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 2014  ottobre 07 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - L’INCONTRO TRA RENZI E SINDACATI, IL TFR, LA FIDUCIA, L’INCAZZATURA DELLA MINORANZA DEL PD ECC


REPUBBLICA.IT
ROMA - Dopo quattro tentativi andati a vuoto questa mattina per il mancato voto dei senatori di Forza Italia, l’aula del Senato ha raggiunto il numero legale e ha ripreso la discussione sul Jobs Act. Il numero legale è stato richiesto dal M5s sull’approvazione del verbale.
Da Palazzo Chigi, dove ha incontrato i leader sindacali, Matteo Renzi lancia segnali di ottimismo provando a preannunciare un percorso meno tortuoso per il Jobs Act, dentro e fuori il Parlamento. E dalla minoranza Pd incassa una sostanziale apertura: "La fiducia è una forzatura - dice Pier Luigi Bersani - ma saremo leali". "La voteremo, anche se in modo critico", aggiunge Cesare Damiano, presidente della Commissione lavoro della Camera che - come l’ex segretario - in direzione aveva detto no al Jobs act. I civatiani, però, salgono sulle barricate e Corradino Mineo si mostra furioso: "Renzi è un pericolo per la democrazia, va fermato".
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Al termine del confronto con le parti sociali (foto) e alla vigilia del vertice Ue a Milano, il premier parla di "sorprendenti punti d’intesa" con i sindacati e sottolinea che l’emendamento del governo alla riforma del mercato del lavoro ha accolto "condivisibili suggerimenti" della minoranza Pd sul reintegro per i licenziamenti discriminatori e disciplinari, come anche la regolazione della rappresentanza sindacale e un ampliamento della contrattazione decentrata e aziendale. Il sottosegretario al ministero del Lavoro, Teresa Bellanova, entrando in aula al Senato: il maxiemendamento al Jobs Act è "pronto, adesso attendiamo che lo rimandi indietro la Ragioneria dello Stato".
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"Siamo assolutamente disponibili alle opinioni di chiunque, l’importante è che si vada avanti", aggiunge in conferenza stampa, "miglioriamo se c’è da migliorare, ma il Paese deve cambiare e non ci faremo bloccare da veti o opinioni negative". Sulla fiducia posta sul Jobs Act, il premier annuncia che "sarà votata domani". Il probabile auspicio di Renzi è di presentarsi, domani a Milano, con un primo via libera durante la conferenza stampa congiunta con la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande, al termine del vertice europeo sul lavoro.
Da Berlino già arriva un sostegno alla riforma. E una precisazione: "Non c’è conflitto con Roma sulla crescita". Positivo anche il giudizio di Olivier Blanchard, capo economista del Fmi: "Mi piace lo spirito della riforma del lavoro" italiana, la "dualità del mercato è un grande problema, crea due classi di cittadini e questo non è desiderabile. The unique contract, il contratto unico è la strada da seguire".
Sulla linea Bersani-Damiano è Federico Fornaro, tra i senatori delle minoranza Pd firmatari dei sette emendamenti alla delega sul lavoro: "Area Riformista voterà sì alla fiducia - dice - anche se la fiducia su un ddl delega è uno "strappo istituzionale oltre che un segno di debolezza" . Non tutta la minoranza Pd, però, è pronta a votare sì. Pippo Civati, sulla scelta dei bersaniani, di non fare cadere comunque il governo, dice: "Questo significa che non condividono né le modalità né il merito di quello che Renzi sta proponendo. Non è solo un segnale di debolezza, ma dal punto di vista del governo e della qualità dei nostri provvedimenti è un atto scellerato, non ho altro modo per definirlo". Lo stesso Civati scrive al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per lamentare una fiducia che "impedisce ogni confronto reale" in Parlamento e invitando il capo dello Stato a un richiamo "a un maggiore rispetto dei ruoli e le prerogative istituzionali". Furioso Corradino Mineo che attacca: "Renzi è un pericolo, va fermato. Con la fiducia prende a calci il Parlamento".
Il leader di Ncd e ministro dell’Interno Angelino Alfano, rivendicando la pressione sulla scelta di Renzi di porre la fiducia sulla riforma del mercato del lavoro, avverte il premier: "Il Jobs Act - dice a Rtl 105.5 - è un atto che dà l’imprinting riformista, anche di un certo riformismo spinto al governo. Quindi è uno di quei temi per cui il governo o va avanti perché ottiene la fiducia o cade perché non la ottiene". Il monito di Alfano a Renzi è duplice, perché abbraccia anche l’apertura del leader Pd ai correttivi chiesti dalla sua minoranza, in particolare il reintegro del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare. Se non si precisa quali siano "i casi in cui un licenziamento si possa considerare disciplinare", spiega, viene meno "grande parte del significato della eliminazione dell’art.18" perché se si lascia così "il giudice potrà fare quello che vuole. L’art. 18 - conclude Alfano - va tolto tranne nelle fattispecie identificate". Ovvero, il licenziamento discriminatorio "per sesso, razza, età, mai messo in discussione. Su questo non c’è dubbio".
Il richiamo di Alfano viene portato all’attenzione di Renzi in conferenza stampa. E il premier spiega che per "chiarire le fattispecie bisogna attendere il decreto legislativo". Quindi, dopo il voto di fiducia. "E’ un impegno politico che c’è, lo dirà Poletti in aula - aggiunge Renzi -. Ma la disciplina del licenziamento disciplinare sarà resa nel decreto".
Intanto Sel ritira gran parte degli emendamenti alla legge delega. "Da 300-350 circa ne manterremo 40-50, quelli fondamentali. Così togliamo ogni alibi al Governo. La fiducia è un gesto arrogante di Renzi e la chiusura anticipata della discussione sarebbe davvero grave" afferma la capogruppo al Senato Loredana De Petris.

