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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

Notizie tratte da: Carlo Lapucci, Eroi senza lapide, Clichy 2014, 280 pp., 15,00

Notizie tratte da: Carlo Lapucci, Eroi senza lapide, Clichy 2014, pp. 280, 15 euro.

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• «Don Chisciotte è il primo grande stravagante, originale, pazzoide di provincia che si costruisce un mondo a propria immagine e somiglianza e vi chiama dentro tutti quanti, a starci o a farci una capatina, come il Piovano Arlotto fece la sua tomba “per sé e per chi ci vuol entrare”. […] Ogni nazione, ogni terra, ogni città, ogni paese, ogni famiglia, ogni cervello ha una casetta col comignolo fumante dove abita il suo Don Chisciotte».

• «Il barone Fanfulla da Lodi, / condottiero di gran rinomanza, / fu condotto una sera in istanza / d’una donna di facile amor... / Bel condottier, bel condottier / cessa di far la guerra / bel condottier, bel condottier / cessa di far la guerra e vieni a goder. / Era nuova ai certami d’amore / di Fanfulla la casta alabarda, / ma, alla vista di tanta bernarda, / prese il brando e si mise a pugnar...» (canzone goliardica dedicata a Fanfulla da Lodi, condottiero vissuto tra XV e XVI secolo).

• Il Conte di San Vitale (vissuto a Cuneo in epoca indefinita) un giorno acquistò un grande specchio e, entusiasta, «lo fece mettere nel suo studio, dove passava ore a farci smorfie e sberleffi, cercando di cambiare espressione in maniera tanto rapida da confondere quello che stava dall’altra parte. Non ci riuscì mai e andava in giro magnificando la grande perfezione del manufatto. Dopo che ebbe collaudato a dovere il suo acquisto ed essercisi visto in tutte le posizioni, volle anche vedercisi com’era quando era addormentato e vi fece mettere davanti una bella poltrona nella quale andava a sdraiarsi quando aveva sonno. Qui lo specchio mostrò i suoi limiti perché lo mostrava sempre sveglio, o quantomeno con un occhio socchiuso». Una volta, poi, «perdurando un suo imbarazzo d’intestino, il medico gli ordinò un clistere e se ne andò. Il Conte ordinò al servo di dar mano al lavoro e si chiusero in camera per molte ore. Quando la sera il dottore tornò per la visita, trovò il servo sfinito e il Conte accasciato su una seggetta con le braccia cadenti e una faccia cadaverica. “Che avete fatto?” chiese il dottore. Il Conte con un filo di voce spiegò: “Questo è l’undicesimo che faccio: non lo reggo. Tutte le volte che lo prendo scappa via quasi subito”». Ma neppure in punto di morte il Conte volle smentirsi: «Al prete e a quelli che gli stavano intorno e gli raccomandavano l’anima a Dio fece cenno di voler dire qualcosa con l’ultimo fiato che gli restava. Tutti si chinarono sul moribondo, che disse: “Copritemi: non vorrei prendere freddo e arrivare di là col raffreddore”».

• «[L’anatomia] Notomia è util scienza / che dimostra l’uom qual sia / e con ciò ne fa la via / per lo morbo allontanar. / Chi in tal scienza sa vedere / divien medico perfetto: / ogni mal al suo cospetto / non temer che fuggirà»; «[La Morte] È la Morte la nemica / de’ be’ giorni prezïosi / che fruisce l’uom voglioso / di terren felicità. / Tal nemica a tradimento / eseguisce il suo capriccio; / e per togliersi d’impiccio / colla falce in testa dà»; «[La Poesia] Poesia che co’ tuoi voli / signoreggi il mondo intero, / scendi a noi che, a cor sincero, / ti vogliamo venerar. / Sacerdoti del tuo culto / siano Muse, Grazie e Dive, / e il pastor, colle sue pive / faccia sempre onore a te». Sono solo alcune delle più celebri incarrighiane, originali componimenti poetici inventati e pubblicati nel 1834 da Ferdinando Incarriga, giudice della Gran Corte di Salerno e poeta dilettante.

