Luca Pagni, la Repubblica 8/10/2014, 8 ottobre 2014
LA CINA TIRA DI MENO E C’È LA CONCORRENZA DELLO SHALE OIL AMERICANO. PER QUESTO IL PREZZO DEL PETROLIO CONTINUA A ESSERE BASSO (SOTTO I 90 DOLLARI)
In altri anni, con i venti di guerra in corso, dal Medio Oriente alla Libia e i continui tagli alla produzione di paesi di primo piano come Nigeria, Colombia e Yemen, a causa di conflitti locali o terrorismo, non ci sarebbero stati dubbi sulla possibilità di un rialzo del prezzo del petrolio. Eppure, sta accadendo esattamente il contrario: dopo aver toccato un nuovo massimo nel giugno scorso, il costo al barile è sceso del 20 per cento sia per il Brent, il greggio scambiato a Londra, sia negli Usa dove ieri il Wti è tornato sotto la soglia psicologica dei 90 dollari.
A scatenare gli ultimi ribassi, sono stati i tagli decisi dall’Arabia Saudita nelle ultime due settimane. Ma non alla produzione, secondo prassi consolidata nei decenni scorsi nel tentativo di mantenere elevate le quotazioni. In questa occasione, i sauditi hanno tagliato i prezzi al barile, per pura difesa delle quote di mercato: sia nei confronti dei concorrenti più agguerriti dell’area (Iran e Iraq), sia perché preoccupati dalle valutazioni degli esperti che danno ormai per imminente (forse già alla fine di ottobre) il sorpasso degli Stati Uniti, destinati a tornare il primo produttore al mondo di petrolio, cosa che non avveniva dal 1991.
È vero che in Usa vige ancora il divieto di esportare il greggio prodotto; ma questo non riguarda la riesportazione. Così, grazie al boom delle scoperte di petrolio estratto dalle rocce o dalle sabbie (il cosiddetto shale oil ), gli Stati Uniti sono tornati a spedire all’estero i prodotti lavorati. Secondo i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia, grazie alla rivoluzione “ shale” la produzione america- na a inizio ottobre era pari a 8,87 milioni di barili al giorno contro 5 milioni del 2008; entro la fine dell’anno le estrazioni dovrebbe superare la soglia dei 9 milioni di barili al giorno.
Del resto, l’aumento della disponibilità di riserve di greggio è uno degli elementi che ha portato alla riduzione dei prezzi. A scatenare nuove ricerche di idrocarburi in giro per il mondo, anche in regioni fino a ieri mai esplorate, è stato il picco dei prezzi che ha resistito a lungo attorno ai 100 dollari, a partire dal gennaio del 2011. Quotazioni di questo livello hanno consentito il ritorno economico di esplorazioni fino a pochi anni fa trascurate, vuoi per la complessità tecnica, vuoi per le condizioni climatiche difficili. Investimenti ormai avviati e che solo in parte si fermeranno dopo il calo dei prezzi a partire dall’estate.
Se a tutto ciò, si unisce il rallentamento dell’economia cinese, il quadro è evidente. Così come l’ingresso in campo della speculazione finanziaria: sia gli hedge fund sia i fondi che investono in materie prime hanno cominciato a chiudere posizioni per evitare ulteriori ribassi. Anche se c’è chi pensa che si tratta solo di un movimento di breve periodo. Come Matteo Verda, ricercatore all’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale: «Non c’è mai stato in passato un picco di prezzi così alti per così tanto tempo, era normale che ci fosse un calo. Ma presto si troverà un equilibrio, perché la domanda nel mondo resta comunque alta».
Luca Pagni, la Repubblica 8/10/2014