L’INCONTRO CON I SINDACATI
MILANO - La Cisl apre al governo, la Cgil sbatte la porta in faccia a Renzi: "Nessuna novità" ha sentenziato Susanna Camusso uscendo dalla Sala Verde di Palazzo Chigi dove è andato in scena l’incontro tra il governo ed i sindacati sulle riforme e sul lavoro, con il premier Matteo Renzi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ed i ministri del Lavoro e delle Politiche sociali, Giuliano Poletti, dell’Economia Pier Carlo Padoan, della Pa Marianna Madia. Presenti i leader di Cgil, Cisl, Uil e Ugl, Susanna Camusso, Annamaria Furlan, Luigi Angeletti e Geremia Mancini.
"Il Paese ha bisogno di fiducia" ha detto il premier ai rappresentati dei lavoratori aprendo l’incontro incardinato su salario minimo, rappresentanza e contrattazione decentrata, oltre ovviamente a articolo 18 (nel Jobs Act) e Tfr in busta paga. Garantito anche il bonus degli 80 euro, che dal 2015 "sarà strutturale", mentre entra nella partita la possibilità di dare sgravi per le assunzioni stabili: ai sindacati ha spiegatoc che vanno trovate formule per incentivare il contratto a tempo indeterminato.
Dal tavolo, Renzi ha fatto partire l’invito a "salvare gli stabilimenti di Termini, Terni e Taranto. Sono le tre ’t’ di cui bisogna subito occuparsi insieme", ha detto in riferimento alle crisi dell’ex impianto Fiat e alle acciaierie Ast e Ilva. Alle aziende il premier ha garantito che il provvedimento del Tfr verrà preso in considerazione solo dopo l’ok delle piccole e medie imprese.
Il nocciolo della questione sul piatto, però, si è trovato nel maxi emendamento che il governo ha illustrato, con alcune novità sul Jobs Act: le regole sui licenziamenti e il reintegro in alcune fattispecie, oltre alla precisazione dei casi nei quali si potrà ricorrere al giudice. I dettagli però saranno contenuti nei decreti delegati. Si tratta, comunque, del documento approvato dalla direzione del Pd. "Abbiamo molti punti di incontro - ha detto Renzi -, ci rivederemo il 27 ottobre". Parlando poi in conferenza stampa, il premier ha detto che "non teme agguati" nell’approvazione del pacchetto sul lavoro da parte dei colleghi del Pd, "ma in caso li affronteremo". Domani sarà comunque posta la fiducia sul testo, ma il governo "non accetta veti".
Fredda la reazione dei sindacati. Per Camusso "l’unica novità sono i nuovi incontri. La nostra valutazione non cambia. Registriamo una disponibilità del Premier a discutere sulla rappresentanza sindacale, ma sul resto non condividiamo il piano. Restano la manifestazione del 25 ottobre e tutte le attività di contrasto". Furlan chiede, invece, "lotta all’evasione fiscale e maggiori tagli agli sprechi. Sul lavoro convidiamo la revisione delle politiche attive e l’assorbimento di tutte le forme di precariato nel contratto unico a tutele crescenti. Basta con le false partite iva". Angeletti ribadisce che il Tfr "è il salario differito dei lavoratori". Quella del 25 ottobre, comunque, non sarà una manifestazione unitari: Cisl e Uil non parteciperanno.
Il governo incontra i sindacati, gli scatti dalla Sala
LAVORO e TFR. Dell’intero impianto di riforma del mercato del lavoro, denominato Jobs Act, quello che più ha acceso la polemica tra le parti è l’abolizione parziale dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Il governo ha in effetti illustrato ai sindacati una versione di tutela che prevede il reintegro solo per i casi discriminatori e disciplinari. Al tavolo è stata tracciata anche una semplificazione delle forme contrattuali, che verranno significativamente ridotte, ma non si arriverà ad un contratto unico. Fino ad ora, per i sindacati l’articolo 18 è stato considerato un totem intoccabile che neppure maggiori tutele per i precari possono compensare. Le aziende da parte loro stanno alla finestra: la loro posizioni è che la libertà di licenziare non sia, in fondo, un modo per poter assumere. Chiedono, piuttosto la flessibilità in entrata.
Si è parlato anche di Tfr. I sindacati chiedono che si tratti di una libera scelta dei lavoratori, "a tasse zero" aggiunge Furlan. Alle aziende, invece, è stato garantita la costituzione di un fondo partecipato dalla banche e, forse, dalla Cdp: in questo modo l’impatto sulle casse sarebbe nullo. Renzi però ha ribadito che senza l’ok delle piccole e medie imprese l’operazione non si farà.
CONTRATTAZIONE. Negli ultimi giorni il governo ha parlato con insistenza del modello Fiat. In sostanza Renzi sarebbe favorevole a un alleggerimento degli accordi nazionali per lasciare più spazio alle negoziazioni aziendali. Confindustria è disponibile a trattare, d’altra parte un accordo con i sindacati sulla rappresentaza dei lavoratori è già stato raggiunto, ma non è mai diventato legge. E in questo senso Fiat ha aperto una nuova strada lasciando prima Confindustria, poi negoziando direttamente per lo stabilimento di Pomigliano, che altrimenti sarebbe stato chiuso, riconoscendo la rappresentanza solo ai sindacati che firmano contratti nazionali o aziendali. A chiedere di "avvicinare i contratti al territorio e alle aziende" è stato il presidente della Bce Mario Draghi nel suo intervento a Jackson Hole. Obiettivo: favorire una maggiore differenziazione salariale. I sindacati però sono divisi sul tema. Per la Cgil "la politica di Renzi è quella di Confindustria e di Sacconi" e anche per questo Susanna Camusso non pare disposta a concedere aperture di credito al governo. La Cisl, invece, è favorevole "d’altra parte - dicono - nell’ultimo anno abbiamo sottoscritto 3mila accordi aziendali", mentre la Uil si presenta a Palazzo Chigi senza pregiudizi, ma dice: "Contrattazione aziendale solo per le grandi imprese".
SALARIO MINIMO. Un altro nodo sul tavolo è quello del salario minimo. L’Italia è uno dei pochi paesi che non ha una soglia minima di salario orario. Nel Jobs act è prevista per i lavoratori subordinati e in sperimentazione anche per i Co.co.co. In Germania è stato approvato a luglio un aumento a 8,5 euro e i socialdemocratici hanno cantato vittoria. Ma ce l’hanno anche la Francia (9,53 euro), l’Olanda, il Belgio, l’Irlanda e la Gran Bretagna. Negli Usa Obama vuole alzarlo a 10 dollari. Renzi, che lo indica nelle sue proposte già dalle primarie, ha sempre detto che è necessario "alzare i salari". In Italia l’unico esempio già adottato di salario minimo è il cosiddetto "giusto compenso" per i giornalisti free lance ma, per il livello di retribuzione prevista, le polemiche sono state infuocatissime. Per la Cisl sarebbe meglio estendere "i contratti nazionali al 15% di lavoratori che non ne sono coperti".
LEGGE DI STABILITA’. Parlando alle parti sociali, Renzi ha confermato anche alcuni impegni nella Legge di Stabilità, dove ci saranno 2 miliardi per la riduzione delle tasse sul lavoro e 1 miliardo per la scuola. Sarà inserita pure una quota aggiuntiva di 1,5 miliardi per estendere gli ammortizzatori sociali. Parlando con i sindacati della polizia, il premier ha spiegato che si tratta nel complesso di una manovra da 23-24 miliardi, cifra superiore alla soglia di 15-16 miliardi indicata fino ai giorni scorsi. Proprio alle forze di polizia, la nuova legge di Stabilità dovrebbe garantire l’eliminazione al tetto degli stipendi.

