Notizie tratte da: Aldo Cazzullo # La guerra dei nostri nonni # Mondadori 2014 # pp. 248, 17 euro., 9 ottobre 2014
Notizie tratte da: Aldo Cazzullo, La guerra dei nostri nonni, Mondadori 2014, pp. 248, 17 euro.Vedi Libro in gocce in scheda: 2289738Vedi biblioteca in scheda: Dio Dal diario di guerra di Silvio D’Amico: «In un reggimento di fanteria avviene un’insurrezione
Notizie tratte da: Aldo Cazzullo, La guerra dei nostri nonni, Mondadori 2014, pp. 248, 17 euro.
Vedi Libro in gocce in scheda: 2289738
Vedi biblioteca in scheda:
Dio Dal diario di guerra di Silvio D’Amico: «In un reggimento di fanteria avviene un’insurrezione. Si tirano colpi di fucile, si grida "non vogliamo andare in trincea". Il colonnello ordina un’inchiesta, ma i colpevoli non sono scoperti. Allora comanda che siano estratti a sorte dieci uomini; e siano fucilati. Ma i fatti erano avvenuti il 28 del mese, e il giudizio fu pronunciato il 30. Il 29 del mese erano arrivati i "complementi", uomini inviati a colmare i vuoti aperti dalle battaglie. Si domanda al colonnello: "Dobbiamo imbussolare anche i nomi dei complementi? Essi non possono aver preso parte al tumulto del 28: sono arrivati il 29". Il colonnello risponde: "Imbussolate tutti i nomi". Su dieci uomini da fucilare, due degli estratti sono arrivati il 29, e non possono essere colpevoli di nulla. All’ora della fucilazione la scena è feroce. Uno dei due complementi è svenuto. Ma l’altro, bendato, cerca col viso da che parte sia il comandante, chiamando a gran voce: "Signor colonnello! signor colonnello!".
Si fa un silenzio di tomba. Il colonnello deve rispondere. "Che c’è, figliuolo?". L’uomo bendato grida: "Signor colonnello! Io sono della classe ’75. Io sono padre di famiglia. Io il giorno 28 non c’ero. In nome di Dio!". Risponde paterno il colonnello: "Figliuolo, io non posso cercare tutti quelli che c’erano e che non c’erano. La nostra giustizia fa quel che può. Se tu sei innocente, Dio ne terrà conto. Confida in Dio".
Crocerossine Le crocerossine furono l’avanguardia dell’enorme sforzo delle donne italiane per sostenere la guerra. Avevano i gradi da ufficiale per poter tener testa agli ufficiali maschi, che le accolsero senza entusiasmo, pieni di pregiudizi.
Feriti Durante la guerra di Libia, alle donne non fu permesso di scendere a terra dalle navi, trasformate in ospedali: si temeva la promiscuità con i fanti. Di fronte ai 984mila feriti della Grande Guerra, si lasciò che nelle retrovie mani femminili si occupassero di corpi maschili.
Il capo delle crocerossine era Elena d’Aosta, moglie di Emanuele Filiberto, il comandante della III Armata. Lei stessa aveva il grado di generale. Visitò ospedali per malati di colera, di tigna, di scabbia. Nel maggio del 1918 sarà lei a far liberare le crocerossine rimaste accanto ai feriti dopo la rotta di Caporetto e internate nel campo di prigionia di Katzenau.
Portatrici Duemila donne tra i 12 e i 60 anni, tutte della Carnia, furono reclutate per portare in prima linea nelle loro gerle fino a 40 chili di rifornimenti lungo chilometri di sentieri, affondando con gli zoccoli nella neve, la pelle segnata dalle cinghie, pagate una lira e mezza (4 euro di oggi) a viaggio. Neanche i muli riuscivano a salire le balze su cui si erano schierati i due eserciti contrapposti. La nonna di Manuela Di Centa, la campionessa olimpici di sci di fondo, era una di loro, Irma Englaro, cavaliere di Vittorio Veneto. Alla nipote diceva sempre: «Non cambierei mai le mie medaglie con le tue».
Calze Abitudine di queste donne di salire e scendere lavorando la maglia: una calza nell’andare, un’altra nel tornare.
Prostitute La guerra cambia anche il costume sessuale degli italiani. «Operaie, modiste, sarte concedono i loro favori a chi sappia destar loro la simpatia» scrive allarmato dalla provincia di Udine l’ispettore Puccinelli il 28 maggio 1915, quinto giorno di guerra. L’11 giugno il generalissimo Luigi Cadorna sollecita la «creazione di appositi locali accessibili soltanto ai militari», i «casini di guerra» come vengono chiamati dai soldati.
Nomi Le prime prostitute partite per il fronte si fanno chiamare Wanda, Sonia, Maruska.
