Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 7/10/2014, 7 ottobre 2014
I POTERI FORTI NON CI SONO PIÙ
[Intervista a Giulio Sapelli] –
Chi comanda in Italia? La domanda è riemersa nei giorni scorsi, quando un duro editoriale del Corsera contro il premier, Matteo Renzi, aveva rilanciato la polemica di «poteri forti» di questo Paese.
Una domanda di cui Giulio Sapelli, torinese, classe 1947, storico dell’economia, aveva fatto il titolo stesso di un suo fortunato libro uscito per GoWare.
Per la stessa casa editrice esce, in questi giorni, un altro titolo assai interessante: Il potere in Italia.
Domanda. Professore, si è parlato molto di poteri forti, di recente. Ma il potere oggi, in Italia, dove sta?
Risposta. In questo paese, oggi, il potere è una mucillagine. Dopo la distruzione dell’impresa pubblica, non c’è stata la sostituzione da parte grandi gruppi privati, le nostre sono state privatizzazioni cleptocratiche e che hanno portato solo alla distruzione della grande impresa. Non c’è più il grande sistema delle Partecipazioni statali, delle banche pubbliche, ci sono rimasti gruppi bancari che sono tra i più inefficienti del mondo. I gruppi privati, con l’uscita di Fiat, che ora è un gruppo anglo-olandese-americano, non ci sono più.
D. Beh, c’è l’Eni...
R. Sì, sotto attacco ormai da anni, con denunce cervellotiche, che han portato a indagare anche su i trust patrimoniali personali, aldilà di ogni immaginazione totalitaria.
D. È finito un mondo, lei dice?
R. Sì, quello che era Iri, da un lato, e Mediobanca, dall’altra, non c’è più. E poi sono scomparsi i grandi partiti, non dimentichiamolo. Perché Silvio Berlusconi, insomma, un grande potere non lo è mai stato: sì, aveva le televisioni ma nulla al paragone di Gianni Agnelli con la Fiat.
D. Cosa resta, professore?
R. Le alte burocrazie, i grand commis, e la magistratura soprattutto ma che, per natura, è un potere diviso, con anime sempre in lotta.
D. Situazione preoccupante, mi par di capire...
R. Grave, perché siamo in uno di quei passaggi in cui la storia si interseca con la cessione di quozienti di sovranità costituita da questa Europa, che è distruzione dello Stato nazionale. Ricorda cosa diceva Samuel Huntington?
D. No, me lo rammenta?
R. In questi casi, diceva, emerge solitamente il potere dei militari ma noi non abbiamo neppure quelli. E non è che abbiam fatto sempre male.
D. A quale esperienza si riferisce?
R. Alla Turchia del dopoguerra: stavano per due mesi, poi tre mesi, poi tre anni ma hanno fatto crescere quel paese. Oggi con la Nato non è più possibile, chiaro.
D. Seguo il suo ragionamento. Se i poteri economici sono declinati e quelli politici spariti, che succede a questo paese?
R. Che ci sono dei poteri internazionali che si stanno contendendo l’economia italiana. Subiamo la pressione di alcune grandi potenze: gli Stati Uniti, in primis, la Gran Bretagna che opera su diretto mandato. E poi Francia e Germania, che sono poteri più piccoli, ma nei quali c’è un sistema-paese per cui, quando un gruppo parte per un’acquisizione, c’è il ministero di supporto.
D. Proprio giovedì scorso il premier Renzi, era alla City di Londra e qualcuno ci visto la bottiglia di champagne al varo di un nuovo Britannia (la nave da crociera inglese che attraccò a largo di Civatavecchia nel ’92 e a bordo della quale furono trattate importanti privatizzazioni del governo di Giuliano Amato con gruppi britannici, ndr).
R. Mah, il Britannia, nel senso della congiura, non c’è mai stato.
D. Lei è fra gli scettici, al riguardo...
R. Ci fu, negli anni dal 1992 al 1994, una certa pianificata spoliazione della nostra industria con le privatizzazioni, che videro protagonisti anche Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi. Ma no, non vedo un Britannia, in quel senso...
D. E cosa vede?
R. Vedo un sistema non unificato e sconvolto da lotte di settore. Facciamo un esempio: i Cinesi vogliono tutte le nostre reti sebbene il gruppo dirigente di Cassa depositi e prestiti sia culturalmente e storicamente più vicino alla Francia. I quali Francesi le vorrebbero anche loro, queste infrastrutture, così come i Tedeschi, che sono interessatissimi a far shopping da noi. Guardi la vicenda Unicredit.
D. Ma come, professore, non era stata Piazza Cordusio a comprarsi la banca germanica Hvb?
R. Già, ma in realtà è la banca tedesca di fatto sta condizionando Unicredit. Ma per tornare a un eventuale nuovo Britannia, ribadisco: non c’è, ma è iniziata la campagna d’Italia.
D. E Renzi che può fare in questo contesto?
R. Renzi è stato incoraggiato e appoggiato dagli Stati Uniti. Non creato, badi bene, quella è una fesseria che qualcuno si ostina a scrivere. È stato appoggiato, perché OltreAtlantico hanno bisogno di politici europei che possano opporsi ad Angela Merkel, per impedire che l’austerità tedesca blocchi il Tratto transatlantico dei commerci e degli investimenti.
