Fabio Di Chio, Il Tempo 7/10/2014, 7 ottobre 2014
SIAMO ENTRATI NELLE CASE DELL’ORRORE
Il tempo spazza via tutto. Anche il sangue che ha imbrattato Roma. Nelle case dei delitti entrati a far parte della storia nera si è ripreso a vivere come se niente fosse. Le quattro mura sono tornate a essere casa dolce casa. La Capitale ha il primato del noir. È un museo metropolitano del crimine. Chi lo abita spesso non sa niente del passato. Non risente i passi di assassino e vittima, le loro grida, non immagina quelle scene violente, non avverte una vibrazione di odio e paura. Eppure c’è stato tutto questo.
IL DELITTO MORO
I bambini corrono e giocano lì dove Aldo Moro è stato segregato, processato e poi crivellato di colpi. Il 16 marzo del ’78, in via Fani, il presidente della Dc venne sequestrato e cinque uomini della scorta uccisi da un commando della Brigate rosse. Passò 55 giorni da recluso in un appartamento in zona Villa Bonelli, tra via della Magliana e la Portuense. Fu tenuto prigioniero in un cubicolo di cartongesso ricavato nella casa al primo piano di via Montalcini 8, interno 1. Nel garage sottostante i carcerieri gli spararono dopo averlo caricato nel portabagagli di una Renault4 per poi lasciare il cadavere in via Caetani. E fu lì che nonna Assuntina - prima inquilina dopo il delitto - arredò la sua camera da letto, coprendo coi mobili la striscia biancastra sul parquet della finta parete dell’ex cella di Moro. Ora «ci viviamo da tre anni, sto ristrutturando l’appartamento - dice la nuova proprietaria con in casa i figli piccoli - So quello che è successo ma chi ci pensa più. Andiamo avanti, è una vecchia storia».
IL CANARO
C’è stato uno dei peggiori delitti. Ora è un bar. Le bibite in fresco, i tavolini e le sedie ancora da sistemare, i lavori di ristrutturazione da finire. Il locale si chiama «Quei bravi ragazzi», insegna disegnata a mano. Lo gestisce Ivan, un ragazzo di 30 anni della zona, con tanta voglia di fare. «Quasi un anno fa era un bar - spiega - ora è un circolo culturale dove poter giocare a poker. Non voglio zingari tra i piedi, solo clienti tranquilli, gente a modo. I rom li ho mandati via, non se ne poteva più. Del Canaro so poco e niente». Nel febbraio 1988 qui era tutto diverso. In via della Magliana 253, una stradina, c’era una toilette per cani gestita da Pietro De Negri. Il 18 di quel mese commise uno dei peggiori omicidi che Roma ricordi. Drogò, torturò, amputò e oltraggiò il corpo del pugile Giancarlo Ricci. De Negri aveva detto di essere stanco di subire prepotenze. E si vendicò. Odio puro. Dice il veterinaio della via, Manuele Cascioli: «Sì, del delitto del canaro se ne parlava. Ora non più, È roba passata».
IL NANO DI TERMINI
Un’agenzia turistica e uno studio di ingegneria. Chi frequenta e lavora in quegli uffici al primo piano rialzato di viale Castro Pretorio 30 forse non sa che il 26 aprile 1990, tra quelle mura, vi fu un omicidio diventato paradigma degli effetti mortali della perversione. Il nano di Termini, di professione imbalsamatore, cercò di ostacolare la relazione di Armando Lovaglio, all’epoca 21 anni, con Michela Palazzini, di 20, in attesa di un bimbo. La risposta dei nuovi occupanti è secca e gentile: «Mi dispiace, della storia non se ne sapeva niente e neppure incuriosisce». Dove Semeraro, il "nano", fu strangolato, ora c’è una scrivania con un computer. Nella stanza dove ebbe inizio la lite scaffali ed espositori di riviste che pubblicizzano spiagge da sogno. E dove Armando Lovaglio tolse la vita a quell’uomo alto un metro e 30, ora c’è un muro che divide i due ambienti.
VIA POMA
C’è lo studio del notaio Fabrizio Guerritore, cugino della famosa attrice Monica. Al civico 2 di via Poma, in Prati, ogni giorno i clienti che sfilano non sanno (oppure sì) che il pomeriggio del 7 agosto ’90 al terzo piano della scala B fu uccisa con 29 stilettate Simonetta Cesaroni. Fu trovata con il reggiseno abbassato e senza nient’altro addosso. Il delitto non è mai stato spiegato. «Mi dispiace - dice la ferrea segretaria - non posso farla salire, mi capisce. Comunque nell’appartamento c’è uno studio notarile. Tutto qui, buongiorno». Ci sono stati vari accusati, un suicidio (in Puglia, del portiere andato in pensione Pietrino Vanacore) e tante assoluzioni. L’ultima, il 26 febbraio, di Raniero Busco, il vecchio fidanzato, confermata in Cassazione. È uno dei misteri italiani. Ma non l’unico in quel condominio maledetto. Sei anni prima la povera e dimenticata Renata Moscatelli, 68 anni, pensionata, nubile e casalinga, fu trovata alle 13,30 di mercoledì 24 ottobre 1984 al primo piano della Scala E del civico 4 in camera da letto con l’osso ioide (più noto come pomo d’Adamo) rotto.
FILO DELLA TORRE
Adesso ci abita l’ambasciatore etiope. Ogni giorno con la sua auto passa una delle tre sbarre davanti al gabbiotto dei vigilantes all’Olgiata per infilarsi sulla trafficata via Trionfale. L’area è off limits. Non si entra. Ma la sua villa, all’isola 106 28/a, il 10 luglio 1991 è stato teatro di un delitto che non ha avuto un colpevole fino a 20 anni dopo, al 1° aprile 2011. Tra le 7 e le 7.30 la contessa Alberica Filo della Torre svegliò i due bambini, scese al piano inferiore per poi rientrare in camera. Alle 9.15 la nobile venne trovata morta, riversa a terra, con le braccia aperte e la testa in un lenzuolo insanguinato. Nel 2011 il test del Dna ha incastrato il domestico filippino Winston Manuel Reys. Voleva soldi e gioielli. Ha confessato.
MORTA NELL’ARMADIO
«L’appartamento è ristrutturato. So di questa vicenda ma praticamente non ci penso, né io, né mio marito. Il tempo passa». L’omicidio però resta insoluto (riaperto nel 2011). Antonella Di Veroli, 47 anni, commercialista, fu uccisa nella notte tra il 10 e l’11 aprile 1994 nel suo appartamento in via Oliva 8, a Montesacro. Il killer aspettò che si addormentasse, le poggiò il cuscino sul volto e le sparò due colpi di pistola calibro 6,35. Ancora viva, l’assassino la soffocò con un sacchetto di plastica. Chiuse il corpo nell’armadio bloccando le ante con la colla.