Case Nel 1916 ad Asiago una casa ad Asiago vanta di poter offrire seicento prostitute, «disponibili a rotazione». A Vicenza ci sono 25 case di tolleranza. Quella di Palmanova riceve tra i 700 e i 900 militari al giorno. «In fila si attende il proprio turno, cercando di vincere l’imbarazzo, consumando l’atto in pochi istanti» (testimonianza di un ufficiale medico).
Strafottenza «Come si va al bordello di guerra gonfio rimpinzito di soldati tenenti e con poche donne brutte che frettolosamente meccanizzano il piacere - così si va all’assalto. Strafottenza per le malattie veneree e per la morte» (Filippo Tommaso Marinetti).
Amore Bambini nati fuori dal matrimonio in tempo di guerra. A Venezia: 828. A Udine: 836. In tutta Italia aumentano le separazioni legali. Nel 1915 erano state 2012. Nel 1920: 4448. Anche i preti si sono innamorati. A fine guerra vengono comminate 350 sospensioni a divinis.
Sole Le donne assumono abitudini maschili: fumano, bevono, escono da sole, vivono da sole. La riforma che riconosce alle donne il diritto di vendere e comprare beni senza l’autorizzazione del marito è del 1919.
Carso Il Carso, «fatto di roccia che riflette il calore, spazzato dai venti, privo d’acqua quando non allagato, difficile da percorrere camminando e ancor più correndo, era l’ultimo posto del pianeta dove andare a combattere una guerra di trincea» (lo storico inglese Mark Thompson). Qui le esplosioni delle granate sono come eruzioni vulcaniche. Quando i tiri d’artiglieria pesante colpiscono il calcare, le schegge di metallo e di pietra arrivano a mutilare gli uomini a un chilometro di distanza. Per almeno sei volte gli austriaci interrompono il fuoco e gridano agli italiani di tornare indietro, di non farsi massacrare così.
Mrzkli Sul monte Mrzli e sullo Sleme, vicino a Caporetto, gli italiani attaccano sempre in salita, qualche volta in scalata, uno per volta. Sono un bersaglio facilissimo. L’ufficiale degli alpini telefona al comando e avverte che l’attacco non ha alcun senso. Il comando chiede quanti sono i caduti. «Una trentina di uomini». Così pochi? «Si riprende l’azione» è l’ordine. Ma gli austriaci hanno montato una mitragliatrice. Il maggiore ritelefona al comando e chiede ancora di interrompere l’azione. Gli rispondono ancora di no. Dopo un conciliabolo serrato, il maggiore fu visto gettare il microfono. Al suo aiutante disse, pacatamente, con quella sua brevità austera e triste: "Esco io. È il solo mezzo per far cessare l’attacco". Si buttò fuori, solo; ricadde sul mucchio dei suoi alpini. E l’azione fu sospesa.
Fanti Nel primo mese di guerra, l’Italia perse 20mila fanti.
Assalti Il racconto di un superstite, Cesare De Simone: «Tutte le volte che c’era un attacco arrivavano i carabinieri. Entravano nelle nostre trincee, i loro ufficiali li facevano mettere in fila dietro di noi e noi sapevamo che, quando sarebbe stata l’ora, avrebbero sparato addosso a chiunque si fosse attardato nei camminamenti invece di andare all’assalto. Questo succedeva spesso. C’erano dei soldati, ce n’erano sempre, che avevano paura di uscir fuori dalla trincea quando le mitragliatrici austriache sparavano all’impazzata contro di noi. Allora i carabinieri li prendevano e li fucilavano. A volte era l’ufficiale che li ammazzava a rivoltellate».
Tribunali Alla fine della guerra i tribunali militari hanno celebrato 350 mila processi ed emesso 210mila condanne: renitenza, diserzione, indisciplina. Diecimila le condanne per autolesionismo: per non andare o non tornare al fronte, i soldati si sparavano nelle mani, si foravano i timpani coni chiodi, si prococavano ascessi con iniezioni di benzina o di orina, si spalmavano sugli occhi secrezioni da blenorrea che rendevano ciechi. Su 4028 condanne a morte, 729 furono eseguite. Le esecuzioni sommarie furono molte di più. Ma il numero preciso non si conoscerà mai.
Decimazione Cadorna, che con una direttiva del 1916 ordina la decimazione: non pretende che venga fucilato un soldato ribelle ogni dieci, ma insiste perché la scelta dei condannati sia assolutamente casuale, e prescinda dalle responsabilità individuali. I nomi vengono estratti da un elmetto, o da uno zaino. Violazioni minori sono punite legando il colpevole a un palo, in piedi sulla trincea, esposto al fuoco nemico. «Così si risparmiano pallottole».