TITO SU REP TV
l premier Matteo Renzi e i numeri per il voto di fiducia sul Jobs Act. Al Senato l’area del dissenso si sta riducendo a 4-6 senatori. Il vero problema sarà a Montecitorio, dove la minoranza interna, quella che fa capo a d’Alema, Bersani e Cuperlo, è molto più ampia

LE STIME DEL FMI
MILANO - Arriva l’attesa sforbiciata del Fondo monetario internazionale alle stime di crescita globali, con l’Europa e gli Stati Uniti che si confermano andare a velocità differenti. Aggiornando le tabelle contenute nel World economic outlook, il rapporto sull’economia globale redatto nell’ambito degli annual meetings dell’istituto guidato da Christine Lagarde, quest’anno il Pil mondiale registrerà un’espansione del 3,3% rispetto al 2013. Si tratta dello 0,1% in meno rispetto alle previsioni aggiornate del weo dello scorso luglio; rispetto all’edizione di aprile c’è stata una correzione del -0,4% delle stime, "alla luce soprattutto di una prima metà del 2014 più debole delle attese". Per il 2015 è previsto un +3,8%, una limatura al ribasso dello 0,2% sui calcoli di tre mesi fa. "La crescita dovrebbe rafforzarsi nel 2014-15 nelle economie avanzate, ma il passo della ripresa resta diverso nelle varie regioni", si legge nel rapporto.

