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 2014  ottobre 07 Martedì calendario

NAPOLITANO, 36 ANNI FA, AVEVA PREVISTO CHE L’INGRESSO NELLO SME AVREBBE MESSO I PAESI DEL SUD, IN BALIA DELLA STRAPOTERE TEDESCO

Finora il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, solitamente prodigo di moniti, ha accolto con un rigoroso silenzio lo strappo del premier Matteo Renzi sul Fiscal Compact. Sul sito del Quirinale, la sezione «Interventi e interviste» è ferma al 30 settembre, e registra un discorso di Napolitano sul Csm. Da allora, sulla scena politica, ci sono state parecchie novità: il Def 2015 (Documento di economia e finanza), che rinvia il pareggio di bilancio al 2017, ignorando il Fiscal Compact; l’impegno di Renzi a varare in tempi record il Jobs Act, compresa l’abolizione dell’articolo 18, per dimostrare che chi fa le riforme può sforare; infine l’alleanza Francia-Italia in chiave anti-austerità, che di fatto è contro l’egemonia europea di Angela Merkel, senza dubbio la novità più rilevante sul piano europeo.
E Napolitano? Di solito, chi tace acconsente. Che sia vero anche in questo caso? Dal Palazzo, filtrano indiscrezioni secondo le quali vi sarebbe piena sintonia tra il Colle e Palazzo Chigi sulla politica economica. Non solo. Anche Pier Carlo Padoan, che a suo tempo fu nominato ministro dell’Economia più per scelta di Napolitano che di Renzi (il premier neppure lo conosceva), sta portando acqua al mulino dell’anti-austerità, fino a mettere in discussione la validità dei metodi contabili di Bruxelles nell’esame dei bilanci nazionali. E detta da Padoan, che è stato un dirigente importante dell’Ocse, la critica assume un certo peso. Non si deve infine dimenticare che sulla politica economica e monetaria europea il presidente Napolitano ha sempre avuto le sue idee, frutto di una lunga carriera politica, che, per decenni, lo ha visto tra i dirigenti dell’ex Pci.
Idee, le sue, che, in buona sostanza, non ha mai cambiato ed hanno un punto di riferimento preciso: il discorso ormai celebre con il quale, il 13 dicembre 1978, illustrò le ragioni per cui il Pci avrebbe votato contro l’ingresso dell’Italia nello Sme, il Sistema monetario europeo, dal quale è poi nato l’euro.
Alcuni passaggi di quel discorso storico, riletti oggi, appaiono di grande attualità. Soprattutto se si considera che l’opposizione di Napolitano allo Sme, allora, non era dettata da anti-europeismo, bensì dal tentativo di conciliare con maggiore gradualità la crescita dell’Europa unita con l’interesse nazionale dell’Italia. Gradualità che invece cedette il passo, a suo avviso, a una decisione affrettata, contro l’interesse dell’Italia. Per Napolitano, l’Italia stava entrando nello Sme senza «adeguate garanzie» a tutela dei Paesi con le economie più deboli: «Si è così finito per mettere il carro di un accordo monetario davanti ai buoi di un accordo per le economie».
Nel suo mirino c’era la Germania, allora guidata dal cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt, e lo disse in modo chiaro: «Dal vertice europeo è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza della Germania, in particolare della Banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e a sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie dei Paesi della Comunità». Oggi la stessa critica potrebbe essere mossa al rifiuto della Merkel di ridurre l’enorme surplus commerciale tedesco, pure esso una violazione del Fiscal Compact.
Per sottolineare la mancanza di solidarietà europea da parte della Germania, Napolitano aggiunse: «È così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema monetario debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendo un paese come l’Italia alla deflazione». E più avanti: «Il rischio è di vedere ristagnare la produzione, gli investimenti e l’occupazione, invece di conseguire un più alto tasso di crescita, di vedere allontanarsi invece di avvicinarsi la soluzione dei problemi del Mezzogiorno».
Ma ecco un altro passaggio che, a distanza di 36 anni, sembra quasi profetico. «Dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario. Se ci si vuole confrontare con i problemi di fondo, bisogna sbarazzarsi di ogni europeismo retorico e di maniera». Allora il Pci era in minoranza, e il «no» di Napolitano all’ingresso dell’Italia nello Sme non contò nulla: ebbe la meglio il governo monocolore di Giulio Andreotti (ministro del Tesoro, Filippo Maria Pandolfi), costituito dopo l’assassinio di Aldo Moro.
Così l’Italia non frappose nessun paletto allo strapotere della Germania nello Sme, un errore che è stato ripetuto due volte: prima da Romano Prodi con l’ingresso nell’euro, senza garanzie di fuoriuscita in caso di insuccesso, e nel 2012 da Mario Monti con la firma del Fiscal Compact. Renzi sembra avere fatto tesoro di quegli sbagli, e ha deciso di cambiare verso. E Napolitano, a meno che voglia smentire se stesso, lo lascia fare. Si vede che anche lui, dopo tanto europeismo retorico (basta ricordare i suoi moniti durante i governi Monti e Letta), ha deciso di cambiare verso.
Tino Oldani, ItaliaOggi 7/10/2014