Graziani Il generale Andrea Graziani, da Bardolino, Verona, il più temuto. Disprezzava la vita dei sottoposti quasi fino al sadismo. A San Pelaio (Treviso) fa fucilare alla schiena diciotto soldati e tre civili; a Padova trentadue militari sono messi al muro. Due fanti vengono giustiziati perché hanno nascosto della farina negli zaini. Un artigliere, Alessandro Ruffini, 24 anni, fucilato per aver salutato senza togliere di bocca la pipa (altre versioni dicono il sigaro).
Caporetto 23 ottobre 1917: i vertici dell’esercito sono riuniti in consiglio di guerra. Sanno che gli austriaci attaccheranno il mattino dopo a Caporetto con sette divisioni tedesche, due ore di bombardamento con il gas, pausa, un’ora e mezza di bombardamento distruttivo. I generali Cadorna, Badoglio, Capello, Cavallero sono disperati.
Roma «Mio padre ha preso Roma e a me tocca perderla!» (il generale Luigi Cadorna, capo dell’esercito e figlio di Raffaele, che aprì la breccia di Roma).
Gas Secondo il manuale distribuito all’esercito italiano la mattina di Caporetto, per difendersi dal gas bisogna mettersi la maschera e tapparne gli spifferi con la vasellina, «spargere davanti alle trincee calce viva, meglio se mescolata con polvere di carbone» e, all’avvicinarsi della nube, bagnarla e accendere falò, mettere in funzione lanciafiamme, bombe incendiarie ecc, e poi irrorare la nuvola con soluzioni di soda Solvay al 5%.
Fosgene Il gas è il fosgene, avanza alla velocità di tre metri al secondo e uccide al primo respiro.
Soldati Già da maggio del 1917 la situazione delle truppe è tragica. Quasi tutti gli ufficiali vengono sostituiti con altri anziani o aspiranti dell’ultimo corso, scovati nelle retrovie. Sono stati richiamati e già perduti i soldati classificati come «piccoli», a fine ottobre sono saliti in linea anche i «piccolissimi», sotto un metro e 54.
Cadorna Cadorna, che il 29 ottobre fa pubblicare sui giornali un comunicato in cui accusa i reparti della II Armata di essersi «vilmente ritirati» e di aver permesso alle forze austro-germaniche di rompere «la nostra ala sinistra sulla fronte giulia». Il presidente del Consiglio Boselli si dimette. I tedeschi e gli austriaci fanno piovere sulle truppe italiane in ritirata un volantino in cui accusano il generale Cadorna di disonorare l’esercito italiano, che «tante volte si è lanciato per ordine suo a inutili e disperati attacchi» e di insultarlo «per discolpare se stesso».
Bilancio Bilancio dei morti di Caporetto e della successiva ritirata: 12mila morti, 30mila feriti, 249mila prigionieri e 350mila sbandati che tentavano di tornare a casa.
Visconte La mattina di Caporetto l’artigleria di Badoglio non tirò. Nessuno sa il perché. Fu poi soprannominato spregevolmente «Visconte di Caporetto».
Diaz Il nuovo capo di Stato Maggiore, il generale Armando Diaz, ammorbidì le misure di Cadorna: eliminate le decimazioni, aumentati i giorni di permesso (da 15 a 25), stipendi più ricchi, vitto migliore, ecc.
Ungaretti Giuseppe Ungaretti, che si era presentato volontario per partecipare al conflitto, inizialmente rimandato a casa ma poi richiamato, nel 1917 fu mandato al corso ufficiali ma non lo superò: giudicato «inadatto al comando». Fece tutta la guerra come soldato semplice. I fanti, che avevano dieci anni meno di lui, lo adoravano: lo chiamavano «signore» e si offrivano di portargli lo zaino e il fucile.
Comando Quella volta che Ungaretti, nell’estate del 1917, era andato al comando supremo a trovare un amico e si lamentò delle condizioni dei soldati. L’amico gli disse di abbassare la voce: il generale Diaz, destinato a sostituire Cadorna, era nella stanza affianco. Allora Ungaretti, urlando: «Vorrei sapere che cosa passa per la testa del vostro generale. Che cosa passa per le teste di tutti, qui? I soldati sono esauriti, sono al limite estremo e quanto al morale è già a terra da tempo. Dove ci porterà tutto questo? Dove?».
Gadda Gadda, pure volontario, ebbe invece un comando di uomini, e lo esercitò sino alla fine nel migliore dei modi. Disprezzava i generali, che in prima linea non si vedono mai, e «quell’idiota balbuziente del re». Nei giorni di Caporetto aveva ceduto la sua licenza a un altro ufficiale ed era rimasto in prima linea. Sorpreso dal nemico, decise di arrendersi e consegnarsi, lui e la sua compagnia, al nemico.