• Tito Livio Cianchettini (1821-1900), bizzarro inventore e filosofo marchigiano, per diffondere le sue teorie fondò il giornale Il travaso delle idee, che distribuiva personalmente: «S’era fatto un’edicola portatile, una specie di garitta con tre pareti di legno che si chiudeva appoggiandola al muro. In ogni lato era aperto nel legno un finestrino con sopra le scritte: Cassa, Vendita, Amministrazione. Da uno prendeva l’ordinazione, dall’altra ritirava il danaro, e dalla terza dava la copia del giornale. La notte la illuminava con una lanterna. Finita la giornata infilava la testa nel buco centrale, le mani nei finestrini laterali e se la portava a casa».

• «Astronomi bestie, la Terra non gira!» era il famoso intercalare di Giovanni Paneroni (1871-1950), gelataio e astronomo dilettante di Rudiano (Milano), che predicava ovunque confutando a colpi di buon senso la sfericità della Terra e la sua rotazione: «Se la Terra fosse rotonda veramente – argomentava lo scienziato – dal Polo Nord si dovrebbe andare in discesa in tutte le direzioni, mentre, partendo dal Polo Sud, si dovrebbe andare in salita in tutte le direzioni. Gli esploratori, accecati dai pregiudizi, non si sono mai accorti di tutto questo. Se la terra girasse basterebbe fare un saltello in aria per ricadere un po’ più lontano. Di conseguenza le ranocchie, a causa di tale movimento, sbaglierebbero il punto d’atterraggio nei loro salti e fallirebbero i calcoli di ricaduta, sbagliando il bersaglio, e finirebbero a ruzzoloni. Le scimmie in Africa a ogni lancio mancherebbero tutti i rami e già da tempo sarebbero sparite. Lo stesso succederebbe agli uccelli: i rami gli scapperebbero di sotto i piedi. Un finimondo».

• Nella Pistoia del pieno Novecento visse Eliseo Carmel, «filosofo militante» e autore di un libro molto singolare, L’altra faccia del sole. Da esso «si ricava che Carmel era stato un materialista, seguace della scienza, poi, nella primavera del 1973, percorrendo un viottolo di campagna, aveva avuto una folgorazione, cadendo a terra sotto un lampo accecante. Quando si rialzò sapeva d’essere stato eletto. Da allora era diventato un veggente». Secondo le sue tesi, «l’anima umana esiste e (ricordo forse del suo antico materialismo) Carmel afferma che pesa ventun grammi. Sta attaccata al corpo in un punto solo: la costola davanti al cuore. Al momento della morte esce dalla bocca e l’ultimo rantolo è lo strappo dell’anima e la costola che scricchiola. Non esiste soltanto l’anima umana, ma anche l’anima delle acque, delle montagne, delle bevande, degli alimenti, dei gatti, delle caciotte e via dicendo, e tutte le anime si salveranno o perderanno nel paradiso o nell’inferno delle acque, montagne, bevande, alimenti, gatti, caciotte... Il paradiso esiste ed è alloggiato nell’altra faccia del sole, che noi non vediamo. L’astronomia è tutta una balla: “Il buco nero del cielo, infatti, sta alle stelle malcapitate come il lupo cattivo sta ai bambini buoni”. Parole da meditare».

• «È Dio che ha creato il mondo, guardate quante cose ci sono dentro la luce. Dentro il buio nulla, proprio nulla. Il buio lo so fare anch’io, anche voi, guardate (si metteva sulla faccia il cappello e se lo premeva sugli occhi), ecco fatto il buio, ma non c’è nulla. Invece (toglieva dal viso il cappello e apriva gli occhi) invece guardate, guardate: il cielo, gli alberi, le nuvole, il mare... Questo lo fa la luce e la luce la fa Lui. Noi sappiamo fare solamente il buio»: parola del Bocca, poeta, filosofo e cantore popolare vissuto a Grosseto nel primo Novecento.

