Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 27/09/2014, 27 settembre 2014
ADDIO COLLINE, IN QUESTA GROTTA INDUSTRIALE I MIEI GUARDIANI DIALOGANO CON I TRENI
«Ho capito che in fondo sono un grotticolo», dice Bizhan Bassiri per spiegare la sua casa-grotta costruita dentro un capannone. Scultore di opere imponenti che evocano meteoriti, specchi solari, universi in evaporazione, Bassiri ha scoperto un anno fa un magazzino nella zona industriale di Chiusi e ne è rimasto sedotto. Alto come una palazzina di due piani, lungo come un palazzo rinascimentale, l’edificio si trova in mezzo a una mandria di costruzioni simili. Le più vicine ospitano un magazzino per lo stoccaggio dei prodotti alimentari, una vetreria, un laboratorio di zincatura. Tra i capannoni scivolano lenti gli autocarri con rimorchio. A un passo, l’autostrada e la linea dell’alta velocità. È per questo paesaggio che Bassiri ha abbandonato un antico casale sulle verdi colline di Montalcino pettinate a vigne, e lo studio in un vecchio edificio di San Casciano dei Bagni. «Lo trovo molto più stimolante della campagna quattrocentesca di Montalcino. Qui ho scoperto che le mie opere dialogano col paesaggio industriale, esattamente come i quadri di Piero della Francesca si riflettevano nella natura limpida del suo tempo. Questo enorme spazio mi ha dato inoltre la possibilità di unificare casa e laboratorio». Lui l’ha trasformato in una specie di matrioska, riproducendo in miniatura all’interno, su un lato soppalcato, il parallelepipedo della costruzione originale, con un ingresso e un’uscita sui due lati più corti. Per accedere all’abitazione bisogna attraversare il capannone, che si estende su oltre duemila metri quadrati. Si cammina tra sculture alte fino a sei metri, i muletti elettrici per spostarle, i sacchi di gesso per plasmare i modelli di queste opere che sembrano create con rocce grezze di basalto e invece sono in bronzo verniciato di nero. Un’intuizione che l’artista, nato in Persia e arrivato a Roma nel 1975, persegue da una trentina d’anni. Gli venne in mente durante una passeggiata sul Vesuvio: «Avevo trovato il mio interlocutore, una terra dove il tempo era assente, dove il vulcano era una specie di cervello con la lava che si illumina a causa del suo surriscaldarsi, un po’ come avviene per il pensiero». Scrisse il «Manifesto del pensiero magmatico» e cominciò a popolare i musei e le piazze del mondo con queste rocce che sembrano arrivate direttamente dalle profondità dell’universo. Si sale una scala di ferro e si varca una piccola porta rossa. Si entra in casa e la prima sorpresa è il silenzio. La seconda, l’impressione di essere immersi in uno spazio astratto. La penombra avvolge le pareti bianche e spoglie, i pavimenti in cotto trattati a cera color cinabro come si faceva nel Quattrocento, le tende leggere che velano le finestre affacciate dentro il laboratorio, il letto balinese, il tavolo fratino che l’artista ha ricavato da una mangiatoia trovata in una stalla. Casa spartana, il cui unico lusso sono le poltroncine in velluto vermiglio, i tappeti persiani, il bagno turco con i mosaici verdi. «Qui vivo come in apnea, in una sorta di assenza gravitazionale». Sulla facciata esterna una vetrata lunga e stretta inquadra il prato dove l’artista ha messo a dimora le sculture più alte: il Guardiano che verrà collocato davanti alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma per inaugurare, l’11 ottobre, la Giornata del Contemporaneo; l’altro Guardiano che sempre a ottobre andrà a presidiare l’ingresso dell’Agenzia spaziale italiana a Tor Vergata; il Sarcofago che ricalca la forma di isoletta mezzo affogata nel mar Baltico; il Meteorite-Narvalo nato dal corpo della roccia che si attorciglia verso l’alto fino a perdersi. Oltre il prato, sopra i rami della vegetazione arruffata, sfrecciano i treni dell’alta velocità. Passano ogni sette minuti, lasciandosi dietro un soffio appena. La casa, dice Bassiri, deve essere il luogo della Grazia.