Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 14/09/2014, 14 settembre 2014
QUEGLI AFFRESCHI DISTRUTTI - A
quindici giorni dall’inaugurazione della mostra su Pietro Gaudenzi, prevista per il primo ottobre alla Galleria Laocoonte, gli organizzatori sono stati costretti a cambiare titolo. Non più «Gli affreschi nascosti del Castello dei Cavalieri a Rodi», ma «Gli affreschi scomparsi». Marco Fabio Apolloni, antiquario con la passione per la pittura di inizio Novecento, e la moglie Monica Cardarelli, storica dell’arte, hanno dovuto prendere la decisione dopo un viaggio nell’isola greca, dove erano andati a cercare un’opera che nessuno era più riuscito a vedere da oltre cinquant’anni. Dopo un’avventura rocambolesca per farsi aprire le porte chiuse a chiave da tempo immemorabile ai visitatori e agli studiosi, hanno scoperto che gli affreschi non erano stati coperti da uno strato di intonaco, come tutti credevano fino ad oggi, ma sono stati addirittura scalpellati, distrutti per sempre. «Abbiamo faticato persino a riconoscere le stanze, documentate da foto d’epoca e da un cinegiornale Luce», raccontano gli Apolloni. «È stata demolita la parete divisoria con il camino, i muri sono stati riportati alla pietra viva, il pavimento con i mosaici antichi trovati negli scavi di Coo è stato ricoperto con uno strato di finto parquet. Neppure la soprintendente di Rodi è riuscita a dirci quando è avvenuto il misfatto, che non risulta da nessun documento ufficiale». Qualcuno dice che gli affreschi furono portati via dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, qualcun altro sostiene che furono sottratti dagli inglesi, occupanti dell’isola nei tre anni successivi alla fine della guerra. L’unico testimone attendibile è Jacopo Gaudenzi, figlio dell’artista che li dipinse nell’estate del 1939: racconta di essere stato in quelle sale a dieci anni, accanto al padre che vi lavorava, e di esserci tornato nei primi anni Cinquanta ma di aver trovato, nascoste dietro cortinaggi di stoffa, le pareti scialbate di bianco. Tanto che gli Apolloni si erano impegnati, annunciando la mostra, di far di tutto per promuovere un restauro che li riportasse alla luce. Adesso è quasi certo che di quell’opera non restano che i dipinti visibili in mostra: una decina di cartoni preparatori, magnifici, grandi al vero e colorati a pastello, e altrettanti disegni e bozzetti, oltre a una tavola a olio. Gaudenzi li aveva realizzati su incarico di Cesare Maria De Vecchi, nominato nel 1936 governatore di Rodi, all’epoca angolo ridente dell’effimero impero coloniale italiano. De Vecchi si impegnò in una impresa da megalomane: ricostruire completamente l’antico castello dei Cavalieri di San Giovanni, ridotto a rudere, e di farne la sede del governatorato. L’opera, portata a termine in soli tre anni da cinquecento tagliapietre e scalpellini fatti venire dalla Puglia e da squadre di mosaicisti da Firenze e Venezia, costò 30 milioni di lire dell’epoca. Gli inglesi descrissero il castello come «a fascist folly». Oggi è il monumento più visitato di tutta Rodi. Gli affreschi si trovavano al secondo piano, nelle sale escluse da oltre mezzo secolo alla visita. Sulle pareti si snodavano scene di vita campestre o famigliare, con figure ritratte dal vero nella campagna di Anticoli Corrado dove Gaudenzi, genovese, si era trasferito. Ci sono le donne, bellissime, con le braccia cariche di fasci di spighe, o impegnate a portare il pane su tavole in equilibrio sul capo. C’è la grande tavola a olio, con il banchetto di nozze, che nonostante le misure è solo un bozzetto di quella lunga sette metri presentata alla Biennale di Venezia del 1932. Fu acquistata dal senatore Borletti di Milano e oggi non si sa più dove sia finita. Anche di quest’opera saranno esposte in galleria le foto d’epoca in bianco e nero.