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 2014  ottobre 08 Mercoledì calendario

LA RIVOLUZIONE DEL FMI CHE TORNA A SCOPRIRE KEYNES. FINALMENTE

L’aggiornamento del World Economic Outlook, diffuso ieri dal Fmi, lancia un segnale di allarme violentissimo per l’economia dell’Eurozona. Ci sono tre indicatori congiunturali, in netto peggioramento rispetto alle previsioni di aprile scorso, che destano preoccupazione: nell’Eurozona, le probabilità di una recessione tra il terzo trimestre dell’anno in corso ed il secondo trimestre del 2015 sono cresciute di ben quindici punti, passando dal 22,5% al 37,5%. Le probabilità di deflazione, che sono invece pari a zero in tutto il resto del globo, sono passate dal 22,5% al 30%.
In Europa, il danno derivante dalla combinazione di stagnazione/recessione, alta disoccupazione, scarso sostegno creditizio al sistema produttivo e ridotta dinamica dei prezzi è rappresentato dall’andamento di due curve, le cui tendenze si incrociano pericolosamente: mentre quella che definisce il rapporto tra debito privato e reddito disponibile non accenna a scendere, e invece cala vistosamente sia negli Usa sia in Giappone, quella che individua l’andamento del credito anno su anno al settore privato dell’economia tende ancora a collocarsi nel quadrante negativo, in particolare in Italia e Spagna. È una dinamica pericolosa, perché se da una parte c’è meno credito disponibile per gli investimenti delle imprese e per le famiglie, e ciò influisce sulla crescita, dall’altra il peso del debito non si riduce rispetto al reddito, perché quest’ultimo rimane stabile. Paradossalmente, ora, le famiglie americane hanno un rapporto debito/reddito inferiore a quelle dell’Eurozona: ciò è dipeso dal differenziale di crescita reale e nominale, tutto a favore degli Usa.
Le diverse politiche delle banche centrali, Fed e Bce, hanno determinato un andamento molto diverso nella valorizzazione degli asset privati, sia per quanto riguarda la ricchezza delle famiglie, sia per quanto riguarda gli immobili: negli Usa, dopo la caduta registrata dopo il 2009, sia i prezzi delle case sia la ricchezza delle famiglie misurata come multiplo dei redditi sono in piena ripresa. Il recupero dei corsi di Wall Street è stato completo, consentendo di recuperare la perdita subìta con la crisi, mentre per i prezzi delle case c’è ancora un forte divario, visto che l’indice è a quota 115 (anno base 2000) rispetto al picco di circa 140 registrato nel 2008. Nell’Eurozona, invece, l’andamento dei prezzi degli immobili è ancora in calo, mentre è stagnante il rapporto tra valore della ricchezza e reddito disponibile.
Il giudizio del Fmi non è mai stato così netto: la ripresa nell’Eurozona rimane debole, il tasso di disoccupazione eccede i livelli di equilibrio in molti Paesi, l’inflazione è troppo bassa, segnalando una pervasiva carenza di domanda. Ciò comporta la necessità di ulteriori azioni da parte della Bce, rispetto a quelle positive, già decise: se l’inflazione prevista non dovesse crescere e le aspettative dovessero ancora puntare ancora verso il basso, la Bce dovrebbe fare di più, anche comprare titoli del debito sovrano. Naturalmente, servono cospicui investimenti in infrastrutture, non solo in Germania.
Siamo a un epilogo, inimmaginabile fino a pochi mesi fa: è una svolta keynesiana in piena regola. Ci si è resi conto che il sistema bancario non può rappresentare il canale idoneo a far affluire la liquidità necessaria in economie fortemente provate dalla recessione, perché li esporrebbe nuovamente ai rischi sistemici da cui con tanta fatica, tra Asset quality review, Stress test e sistemi di risoluzione unificata, li si sta pilotando fuori. Aver ridotto a zero i tassi di riferimento, anche rendendo disponibili al sistema bancario cospicue risorse, con le T-Ltro, non è sufficiente: la liquidità ristagna, e anche i rendimenti ormai risibili dei titoli di Stato rappresentano un porto sicuro ancorché del tutto inadeguato per un corretto funzionamento dei mercati. Acquistare titoli di Stato, da parte di una Banca centrale, significa: immettere liquidità nel circuito economico senza esporre il sistema bancario con finanziamenti alle imprese che sarebbero poco sostenibili in un contesto macroeconomico così negativo; consentire agli Stati di sostenere la crescita attraverso investimenti che migliorino le infrastrutture, e quindi l’offerta e il prodotto potenziale. Sono spese che si traducono stipendi e profitti per le imprese. Per l’Europa, ormai, non si tratta di cambiare le regole del Fiscal Compact, ma di cambiare finalmente gioco.
Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 8/10/2014