Metri Gadda e Ungaretti combatterono a pochi metri di distanza senza mai incontrarsi.
Morte Gadda, che a un amico raccomandò, qualora fosse morto, di scrivere un annuncio più semplice possibile: evitare «patria, onore, fervida gioventù, fiore di giovinezza, odiato nemico, orgoglioso e commosso, eccettera». Sarebbe bastato: «È caduto in combattimento».
Italiani I trentini e i triestini, italiani di lingua e di cultura, ma sudditi austriaci, furono mandati nel 1914 dall’imperatore a combattere in Serbia o in Galizia, contro i russi. In 25mila furono fatti prigionieri e spesso rinchiusi in campi in Siberia. 80mila trentini furono costretti dalle autorità asburgiche ad abbandonare le loro case, dopo il 14 maggio 1915, per essere concentrati in campi di prigionia.
Papa Anglo Giuseppe Roncalli, che fece il militare a vent’anni e quando, nel 1915, vene richiamato alle armi, non chiese di fare il cappellano militare, equiparato agli ufficiali, ma prese servizio come sergente nella 3° compagnia sanità.
Duce Mussolini, offertosi volontario ma inizialmente rifiutato, infine arruolato, il 13 settembre 1915 parte coni bersaglieri. Ferito nel 1917 dallo scoppio accidentale di un cannoncino lanciagranate, fa circolare due leggende: ha rifiutato l’anestetico; gli austriaci hanno bombardato l’ospedale perché lo ritenevano un irriducibile nemico.
Alpini Gli alpini, che non riuscivano ad attaccare gli austriaci dal basso, cominciarono a scavare le montagne per far esplodere gigantesche mine, in modo da travolgere il nemico, a costo di far crollare le vette.
Valanghe Le valanghe uccidevano più dei cannoni. In un solo giorno, il 13 dicembre 1916, passato alla storia come il Venerdì Bianco, le slavine inghiottirono diecimila soldati. I nemici avevano inventato oe Rollbomben, sfere d’acciaio piene di esplosivo; gli italiani rispondevano facendo rotolare palle di resina e bitume incendiate.
Cani Alla scoppio della guerra i proprietari de cani dell’Impero asburgico furono invitati a presentarsi alla «leva canina». Erano richiesti in particolare: i terrier, i pastori tedeschi, i dobermann e i rottweiller. I cani erano addestrati ad abbaiare al ritrovamento di un ferito, ma in questo modo richiamavano i cecchini. Allora furono a addestrati a segnalare la presenza di un ferito riportando il berretto. I cani furono impiegati per portare messaggi, fare da sentinella e tirare carretti. Ricevevano un numero di matricola e, se impegnati in lavori pesanti, avevano diritto a un chilo e mezzo di carne al giorno.
Orfani Gli «orfani dei vivi», i figli nati dalle violenze degli austriaci e dei tedeschi sulle italiane. Non sapendo dove metterli (non erano propriamente orfani), il 2 dicembre del 1918 fu creato, a Portogruaro, l’«Ospizio dei figli di guerra», poi chiamato Istituto San Filippo Neri. Nel giro di poche settimane nacquero o arrivarono in Istituto 327 bambini. Molti morirono perché le madri (o i padri) cercavano di liberarsi di loro. Altre invece non riuscivano a dimenticarli, e nei giorni in cui il marito non c’era, andavano a trovarli. Finì che il segretario del San Filippo Neri scrisse alle madri per intimare loro di restare a casa.
Mutilati L’Italia nella Grande Guerra ebbe un milione di feriti, tra cui 500mila mutilitari, 74.620 storpi, 21.200 rimasti senza un occhio, 1940 senza occhi, 120 senza mani, 3260 muti, 6740 sordi, 5.440 mutilati al viso. Tra i soldati schierati in prima linea all’inizio della guerra, la percentuale dei feriti arrivò al 90%.
Spagnola L’influenza spagnola arrivò sul fronte italiano nella primavera del 1918, e sembrò passare subito. Ma nel luglio tornò ad uccidere, per raggiungere l’apice ad ottobre. Nella terza settimana ci furono tremila nuovi casi al giorno fra le truppe. In tutto morirono 350mila italiani. Soprattutto donne, ragazze. Fu stabilito che i fanti rimasti vedovi potevano tornare a casa, a patto che avessero almeno tre figli di meno di 18 anni «in stato di assoluta miserabilità». Sull’epidemia il presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, aveva imposto la censura. Vietati gli annunci mortuari, il suono delle campane a morto, le corone, le cerimonie in chiesa. Il prefetto di Reggio Emilia arrivò a vietare i funerali.