Michele Bocci, la Repubblica 7/10/2014, 7 ottobre 2014
EBOLA E IL CASO DELL’INFERMIERA SPAGNOLA. PER INFETTARSI BASTA UN SOLO ERRORE NELLA PROCEDURA
[Intervista a Giovanni Rezza] –
«È successo quello che non doveva succedere». Il dottor Giovanni Rezza è il responsabile del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità e accoglie con preoccupazione le notizie arrivate da Madrid. «Bisogna essere molto rigidi sulle misure di protezione». Dottore, cosa è successo in Spagna?«C’è stato un errore e con l’Ebola gli errori si pagano. Abbiamo avuto vari casi di persone rientrate in Occidente con la malattia ma mai avevamo visto una falla nel sistema di protezione individuale degli operatori sanitari. Le procedure da seguire per avvicinarsi a questi pazienti sono lunghe e complesse. Non bisogna solo vestirsi nel modo giusto ma anche usare precauzioni nelle fasi dell’assistenza. E bisogna passare molto tempo a spogliarsi. Ecco, se tutto questo è eseguito bene non ci sono rischi».Si era detto che negli Usa e in Europa, visto il livello degli ospedali, i contagi in ambiente sanitario non ci sarebbero stati. «È così, da noi le procedure vengono applicate meglio. Nei paesi colpiti in Africa negli ospedali il virus si trasmette frequentemente, la situazione non è assolutamente paragonabile. A Madrid c’è stato un incidente di percorso, ma non va minimizzato». Adesso può scoppiare un focolaio in Spagna? «Un piccolo focolaio può anche esserci ma escludo che inizi una situazione di allarme. Del resto anche in paesi africani come Nigeria e Senegal ci sono stati alcuni casi, ma l’epidemia non è esplosa. Ora vanno valutati vari fattori. Intanto bisogna ricordare che l’Ebola non si trasmette se non ci sono i sintomi della malattia: chi lo sta incubando non è contagioso. Se quella operatrice sanitaria è andata su mezzi pubblici o in locali quando stava bene non ha attaccato niente a nessuno. Mi auguro però che, visto che era stata a contatto con il malato, si misurasse la febbre un paio di volte al giorno. E soprattutto spero sia andata in ospedale ai primi sintomi. Faranno un’indagine epidemiologica per rintracciare tutti i suoi contatti». Una cosa del genere deve far ripensare alle misure prese nel nostro paese? «No, qui siamo pronti ma quell’episodio ci dice che dobbiamo essere molto rigidi sulle procedure di protezione individuale e vigilare sulle misure per controllare l’infezione. Ad esempio non va commesso neanche l’errore fatto negli Usa, dove hanno rimandato a casa una persona di rientro dalla Liberia con sintomi influenzali. Da mesi il ministero ha allertato tutte le Regioni, le autorità portuali e aeroportuali. Sono stati individuati i centri clinici di riferimento e i laboratori di massima sicurezza, il Sacco di Milano e lo Spallanzani di Roma. La rete è predisposta, anche se speriamo di non doverla usare».E se arriverà un caso, cosa succederà?«La cosa più importante è fare un isolamento precoce. Cioè bisogna intercettare il malato tra le persone a rischio, perché ha la febbre ed è stato in uno dei paesi dove c’è l’epidemia. Se la persona viene messa in quarantena poco dopo che il virus ha iniziato a manifestarsi non ci sono rischi di contagio».
Michele Bocci, la Repubblica 7/10/2014