Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 9/10/2014, 9 ottobre 2014
CRONACA DI UN REGOLAMENTO DI CONTI AL SENATO, DALLE SBERLE DELLA DE PETRIS ALLA CAMOMILLA DI UGO SPOSETTI
L’emiciclo di Palazzo Madama, visto dall’alto.
Volano penne e pennarelli, libri, sputi, bestemmie. Loredana De Petris, capogruppo di Sel, si avventa sul senatore del Pd Roberto Cociancich (che fu capo-scout di Renzi, quando Renzi era ancora lupetto). Cociancich schiva un colpo. Un commesso schiva un iPad. Altri commessi si tuffano nella bolgia scatenata dalle opposizioni, subito dopo aver appreso che il voto sul Jobs act non slitterà.
Certi senatori s’arrampicano sui banchi del governo. In piedi sui banchi, pugni picchiati furiosamente sui banchi. A questo punto, tutti vediamo volare qualcosa che, nel vuoto, si scompagina e plana a pochi centimetri dal volto del presidente Pietro Grasso.
Il fotografo Claudio Guaitoli ferma l’immagine.
Controlla i fotogrammi. «Ma cos’è?».
Sembra essere un regolamento del Senato.
Anzi, non sembra: è un regolamento del Senato.
Chi è stato a lanciarlo? Eccolo laggiù chi è stato. Il capogruppo della Lega, Gian Marco Centinaio: che, adesso, sghignazza soddisfatto, i suoi gli mollano pacche sulle spalle e si complimentano eccitati (lui, più tardi, si scuserà così: «Ho buona mira, sapevo che non lo avrei centrato al povero Grasso»).
Passa la senatrice Emma Fattorini del Pd. «Sedevo accanto a Cociancich. La sberla della De Petris che ha schivato lui, me la sono beccata io. Sto andando in infermeria». Ed ecco pure Vito Petrocelli, capogruppo M5S: «Io so’ stato buono, stavolta» (al mattino, 30 centesimi di «elemosina» al ministro Poletti).
Sono le 19.06, qui, al Senato della Repubblica.
Non si capisce se il peggio è successo. Si voterà tra almeno quattro ore. Walter Tocci, pd, sembra intenzionato a votare la fiducia e poi a dimettersi da senatore. Felice Casson, informalmente, è ancora autosospeso dal gruppo del Pd. Corradino Mineo fa il prezioso e dice e non dice. Pippo Civati fa sapere, via sms, che altri senatori sarebbero pronti a dimettersi. Civatiani di qua, civatiani di là: in realtà c’è un solo civatiano là alla Camera, lui medesimo; e poi c’è Lucrezia Ricchiuti qua, al Senato. Opportunamente, per evitare equivoci, la minoranza del Pd ha preparato un documento firmato da 27 senatori e 9 deputati per spiegare che, alla fine, ma proprio alla fine, voterà a favore.
Stefano Fassina star dei tiggì. Miguel Gotor, ex ideologo del bersanismo, in un angolo, mogio. Maria Cecilia Guerra (bravissima, colta, tenace) legge il documento davanti a una trentina di telecamere accese.
Fa per andarsene. Si volta.
«Qualche dubbio?».
Molti militanti si aspettavano maggior intransigenza dalla cosiddetta minoranza.
«Cioè, lei mi sta dicendo che 27 senatori del Pd avrebbero dovuto votare contro la fiducia e far cadere il governo?».
Politicamente, per voi, questa è però una sconfitta.
«Valutazione errata. Non fosse altro perché siamo riusciti ad apportare modifiche importanti alla delega...».
Lieve, l’aria un filo distaccata, elegantissimo, Giulio Tremonti.
«I vecchi talponi ministeriali un tempo avrebbero detto che quella che stiamo votando è solo una “cartella”...».
Vuota?
«Sa quando si rompe la linearità del Diritto romano? Si rompe a Bisanzio, quando si inventa il “quasi”: e nasce il “quasi” delitto, il “quasi” contratto... Ecco: direi perciò che questa è una “quasi” delega».
Arriva la cronista di una rivista di gossip e corre a vedere il ministro Maria Elena Boschi. S’è portata un cannocchiale da teatro. Torna dopo pochi minuti.
«Beh, ti dico: ha un terribile tailleur blu elettrico che, secondo me, è un riciclo, perché una robetta analoga aveva il giorno del giuramento al Quirinale. Poi smalto blu abbinato e tacco 12. E sorridente, molto sorridente e rilassata».
I giochi, del resto, sono fatti.
Riflette Paolo Romani, il capogruppo di FI.
«Sento dire che è un trionfo per Renzi: ma io, francamente, ci andrei piano...».
Beh, l’approvazione di questo Jobs act è un bel colpo.
«Non limpido. Innanzitutto perché la delega ha subito molte modifiche ed è la prima volta che Renzi è costretto ad accettare simili stravolgimenti...».
E poi?
«Poi ha dato modo alla minoranza del suo partito di organizzarsi e contarsi..».
Fa buio. Si voterà nella notte. Meglio andare a prendere un caffé alla buvette con Ugo Sposetti, temuto senatore del Pd e depositario di mille segreti.
Zucchero?
«Più che un caffé, qui andrebbe servita la camomilla. Visto che gazzarra? Spettacolo penoso ma, credo, evitabile».
E come?
«Renzi, su una questione così, non avrebbe dovuto mettere la fiducia...».
Con la fiducia è stato più facile.
«Renzi deve capire che non può sempre infilare due dita negli occhi del Parlamento...».