Il rimbalzo "più forte" è atteso negli Stati Uniti, mentre i "freni dovuti alla crisi si allenteranno solo lentamente" nell’area euro e la crescita in giappone resterà "modesta". In altre economie asiatiche avanzate, in Canada e nel Regno Unito, continua il Weo, la crescita dovrebbe essere "solida".
L’Fmi taglia le stime di crescita globali. Bene gli Usa, male la Ue
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Eurozona. Per quest’anno è attesa un’economia in espansione dello 0,8%, lo 0,3% in meno rispetto alle stime aggiornate del weo dello scorso luglio. Per il 2015 è previsto un +1,3%, lo 0,2% in meno sempre rispetto a tre mesi fa. Dice il Fmi: "La ripresa debole accelererà gradualmente, sostenuta dalla riduzione del peso fiscale, da politiche monetarie accomodanti e da condizioni in miglioramento nella concessione dei prestiti cpn una forte riduzione degli spread per le economie sotto stress". L’istituto di washington dc precisa che la "prospettive sono squilibrate tra i paesi".

Queste le "pagelle" ai singoli Paesi: rivede al ribasso le stime di crescita per l’Italia nel 2014 e 2015. Il Pil calerà quest’anno dello 0,2% (-0,5 punti percentuali rispetto a luglio) e tornerà positivo nel 2015 con +0,8% (-0,3 punti). Fanno meglio Spagna (+1,3% 2014 e +1,7% nel 2015) e Grecia (+0,6% e +2,9%). Le altre previsioni salienti per il Belpaese sono di una disoccupazione sopra la media Ue, al 12,6%, nel 2014, poi di un debito pubblico che balza al 136,7% del Pil, per poi scendere al 125,6% nel 2019.

La scure sulla crescita colpisce anche Francia e Germania: la locomotiva d’Europa è vista crescere dell’1,4% quest’anno e non più dell’1,9% come a luglio, colpa di "un’inattesa debolezza nel secondo trimestre". Per il 2015 la limatura è dello 0,2% all’1,5%. In Francia, l’Fmi si aspetta per l’anno in corso un Pil in aumento dello 0,4% e non più dello 0,8% mentre per il prossimo è atteso un +1%, lo 0,5% in meno delle stime di tre mesi fa.

Stati Uniti e Cina. Il Fmi ha alzato le stime di crescita per quest’anno degli Stati Uniti e ha lasciato invariate quelle del 2015. Il Pil statunitense è visto salire del 2,2% nel 2014, lo 0,5% in più rispetto alle stime del Weo dello scorso luglio. Ma per colpa di un primo trimestre "molto debole" - conseguenza del vortice polare che ha colpito la nazione - la revisione rispetto al weo dello scorso aprile è pari a un -0,6%. L’anno venturo è atteso un +3,1%. Nella prima economia al mondo, si legge nel documento, restano in atto le condizioni per una forte accelerazione della ripresa: una politica monetaria accomodante, condizioni finanziarie "favorevoli", un peso fiscale "ridotto di molto", il miglioramento dei bilanci delle famiglie e un mercato immobiliare residenziale "più in salute". Di conseguenza, precisa il Fondo, in media la crescita nella sola seconda metà del 2014 sarà del 3%. Quanto invece alla Cina, il Pil crescerà del 7,4% nel 2014 e rallenterà al +7,1% l’anno prossimo.

Bce e Fed. Un capitolo del discorso del Fmi è rivolto alle Banche centrali. A Draghi, come già avvenuto in passato, si chiede di star pronto a nuovi interventi. "Se le prospettive di inflazione non migliorano e le aspettative sull’inflazione non dovessero aumentare, la Bce dovrebbe fare di più, incluso l’acquisto di attività sovrane": in pratica è l’invito al quantitative easing. Quanto alla controparte americana, la stima del Fmi è che la Federal Reserve inizierà ad alzare i tassi di interesse - fermi allo 0-0,25% dal dicembre 2008 - "nella seconda metà del 2015". Negli Usa, il processo di normalizzazione della politica monetaria procederà "agevolmente" e senza aumenti ampi e protratti nella volatilità dei mercati finanziari.