Sebastiano Grasso, Corriere della Sera 7/10/2014, 7 ottobre 2014
I FRAMMENTI DI MITORAJ, UN RECUPERO DELLA TRADIZIONE CLASSICA
Colpito da un infarto, è morto ieri mattina, all’ospedale Saint-Louis di Parigi lo scultore italo-polacco Igor Mitoraj. Aveva 70 anni. Verrà sepolto a Pietrasanta, città in cui trascorreva circa sei mesi all’anno.
Era nato in Germania (a Oederan), nel 1944, da padre francese, ufficiale della legione straniera e da madre polacca. Il primo incontro con l’arte avviene sfogliando vecchi libri di opere classiche e, più recenti, degli Impressionisti. Liceo artistico e Accademia a Cracovia, nelle cui sale e corridoi egli si imbatte in riproduzioni di statue greche e latine; e dove negli ultimi tre anni segue i corsi di Tadeus Kantor. Che, alla fine, gli consiglia di lasciare la Polonia («Solo così potrai creare qualcosa di importante»).
Nel ’68, Igor prosegue i suoi studi all’Ecole Nationale des Beaux-arts di Parigi e si dedica alla pittura. Quindi, trascorre un anno in Messico. Nel ’74 rientra in Europa, si stabilisce nella Ville-Lumière e espone i primi lavori in scultura: terrecotte e bronzi. Due anni dopo, i primi riconoscimenti. Il ministro francese per la Cultura gli assegna uno studio a Montmartre. Vengono, poi, New York, Atene ed altre città della Grecia. Nel ’79 arriva a Pietrasanta (e nell’83vii si stabilisce). Nelle cave di Carrara scopre che è il marmo il «suo» materiale. Un crescendo. Dovuto anche al fatto che Mitoraj, contrariamente a molti scultori, suscita grandi emozioni. Decine le commesse pubbliche. E le mostre. A Roma, Maria Angiolillo lo prende sotto la sua protezione e ne fa un personaggio. Igor fa il suo ingresso nel giardino delle Muse, frequenta il Parnaso, siede a tavola con dei ed eroi, si unisce ai cacciatori di Gorgona e, spesso, per gli spostamenti chiede passaggi ai Centauri. Alla fine, quando qualcuno ricorda che egli guarda solo all’antichità, risponde che gli dei sono ancora tra di noi.
Nell’86 è presente alla Biennale veneziana, dove, in nuce, c’è già tutto il lavoro che approfondirà con gli anni. Igor recupera la bellezza classica, sempre chiamata a modello di armonia assoluta. Con una variazione: connotazioni antiche si amalgamano con elementi moderni. Qualcosa del genere ha fatto anche Dalí: recupera il mondo classico e lo modifica inserendovi elementi moderni e dissacranti. Il corpo della Venere di Milo ? Vi innesta alcuni cassetti, facendola diventare una specie di donna-oggetto e, così, evitando di cadere in una stantia ripetitività; e così anche nella Testa raffaellesca che esplode. Sulla scia di Dalí si muove anche Man Ray. Che avvolge Venere con lo spago e Venere restaurata con la corda. Certo buona parte degli artisti che «guardano» a questa specie di neoclassicismo, si rendono conto dei pericoli insiti nell’operazione. Ed ecco che qualcuno di essi ricorre ad un surrealismo sui generis o al concettuale (i calchi di Pistoletto, come quello della Venere degli stracci).
Mitoraj, invece, sceglie la strada del frammento. Volti corrosi, crepati, semidistrutti, ricoperti da bende. «L’immaginario è questa realtà devastata, questo passato crudele. Essendo immerso nella brutalità della storia, Mitoraj non ha certo bisogno d’integrare o esagerare. Non si limita a creare personaggi, volti o situazioni; va oltre e trasforma tutto. Jean Genet diceva che dietro ogni opera si nasconde un dramma», preciserà, in proposito, Tahar Ben Jelloun.
Ecco perché guerrieri, dei, efebi vengono rappresentati con varie mutilazioni, fatti a pezzi e ricomposti con una nuova logica. Mitoraj ha capito che il pubblico ha bisogno di avere un impatto immediato con l’opera, soprattutto quando, come nel suo caso, riesce a trasmettere nuove suggestioni. Malinconia e struggimento diventano un tutt’uno con la bellezza. Anzi, come diceva Giovanni Testori, con «la risurrezione della bellezza».