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 2014  ottobre 07 Martedì calendario

COME È FATTA UNA FAMIGLIA DI PREMI NOBEL

Eccola, la signora premio Nobel: vestito a fiorellini, capelli neri e lunghi sulle spalle, gambe slanciate, due grandi mazzi fra le braccia, May-Britt Moser gira su se stessa e ride e piange nel corridoio del suo istituto: proprio come se avesse perso quel Gps, quel navigatore satellitare del cervello, che invece ha scoperto nella realtà, nel cervello dei topi che in qualche modo assomiglia anche al nostro.
Quando è giunto l’annuncio del Nobel della medicina, May-Britt è corsa nel suo studio e non ne è uscita per 10 minuti: piangeva di gioia, ha raccontato più tardi. Poi dicono che i norvegesi sono una stirpe fredda. Ora lei canta, abbraccia tutti, anche la bottiglia di champagne che le porgono ridendo, «qui le bollicine scoppiettano, viva la Norvegia!» proclama: la videocamera nelle mani di un collega filma tutto, e tutto finirà poi sul web. Dove nel frattempo è approdato anche lui, l’altro norvegese, il signor premio Nobel.
Edvar Moser, 52 anni e cioè uno in più di May-Britt, volto da folletto dei boschi un po’ come quello della moglie, mai li diresti scienziati seriosi, le loro sono fisionomie da boscaioli del Grande Nord con sguardi brucianti di curiosità (guardare le foto sul web, per credere): «Ero su un aereo per Monaco e quando sono atterrato un signore stava ad aspettarmi con un mazzo di fiori; quando ho riacceso il cellulare, era pieno di messaggi e di chiamate perse. Incredibile».
Incredibile sì, anche la loro storia personale. Non tanto perché Edvar e May-Britt sono soltanto la quinta coppia sposata della storia a ricevere il Nobel. Ma per come ci sono arrivati. Coppia salda e convinta come certe conifere ai margini dei fiordi, 34 anni filati di «cotta» furiosa poi applicata pari pari allo studio e al lavoro. «Cotta» iniziata al liceo e coronata con il matrimonio quando ancora Edvar e May-Britt non si erano laureati. Erano nati entrambi in villaggi isolati e tradizionalisti del Nord, dove in tempi lontani pescatori e cacciatori di foche leggevano alla sera la Bibbia, e dove l’alcol e le partite a carte erano dei vizi. Nelle famiglie dei due non c’erano accademici: niente a che vedere con una vita da Nobel, neppure immaginata. Ma in loro, gli sposini, c’era già quella curiosità che bruciava. Due figlie di 23 e 19 anni (la primogenita arrivata quando papà e mamma avevano appena preso il dottorato): e poi sempre, ad ogni svolta della vita, il sogno che non li ha mai abbandonati. Un sogno di coppia: «Noi due abbiamo un progetto comune e un comune obiettivo — ha scritto una volta Edvar — ed entrambi bruciamo intensamente per raggiungerlo. E dipendiamo l’uno dall’altro per conquistarlo. La maggior parte delle coppie riescono a collaborare nell’allevamento dei figli: per noi, la nostra ricerca sul cervello è il nostro terzo figlio, così non c’è nulla di diverso dagli altri, davvero».
Su questo, c’è forse da dubitare. Ma certo la ricetta di Edvar e signora sembra funzionare: «cotta» più determinazione e anche ambizione, più naturalmente il genio scientifico, e alla fine arriva una telefonata da Stoccolma: «Sapevamo che eravamo stati nominati per il premio, dunque candidati, ma non avremmo mai immaginato che avrebbero scelto proprio noi…». È accaduto, invece, e oggi sembra che il loro curriculum avesse già previsto tutto. Edvar e May-Britt si sono laureati entrambi prima in Psicologia, poi hanno virato sulle Neuroscienze. I loro colleghi li descrivono come gente poco amante dei riti accademici. Questo non impedisce ai coniugi-scienziati, ma è cosa scontata per ogni ricercatore norvegese, di appartenere orgogliosamente all’Accademia reale delle Scienze e delle lettere.
Sia come sia, la situazione attuale della famiglia è la seguente: Edvar è il direttore dell’Istituto Kavli per la Neuroscienza sistemica presso l’Università norvegese della Scienza e della tecnica, a Trondheim, uno dei centri scientifici più importanti in Norvegia e al mondo. E il condirettore, anzi la codirettrice? Lei, May-Britt. Stesse posizioni al Centro di Biologia della memoria. Questa volta sì, questa volta è in tutto e per tutto vita da Nobel, ma in due: premio raddoppiato, e nello stesso tempo unico, fuso. La coppia è come una macchina ben oliata: lei lavora più direttamente sugli esperimenti, li sceglie e li dirige, lui si occupa di più dell’analisi e interpretazione. Integrazione perfetta. «Lavoro con May-Britt in qualità di suo collaboratore», scherza a volte Edgar. O forse non tanto: mesi fa, May-Britt ha vinto il «Premio per la miglior donna-boss, per la sua superba leadership». E poi è arrivato il Nobel, il Nobel matrimoniale.