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 2014  ottobre 05 Domenica calendario

IL MACABRO RAPPER DELLA MORTE

Un nuovo video di due minuti, diffuso a ridosso del filmato che mostrava il messaggio finale di Alan Henning e la sua decapitazione, si è procurato ieri l’attenzione universale perché a recitare l’esaltazione dello Stato Islamico e l’appello all’insorgenza dei musulmani in Occidente è un giovane uomo di nazionalità britannica a viso scoperto. La novità (che non è del tutto tale, perché l’anatema sull’occidente pronunciato da suoi cittadini transfughi è un effetto già cercato dai gruppi jihadisti) conferma che la carta del terrore militare e della ferocia sanguinaria del sedicente califfato si accompagna come mai prima a quella della propaganda psicologica.
L’attore del video ha la testa coperta da una berretta di lana, uniforme mimetica, kalashnikov accanto, un braccio ingessato ad alludere a qualche impresa combattente e barba nera d’ordinanza. E’ ripreso alternamente, come lo sventurato Cantlie, di fronte e di profilo, ed enuncia i suoi capitoli, separati da altrettanti tagli al nero, come in un rap. Comincia con la sfida a Cameron, «spregevole porco», che mandi i suoi sul campo a battersi da uomo a uomo invece di bombardare dal cielo, e li riavrà indietro uno per uno dentro le bare. Lui e Obama sanno che i loro uomini «hanno un cuore di codardi», e che «noi amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita»: trito argomento, che è del resto il miglior riconoscimento che si possa fare allo stile di vita “occidentale”, benché sollevi dei problemi in punto di combattività. Si rivolge ai “fratelli” musulmani del Regno Unito, che facciano la migrazione sacra, ora che è stato insediato il Califfato, e abbandonino lo schifoso occidente. E se non possono mettersi in viaggio, allora si sollevino e colpiscano dentro il Regno Unito e l’Occidente e suscitino il terrore nel cuore degli infedeli: questo è il loro benedetto privilegio.
Guerra psicologica, dunque. La propaganda del sedicente Stato Islamico si avvale di argomenti vistosi. Che voglia insinuare il terrore “nel cuore degli infedeli” è certo. Sa che l’Occidente è diviso di fronte a ogni impegno militare. Il comizio del bellimbusto a viso aperto che si identifica come cittadino inglese (Abu Saeed al-Britani, “l’Inglese”, 27 anni) e sdegnoso disertore di quella cittadinanza, è il complemento dei messaggi che vengono fatti pronunciare ai cittadini americani o britannici prima del coltello: che si dichiarino traditi dai loro paesi e abbandonati. (La prossima vittima designata, l’americano Peter Kassig, si è convertito all’islam nel lungo sequestro da parte dell’Is). I video centellinati fra una macelleria e l’annuncio della prossima devono tenere col fiato sospeso e l’animo angosciato gli spettatori occidentali, identificati e straziati dalla sorte di persone come loro, rubate mentre testimoniavano o compivano opere di solidarietà o erano soltanto, il francese Hervé Gourdel, ordinari viaggiatori. La simpatia accorata per le famiglie colpite che si fonde con l’ostilità politica o ideologica per qualunque intervento armato: questo è un proposito della propaganda jihadista. Essa incita i governanti della coalizione – soprattutto i suoi capi, per ora, Obama e Cameron - a «mettere i piedi per terra», per deriderli come vigliacchi, o per attirarceli nella condizione più esposta. Ma il destinatario principale dei loro messaggi, del “messaggio del mujahid” di ieri, sono i musulmani: i giovani, che prendano posto nel jihad del terrore, e tutti gli altri, che li applaudano. Si è tentati di cogliere più la lucidità che il fanatismo in questo disegno. In realtà, questi invasati che amano tanto la morte sono preda del fanatismo. Smaniano di conquistare corpi e anime e piegarle ai blasfemi hamdulillah di cui farciscono i loro filmetti. La giovane curda caduta in battaglia che rinfacciava loro di saper combattere «solo da lontano, coi tank e l’artiglieria», sapeva di che cosa parlava. Questi veri uomini –leggete il rapporto dell’Onu sul nord dell’Iraq appena pubblicato stuprano, torturano e assassinano bambini colpevoli di aver raccontato l’uccisione dei loro genitori. Pagano le ricariche dei cellulari delle bambine e delle ragazze che hanno rapito, per poter continuare a tormentare i loro famigliari superstiti col racconto delle violenze abiette cui le sottopongono. In un ospe- dale di Mosul sono state “scaricate” quattro minorenni yazide devastate dall’emorragia, perché non erano più “usabili” né vendibili. Bambini strappati alle famiglie diventano guerrieri al loro servizio. E’ come, dice un medico disperato, «se volessero rubare l’anima a donne e bambini, come agli altri loro condannati, così attoniti nella tuta arancione».
Il fanatismo passa per lucidità quando dall’altra parte lucidità e umanità vacillano. Quando si continua a pronunciare l’esorcismo per cui «non metteremo comunque i piedi per terra». Quando si lascia espugnare Kobane perché è curda ed è difesa eroicamente da curdi mal armati perfino di stivali da terra, e i raid americani e di mezzo mondo non fermano l’avanzata dello “Stato Islamico”, e il governo turco annuncia che si muoverà sì, ma solo quando fosse minacciato un mausoleo vecchio di secoli, e a suo tempo traslocato per esigenze idroelettriche superiori. Le famiglie dei disgraziati ostaggi assassinati e indotti a farsi portavoce degli assassini – i quali cominciarono a decapitare molto prima dell’avvio dei bombardamenti - sono condannate a loro volta, a turno, a recriminare sui governi che non hanno fatto abbastanza. Per le vite dei singoli ostaggi, è difficile dire. In generale, non hanno fatto abbastanza: né per l’uso di una forza ragionevole contro una forza compiaciuta della propria brutalità, né per la “guerra psicologica”. Il video di un rap sincero, convincente e di talento sul grottesco orrore del cosiddetto califfato non è stato ancora girato. Magari (magari!) lo farà un musulmano inglese di terza generazione.