismo per l’Europa. Il ragionamento è semplice: la Fed ha iniziato una politica restrittiva, quindi l’euro si sta svalutando, perciò ci sarà un impulso alla crescita. Peccato che sia un ragionare superficiale.
In primo luogo, non è vero che la Fed abbia iniziato una politica monetaria restrittiva. Quello che accadrà a ottobre sarà - se viene confermato - che l’espansione sistematica, mensile e automatica della quantità di dollari a disposizione dei mercati si fermerà. Ma questo non significa che le banche non potranno continuare ad alimentare i propri bilanci prendendo a prestito dollari, visto che i tassi saranno a zero per un periodo di tempo indefinito. Il tema della "normalizzazione" del bilancio della Fed, che implicherebbe la definizione di un percorso di ridimensionamento del suo bilancio e di riqualificazione della sua rischiosità, non viene neanche sfiorato.
Per quanto tempo? Non si sa. La Fed guidata dalla Yellen ha abbandonato la regole di politica monetaria ante-crisi, che lega le scelte tattiche della banca centrale all’andamento della congiuntura. Sostituendola con quale regola, magari strategica? Nessuna. Si aspetta qualcosa, che però non è definito.
Questa è l’ambiguità che piace a tutte le burocrazie, e le banche centrali non fanno eccezione. Avere le mani slegale aiuta il banchiere centrale - soprattutto se come la Fed non ha un mandato specifico - ad accomodare gli interessi della politica, o della finanza, o degli intrecci della prima con la seconda. Con vantaggi personali ed istituzionali. La Fed è stata un pessimo vigilante; eppure i suoi vertici hanno fatto carriera, e la nuova legge americana sulla regolamentazione la ha addirittura premiata, aumentandone poteri ed influenza.
La politica monetaria espansiva sine dine piace a Wall Street. Ma la strategia "fine espansione mai" certo non dispiace ai repubblicani, che la vedrebbero volentieri in atto per tutto il 2015, visto che poi ci sono le presidenziali.
Di sicuro l’ambiguità della politica monetaria provoca volatilità delle aspettative e dei prezzi, tassi di cambio inclusi. Anche gli effetti di breve periodo - come l’attuale apprezzamento del dollaro - sono tutt’altro che scontati. In primo luogo, non è detto che il deprezzamento dell’euro abbia effetti positivi e duraturi sull’interscambio europeo; l’analisi economica detta tutta una serie di condizioni, ma gli ottimisti le dimenticano facilmente. Per non parlare dei movimenti di capitale; le scelte delle banche in favore della liquidità in dollari possono destabilizzare l’azione delle altre banche centrali, inclusa quella della Bce. Ma questo non ditelo agli ottimisti.