Sergio Romano, Corriere della Sera 7/10/2014, 7 ottobre 2014
L’ASSALTO AL MONDO DEI FONDAMENTALISTI ISLAMICI, L’ISIS E LA GUERRA IN SIRIA DI AL BAGHDADI SONO LA CONSEGUENZA DELLE PRIMAVERE ARABE?
Di fronte al fenomeno dei combattenti islamici noi europei sembriamo quasi vergognarci della nostra identità. Se la gente non rientrerà da questo buonismo, ci aspetterà un futuro di sudditanza e oblio culturale. Bisogna tendere la mano al mondo islamico, combattendo fanatismi e diffidenze, senza però dimenticare ciò che ha detto Oriana Fallaci, profeta inascoltato, mettendoci in guardia contro il terrorismo islamista praticato da ristretti gruppi di fondamentalisti. Chissà che non dovremo, anche se tardivamente, darle ragione.
Mario Pulimanti
Caro Pulimanti,
Occorre combattere l’Isis con fermezza. Mavii sono due modi per giudicarne l’importanza. Il primo è quello di considerarlo una naturale patologia dell’Islam, un vecchio nemico che assume vesti nuove, a seconda dei tempi e delle circostanze, per meglio attentare all’esistenza della società occidentale e dei suoi valori.
Il secondo è quello di trattarlo come un fenomeno storico, un evento di cui è opportuno, per meglio combatterlo, conoscere le cause lontane e vicine. Mentre il primo modo nasconde spesso un pregiudizio razziale verso l’intero mondo da cui proviene e finisce inevitabilmente per trasformare la resistenza occidentale in una mobilitazione sociale e culturale che evoca l’atmosfera delle crociate, il secondo permette di mettere a punto le strategie migliori. Per chi adotta il secondo metodo, l’idea di un nuovo califfato, da costruire con il sangue di coloro che non sono disposti a favorirne l’avvento, è il prodotto di due fenomeni storici.
Il primo è il fallimento degli Stati più o meno laici nati nel grande spazio arabo dopo il collo dell’Impero ottomano e la fine dell’era coloniale. Le grandi rivolte arabe del 2011 hanno abbattuto regimi pseudo-democratici, governati da élite corrotte che si erano arricchite a spese dei loro cittadini e avevano incarcerato o soppresso i loro oppositori. Ma i giovani ribelli del Cairo, Tunisi, Tripoli e Damasco non avevano quadri politici, un progetto, una realistica idea del futuro. Hanno creato un vuoto istituzionale, ma non sono stati in grado di riempirlo e hanno involontariamente aperto la strada a quei gruppi islamici, come la Fratellanza musulmana, che erano stati a lungo la sola opposizione al regime. Per qualche tempo abbiamo sperato che l’esercizio del potere avrebbe reso la Fratellanza accorta e responsabile. Ma quanto più si dimostrava incapace di gestire il potere, tanto più rapidamente veniva progressivamente scavalcata dalle componenti più radicali e minacciose del fronte musulmano: salafiti, wahabiti, veterani della guerra civile algerina dopo le elezioni bruscamente interrotte del 1991, seguaci di Osama bin Laden e del suo luogotenente Ayman Al Zawahiri. Ma il loro numero non sarebbe cresciuto con tanta rapidità se nonvii fossero stati due campi di battaglia, in Siria e in Iraq, in cui reclutare adepti e volontari. Il grande problema di ogni gruppo rivoluzionario, quando decide di ricorrere alle armi, è il reclutamento, indispensabile per sostituire i morti ed estendere il raggio d’azione del movimento. Le guerre di George W. Bush e quella del presidente siriano Bashar Al Assad contro i suoi connazionali sono state, in questa prospettiva, un prezioso vivaio di combattenti.
Quanto alle profezie di Oriana Fallaci, caro Pulimanti, credo che vadano lette come gli efficaci sfoghi letterari di una scrittrice appassionata, capace di cogliere gli umori della pubblica opinione e di sintonizzarsi con i sentimenti popolari. Sarebbe ingiusto non riconoscere i suoi meriti di giornalista impegnata e combattiva. Sarebbe imprudente attribuirle le caratteristiche che sono proprie di un osservatore politico.