• Altro geniale inventore fu il Brìgnola, vissuto a Nave di Rovezzano (Firenze) intorno alla metà del Novecento. Tra le invenzioni più famose a lui attribuite è il tandem a due piani, «con un ciclista che pedalava sulla testa dell’altro: una cosa avveniristica. Il tandem a castello aveva, rispetto a quello tradizionale, doti di maggiore maneggevolezza, affidabilità, offriva a chi stava sopra una veduta panoramica e prendeva certamente meno spazio». Una volta, poi, «sollecitato da ripetuti furti al suo pollaio, progettò un antifurto sicuro al cento per cento. Un sistema di leve applicate alla porta e allo sportellino del gallinaro azionava una sirena che aveva avuto da un amico pompiere. Il congegno dovette essere tarato a lungo perché funzionava troppo. Lo mettevano in moto nel cuore della notte le stesse galline che, dallo spavento, smettevano di fare le uova. Dopo diverse corse notturne a vuoto il Brìgnola finalmente lo tarò a dovere e cominciò a dormire sonni tranquilli. Dopo qualche tempo si riaffacciarono i ladri e la sirena entrò in funzione con un fracasso infernale. Nel suo letto il padrone del pollaio sobbalzò e, credendo che fosse un mezzo di soccorso o un’ambulanza, disse alla moglie tra il sonno: “Accidenti, qualcuno sta peggio di noi!” Si girò dall’altra parte e si rimise a dormire. I ladri, che s’erano allontanati, vedendo che tutto restava tranquillo, quando si spense la sirena tornarono a fare il loro lavoro e ripulirono il pollaio. Qualcuno dice che portassero via anche la sirena».

• Nelle radure tra Scarperia e Firenzuola (Firenze), in pieno Novecento, si aggirava sonando la sua tromba in divisa da alpino Fanfara, sempre accompagnato dal suo asino Cadorna. «Conversava col somaro molto spesso, come se parlasse con un amico d’infanzia, ma si sentiva solo quello che diceva lui, anche se Fanfara lasciava alla bestia tutto il tempo di rispondere, con lunghe pause di silenzio. Evidentemente lui sentiva parlare l’asino e noi no. Quando lo caricava troppo lo consolava: “Cadorna, te lo dicevo di studiare!” “...” “Perché allora non hai studiato?” “...” “Tutte scuse: ora che sei un ciuco porta il carbone e zitto!” […] Quando ragliava si voltava a guardarlo e gli diceva: “Che vòi?” “...” “Ti manca la somara?” “...” “A maggio, Cadorna, a maggio. Per voi asini hanno deciso così. Ogni cosa a suo tempo”. “...” “Ti lamenti? A me, caro mio, me la fanno anche pagare...”». «A pregare Fanfara andava a volte davanti al cancello del cimitero, quando tornava ubriaco fradicio. Si buttava in ginocchio e pregava a alta voce: “Passavo di qui e mi son fermato... Voi lo sapete che quando passo un saluto ve lo fo sempre. Mi raccomando, se ci avete questo bel paradiso che si dice... un posticino... accanto ai miei genitori, lo vorrei... Bevo... lo so, ma anche Voi, sulla croce, avete chiesto da bere... Il lavoro mette sete e a volte anche a me questi birbanti mi danno l’aceto... E anche a quella povera bestia là, che ‘un capisce niente, ma è tanto una brava persona, mica Vi dispiacerebbe trovare un buchetto lassù?… perché ha più sentimento d’un cristiano, Ve lo dico io. Se ripasso mi fermo... anche senza bere... Felice notte a Voi e a tutta la celeste corte”».

• In tempo di guerra si affermò il commercio del «tabacco chinato», così detto perché la gente se lo procurava appunto raccogliendo le cicche da terra. «Il cercatore di cicche, detto anche “Trovatore” e, per il fatto di prediligere mozziconi di sigari, anche “Toscanini”, girava per la città con gli occhi in terra, alla ricerca del tubino bianco. Il professionista neppure si chinava a raccoglierlo, ma infilzava il reperto in un chiodo che aveva sistemato in cima a un bastone da passeggio, riponendolo in un sacchetto. Poteva essere un gesto rapido e professionale, oppure una mossa distaccata e distinta, con lentezza signorile. Fattane una buona quantità, la sera le cicche venivano spuntate, selezionate, aperte. Recuperato il tabacco utile, veniva venduto per farci nuove sigarette, le quali avevano un retrogusto nuovo e particolare: il rifumato, di cui in seguito molti non riuscirono a dimenticarsi». L’arrivo del filtro e la fine della guerra segnarono la fine di tale attività.

