Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 07 Martedì calendario

UNGARETTI

& ROMMEL. I DUE SENTIERI –
Il tenente Erwin Rommel e il fante Giuseppe Ungaretti. Avevano 26 e 29 anni nel 1917, quando furono protagonisti senza mai incontrarsi - delle battaglie sul fronte italo-austriaco della Grande Guerra. Rommel cercava la gloria, Ungaretti la patria a cui - nato in Egitto - voleva dimostrare di appartenere. Quella di Rommel è una storia di azione: 150 chilometri in due settimane, combattendo dai confini italiani fino a Longarone, attraverso il Friuli. Quella di Ungaretti fu una lunga attesa nelle trincee del Carso.
Era l’autunno di Caporetto. In Germania lo chiamano “il miracolo” e lo studiano sui libri di scuola, in Italia si chiama “la disfatta” e per anni nessuno ne ha parlato volentieri. Ci ha pensato Alessandro Baricco a raccontare nel Memoriale di Caporetto questa storia che dice molto dell’Italia e degli italiani. È la storia di migliaia di soldati come Ungaretti che fronteggiarono il nemico per anni e quando lo videro arrivare alle spalle (Rommel) gettarono il fucile pensando che la guerra fosse finita. Può capitare - di gettare il fucile - quando combatti una guerra che non senti tua, perché sei nato in Sicilia (e l’Austria nemmeno sai dov’è) e sei agli ordini di superiori a cui non riconosci (più) autorità. Una storia che si può leggere sul territorio, paesi, corsi d’acqua, strade e sentieri. Oppure partecipando alle iniziative del Friuli per i cent’anni e scoprire l’archeologia di guerra a Redipuglia, la galleria dei cannoni nel monte Brestovec, le trincee di Monfalcone e sul monte San Michele. In inverno partiranno le escursioni storiche notturne. Oppure si possono utilizzare le memorie di Rommel come guida. Si parte dalla Slovenia, dove Caporetto si chiama Kobarid. Si sale sul monte Mrzli Vrh, vicino al Matajur, dove il tenente tedesco ricorda: “Dal nemico ci separano ormai solo centocinquanta metri. I soldati (italiani) si precipitano verso di me sul pendio trascinando con loro gli ufficiali che vorrebbero opporsi. Gettano quasi tutti le armi. In un baleno sono circondato e issato sulle spalle italiane. “Viva la Germania”, gridano mille bocche. Un ufficiale italiano che esita ad arrendersi viene ucciso a fucilate dalla propria truppa. Per gli italiani la guerra è finita”.Dai monti, il percorso di Rommel scende in pianura, lungo la valle del Natisone fino a Cividale, quindi attraverso i torrenti friulani che visti d’estate sembrano larghissime pietraie, ma in quell’autunno piovoso erano ribollenti d’acqua e difficili da attraversare. Il torrente Torre e il fiume Tagliamento. E poi Ragogna, il Ponte di Cornino, Travesio e Meduno. Di nuovo in montagna in quello che ora è il parco naturale delle Dolomiti friulane, lungo la strada costruita dagli alpini attraverso forcella Clautana, Erto e infine giù in discesa, correndo sulle biciclette pieghevoli abbandonate dai bersaglieri, fino a Longarone. Nella gola del Vajont c’era il ponte più alto d’Italia: 134 metri d’altezza, il ponte di Colomber. Ora non c’è più, venne sommerso dall’acqua del grande bacino che il 9 ottobre del 1963 precipitò a valle seminando la morte. Ma questa è un’altra storia. Rommel passò su quel ponte con i suoi uomini per scendere a Longarone e fermare le truppe italiane che scendevano dal Cadore: “Pochi soldati”, si legge nel suo diario, “si sono visti offrire durante la Guerra mondiale quanto ora a noi si offre nella valle del Piave: migliaia di nemici che si ritirano in una valle non troppo larga, ignari del pericolo che li minaccia sul fianco. I nostri fucilieri non stanno nella pelle”. Ecco la guerra. La stessa che Ungaretti, stanziale nelle trincee del Monte di San Michele, nel Carso, più a sud, descriveva così: “Un’intera nottata / buttato vicino / a un compagno / massacrato / con la sua bocca / digrignata / volta al plenilunio / con la congestione / delle sue mani / penetrata / nel mio silenzio / ho scritto / lettere piene d’amore / non sono mai stato / tanto /attaccato alla vita”.Ecco cosa pensava il fante-poeta dell’esercito italiano: “Arrivato al mio 19° Fanteria m’accorsi che nell’esercito non c’era coesione: tra i diversi gradi della gerarchia e soprattutto fra truppa e ufficiali c’era un abisso”. Arriverà la riscossa del Piave a restituire l’onore agli italiani. I luoghi. Udine, dove nel 1916 fu stampato Il porto sepolto: 80 copie di una raccolta dei versi di Ungaretti, oggi rarissima. Il Carso, questo altopiano roccioso spazzato dalla Bora d’inverno e arso dal sole in estate. Il poeta ci tornò una volta sola, nel 1966. Aveva 78 anni e scrisse: “Ho ripercorso qualche luogo del Carso, quella pietraia a quei tempi resa, dalle spalmature bavose di fanga colore del sangue già spento, infida a chi, tra l’incrocio fitto delle pallottole, l’attraversa smarrito nella notte. Oggi il rigoglio dei fogliami la riveste. È incredibile, oggi il Carso appare quasi ridente. Pensavo: il Carso non è più un inferno, è il verde della speranza”.Erwin Rommel: “I soldati italiani si precipitano verso di me trascinando gli ufficiali che vorrebbero opporsi. Gettano quasi tutti le armi. ‘Viva la Germania!’, gridano” Giuseppe Ungaretti: “Arrivato al mio 19° Fanteria m’accorsi che non c’era coesione: tra i diversi gradi della gerarchia e soprattutto fra truppa e ufficiali c’era un abisso”
Andrea Selva, la Repubblica 7/10/2014