D. Il famoso Tipp di cui scrive spesso il nostro Tino Oldani. Perché la Germania lo impedirebbe?
R. Intanto perché gli imprenditori tedeschi non lo vogliono: c’è stata anche una recente e dura presa di posizione della Confindustria di quel paese e anche noti industriali sono scesi in campo. Non vogliono l’imposizione di misurazioni, di standard tecnici, che danneggerebbero molti settori, dall’industria meccanica a quella alimentare. E questo, per inciso, avviene nell’assoluta segretezza ed è stupefacente. C’è però un altro motivo che spinge gli Americani contro Merkel.
D. E quale, professore?
R. Gli Usa sanno bene che non possono fare accordi con un’economia in deflazione come quella che l’austerità tedesca sta generando. Su questo sono d’accordo economisti di destra e di sinistra, per quanto valgano in America questa distinzioni. Cioè lo sostiene Paul Krugman, come Paul Samuelson o Joseph Stiglitz. Son tutti contro la Merkel.
D. Di qui, il favore con cui si guarda Renzi, lei dice...
R. Esatto. Sono alla ricerca da tempo. Non dimentichiamoci l’infatuazione del precedente ambasciatore americano in Italia, John Thornton, per Beppe Grillo, definito come un grande campione di rinnovamento.
D. Ma Renzi funziona come anti-Merkel?
R. Purtroppo deve fare i conti col fallimento di Mario Draghi, il quale non ha saputo garantire neppure la stabilità monetaria e siamo in presenza di una deflazione spaventosa. E poi la stesssa configurazione data da Jean-Claude Juncker alla Commissione, tutta contraria alle ragioni dello sviluppo, è una sconfitta per Renzi.
D. La Francia ha però alzato la testa e il premier ha detto di stare da quella parte...
R. Parigi si è giustamente ribellata a questi vincoli del 3% che, tra l’altro, non sono stanno neppure nei trattati.
D. E il futuro di questo presidente del consiglio, allora, come lo vede?
R. Quello economico molto problematico: la stagnazione secolare è iniziata. E col fallimento, clamoroso della Bce, che non ha impedito la deflazione, figurarsi se sia possibile una ripresa dell’economia. D’altra parte, da noi, non c’è più l’economia mista, pubblico-privata, per le ragioni dette sopra e manca ancora quella sburocratizzazione che possa spingere le imprese a provare a investire o attrarne dall’Estero. E la crisi economica rischia di diventare politica.
D. Eppure i consensi sono ancora alti...
R. Se si votasse e gli euroscettici trovassero un partito decente, non i grillini e neppure la Lega che non lo sono, credo che quel 41% del Pd non sarebbe ripetibile.
D. Senta, non finirà che, in qualche modo, per fare la sua battaglia europea sui vincoli, Renzi non finisca per diventare un po’ euroscettico pure lui?
R. Dovrebbe, ispirandosi a Tsipras...
D. Tsipras?
R. Quello greco, quello vero, Alexis. Non questi nostri, figurarsi, roba da Circo Togni. Il vero Tsipras sta facendo una battaglia seria: non vuole uscire dall’euro ma rinegoziare i parametri europei. Da noi ne è stata data un’immagine un po’ clownesca dai giornali, e anche voi di ItaliaOggi non vi siete sottratti. Ma non dimentichiamo che la Grecia ha grandi tradizioni politiche già dagli anni ’30 e ’40 sia a destra sia a sinistra.D. Dunque ci vorrebbe un Renzi euroscettico modello Tsipras, ma quello originale...
R. Sì per contrastare quello distruttivo e nichilista di Grillo o quello della Lega, la quale ha anche ottimi amministratori, come Roberto Maroni e alcuni sindaci, ma incapaci di far politica.
D. E funzionerebbe, professore?
R. Sì, se Renzi si facesse un po’ ascoltare in Europa così e non ascoltasse solo se stesso e il suo cerchio magico, riclassificasse la sua posizione. Ma lo vedo difficile, perché c’è in lui una tendenza al bonapartisimo...
D. Tendenza che si manifesta in cosa?
R. Ma prenda questi attacchi ai sindacati, sconcertanti. E intendo ovviamente anche ai sindacati industriali. Non succede da nessuna parte, via...
D. All’ultima direzione ha promesso che riaprirà la Sala verde di Palazzo Chigi, quella deputata alle trattative e oggi si incontrano...
R. Speriamo che non siano solo vagiti. La concertazione non significa fare quello che dice il sindacato o la Confindustria, ma ascoltare almeno.
Se la professoressa Elsa Fornero avesse ascoltato i sindacati avrebbe evitato la situazione degli esodati.
D. Per sanare la quale, alla fine, avremo speso almeno 12, si è detto...
R. Moltissimi e con molta sofferenza sociale.
D. Quali altri errori commette il leader del Pd?
R. Questa cosa del conflitto generazionale, su cui sta insistendo, è una stupidaggine: in tutti i paesi al mondo si cerca di unire. E lo fa, mi sono fatto questa idea, per un’attrazione personale verso il potere.
Ma insomma, sui sindacati che senso ha fare Tony Blair vent’anni dopo, quando Ed Milliband sta da tempo riallacciando i rapporti con le unions?
E poi l’esperienza serve, mi creda. Plutarco diceva che va unita alla lancia della giovinezza.
D. Professore però se Renzi, per compiacere agli Americani o meno, riuscisse a scalfire questa cappa di austerità europea, non farebbe il bene del paese?
R. Certo. Ed è per questo che va appoggiato, aldilà dei limiti che ho ricordato.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 7/10/2014