• Il Tanacca, il Lambezzi e il Mìghela erano tre amici bevitori di Arezzo. «Quando si trovavano per strada il Tanacca e il Lambezzi si rivolgevano sempre lo stesso saluto: “‘Ndu’ vai Lambezzi?” “E te ‘ndu’ vai?” “‘N lo so”. “Vengo anch’io”». In quanto al Míghela, «aveva fatto una volta una dichiarazione a una donna, anzi una vera e propria proposta di matrimonio, ma senza successo. Le si presentò vestito come Gnicche fuggiasco e le disse senza preamboli: “Vorrei sposare una donna che non sia bella, ma neanche troppo brutta, più povera possibile perché non abbia grilli nel capo, insomma, una come voi... Sareste contenta?”».

• «Beppe Belli non vuole sepoltura, / né canti o altra coglionatura. / Il suo corpo lo beccheran gli uccelli / e così in cielo volerà Beppe Belli. / Gli ossi di Beppe ai campi sian gettati, / che saranno da questi concimati. / Con gli ossi piccolini e più minuti / voi ci dovete far dei bei fuselli / da clistere, così che a voi fottuti / andrà sempre nel culo Beppe Belli» (il testamento di Beppe Belli di Giuncarico, poeta vissuto nel Grossetano a cavallo tra il XIX e il XX secolo).

• Visse a Cortona (Arezzo) nel Novecento il Sor Gino, anche detto il Socrate di Cortona, famoso per il suo spirito e per la sua abilità nel cacciare la selvaggina. «Una volta che, fermandosi in una trattoria, chiese dei tordi e l’ostessa gli servì una piattata di storni, il Sor Gino li riconobbe alla prima occhiata e disse chiaro alla donna che s’era sbagliata. Quella, credendo che fosse uno da contentare con due chiacchiere, gli dimostrò che erano tordi perché il becco era così, le zampe cosà... e poi l’aveva pelati lei e altre belle storie. Il Sor Gino la stette ad ascoltare e poi le disse: “Signora, si sente che lei d’uccelli se ne intende parecchio più di me, ma forse lei capisce più di quelli che si pigliano al buio; questi invece si chiappano di giorno e lo lasci dire a me: sono storni”». Fidanzato da un pezzo con una donna che lo assillava perché la prendesse in moglie, «pare che dopo averci pensato e ripensato tanto il Sor Gino decise di non convolare a nozze. Tra le lacrime e i pianti della mancata sposa, da uomo comprensivo cercò di consolarla cercando un nobile motivo per la sua amara rinuncia e disse con tristezza, scotendo la testa: “Non potrei mai sopportare il dolore di vederti vedova!”».

• Uomo di spirito ruvido e schietto fu il Làchera, al secolo Giuseppe Lacheri, ciambellaio vissuto a Firenze nel XIX secolo. A volte «non si sa se dicesse sfondoni o burlasse la gente coi giri di parole nei quali era maestro. “Làchera, lo sai? Stanotte è morto il dottore”. “Mi dispiace, ma ha fatto dimolto male. Uno nella sua posizione certe cose non se le può permettere. Ora, quando si verrà a sapere, perderà diversi clienti, perderà...”» «Se vedeva uno poco pulito che si grattava la testa, gli diceva: “Lascia correre: ognuno va per la su’ strada!” Alludeva naturalmente ai pidocchi che aveva nei capelli. Oppure diceva: “Se tu da’ una pacca ni’ capo a quello lì, tu fa’ una strage, poere bestioline, sono anche loro creature di’ Signore”». «Anche sul passo estremo non si volle smentire e, giacendo nel letto di morte, ogni tanto tirava fuori una carta arrotolata da sotto il lenzuolo dicendo: “Ecco il testamento, ma non è quello vero”. Ne tirò fuori quattro o cinque e poi disse: “Ora cerco quello vero, e frugava sotto le lenzuola dicendo ogni tanto: “Eccolo, eccolo, eccolo...” Ma poi non lo trovava. Frugava ancora e poi di nuovo: “Eccolo, eccolo, eccolo...” Nulla di fatto. Alla fine disse di nuovo, ormai con la poca voce che gli era rimasta: “Eccolo, eccolo, eccolo...” e lasciò andare uno spirito di corpo da far rintronare la casa e sorridendo disse: “Questo è quello vero”. Felice d’aver compiuto ancora una volta il suo dovere, di lì a poco spirò serenamente e rese al cielo la bella anima».

