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 2014  ottobre 08 Mercoledì calendario

NON È UN PAESE PER ITALIANI


Gente che va, gente che viene. Il problema però sta nel fatto che quelli che partono sono di più di quelli che arrivano. La qual cosa potrebbe anche essere un bene per un Paese fortemente popolato come l’Italia, ma purtroppo quelli che se ne vanno sono i migliori. Italiani, quasi sempre con il classico pezzo di carta in tasca, giovani e pieni di iniziativa: una generazione in fuga che aumenta di anno in anno. Quelli che arrivano invece sono extracomunitari che scappano dalla guerra e dalla miseria: senza un euro e dunque bisognosi di cure e di sussidi. Nel complesso, per la nostra economia il saldo non risulta positivo: l’anno scorso i giovani italiani che hanno scelto di emigrare in cerca di fortuna sono stati quasi centomila, gli immigrati giunti regolarmente in Italia inseguendo un sogno che, se c’era, ora non c’è più, sono stati circa la metà. Il fenomeno è segnalato da un rapporto pubblicato dalla Fondazione Migrantes della Conferenza episcopale italiana: roba seria insomma, soprattutto quando si parla di immigrati. I vescovi, grazie alle organizzazioni di volontariato che assistono le persone quotidianamente sbarcate sulle nostre coste, sono infatti tra i pochi ad avere il polso della situazione. Purtroppo, i dati della Cei non dicono nulla di buono, perché illustrano una tendenza poco confortante: vista la situazione economica, chi se lo può permettere seladàagambeeillavorolo va a cercare fuori dai confini nazionali, mentre chi rimane si deve accontentare, se va bene, di un lavoro precario, spesso insidiato dai nuovi arrivati.
L’indagine della Conferenza episcopale si aggiunge ad altre del genere che indicano in crescita il fenomeno. Infatti è almeno dal 2011 che l’emigrazione è tornata ad aumentare: una volta si partiva dal Sud con la valigia di cartone, adesso si parte principalmente dal Nord e con altre ambizioni rispetto a quella di trovare un posto sicuro in fabbrica. Ad andarsene è la parte che ha altre aspettative rispetto a quelle che l’Italia è in grado di offrire.
Varcano i confini i laureati, quelli che parlano più di una lingua e che anche all’estero, sia che si tratti di Varsavia o di Berlino, si trovano a loro agio. La Cei precisa che i partenti scelgono spesso Londra come meta e che tra i nuovi emigrati moltissime sono donne.
Ora, tutto ciò dovrebbe indurre a qualche riflessione soprattutto gli strenui difensori del mercato del lavoro in versione anni Settanta. Se i giovani vanno altrove è perché reputano che fuori dall’Italia sia più facile trovare un posto e avere delle possibilità di crescita.
Tradotto, significa che qui per effetto delle troppe regole e della troppa burocrazia non giudicano di avere le stesse opportunità. Basta questa banale considerazione a rendere ridicola e inattuale la sceneggiata che si è tenuta ieri a Palazzo Chigi. Mentre i nostri giovani migliori prendono il treno e l’aereo raggiungendo mete lavorativamente più appetibili, nella sede del governo si discute se sia possibile rinunciare a qualche tutela per i fannulloni.
Un sindacato responsabile ieri si sarebbe presentato dinnanzi a Matteo Renzi chiedendo scusa delle troppe assenze dai luoghi di lavoro, che guarda caso si concentrano in massima parte il lunedì dopo il weekend e in alcune Regioni del Mezzogiorno. E invece no, come se fosse appena trascorso il Sessantotto siamo ancora lì, a discutere di discriminazioni sui luoghi di lavoro, di tutele, di garanzie. Senza capire che l’unica garanzia del posto di lavoro la offre la crescita. Se l’azienda va bene, vanno bene anche i dipendenti: se va male non ce n’è per nessuno.
Discorso facile da capire, che però non pare entrare in zucca ad alcuni rappresentanti sindacali e a un buon pezzo del Pd. La sinistra del partito di governo anche ieri ha fatto sentire la sua voce, ottenendo modifiche all’impianto di norme ipotizzato dall’esecutivo. Al momento non ci sono testi definitivi, ma il pericolo che in definitiva non cambi nulla e tutto resti più o meno come prima c’è ed è forte.
Così, mentre la gente (migliore) va, non c’è nessuno che la tiene. Neanche Renzi.