• Un tempo quella del ladro di polli era «quasi un’arte nobile. In una certa zona del contado tutti sapevano che un tale faceva il ladro di polli. […] Tutti dunque sapevano, ma non potevano accusare, perché il ladro di polli era invisibile, evanescente, imprevedibile e si moveva sempre con alibi di ferro. In mezz’ora d’una notte nera un pollaio intero spariva senza che in giro ne rimanesse piuma. I polli passavano dal sonno in una balla ed erano portati in luogo deserto lungo una strada solitaria, dove li aspettava un pollaiolo con un calesse “sotto pressione” e partivano di gran carriera per ignota destinazione, di solito verso un mercato lontano dove alle otto del mattino si erano tutti dispersi ai quattro venti. A quella stessa ora il ladro era in piazza o per le strade a meravigliarsi del colpo subito dal povero contadino, ma un risolino sottile come un filo di refe diceva chiaramente quello che già tutti sapevano». Grande ladro di polli fu Alfredo Ghelardi detto Tacco, nato nei pressi di Grosseto. «Una notte, mentre camminava a gran passi con una cesta di galline, incontrò due carabinieri arrivati da poco che gli domandarono dove andasse con quella roba. “Vado a cercare il padrone di queste galline”. “Come sarebbe a dire?” “Le ho trovate”. “Dove?” “Laggiù. Venite che ve lo faccio vedere”. I carabinieri locchi locchi seguirono Tacco che entrò nel folto d’un bosco. Quando furono ben dentro un ginepraio Tacco posò la cesta e sparì, gridando: “Ecco il ladro... Ecco il ladro, pigliatelo!” I carabinieri si tuffarono tra i rovi cercando il ladro, ma non videro nulla, non sentirono più nulla e non trovarono nulla: neanche il paniere di polli, che Tacco, tornato come una faina sui suoi passi, aveva ripreso scomparendo nell’ombra».

• «Negli anni andati si poteva veder passare per le strade di Perugia a qualunque ora un anziano ciclista in calzoncini corti, cappellino, maglietta, guanti, il quale pedalava su una bicicletta da corsa a bordo della quale stava aperto un ombrellone da spiaggia che lo riparava dal sole. A volte invece sventolava su un pennone una enorme bandiera. Oppure lo stesso tipo appariva su un carretto dove aveva sistemato un water sul quale sventolava la bandiera tricolore»: costui altri non era che Vittorio Gorini, detto il Goro o Gorino, filosofo e inventore vissuto a Perugia nel Novecento. «Inventò e mise a punto una serie di strumenti nati dal suo fertile ingegno, che portava per Perugia con grande soddisfazione e interesse di sfaticati, vagabondi, perdigiorno, turisti, passanti. Si tratta delle sue invenzioni, che presentava con una forte autoironia. […] Invenzioni del Gorino: pattino col sidecar; calcinculo; mattoni elettrici; branda traducibile; bagni di legno; doppia borraccia per bere e per orinare; rallentatore di treni in salita; motore a cinque cilindri ad aria compressa; frulla uovi di legno; rompistinchi di pizzardoni; moto perpetuo a sistema di contrappesi; bicicletta con ombrellone da sole; canotto con carica di girarrosto per due gatti; autogabinetto a motore; autoletto; trappola elettrica per topi; spie di terremoto; gabbia per conigli a due piani; letto a valigia; bilancia automatica per piccioni a due piatti; girello per piccioni; focolare semovente».