Nanni Delbecchi, il Fatto Quotidiano 6/10/2014, 6 ottobre 2014
PICCOLI TOTTI CRESCONO, SENZA GIOCARE
Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la favola del calcio, ha scritto Jorge Luis Borges. Ma anche le favole si aggiornano nell’era di Internet. Il pallone sempre più raramente è fatto di stracci, come era quello di Pelè, Garrincha o Ronaldo, quando giocavano nei cortili delle favelas prima che qualcuno li notasse. Soprattutto, oggi c’è un ubiquo cortile globale, dove per vedere chi sta dando calci a un pallone basta un clic. Nell’epoca degli smartphone, se si sogna di passare alla storia del calcio la strada maestra sta nell’esibire le proprie doti sul web, magari paragonandosi esplicitamente al campione di cui ci si sente gli eredi.
È andata così anche per Pietro Tomaselli, che a dieci anni ha appena firmato un contratto con la Roma ed è stato accolto a Trigoria come un nuovo Totti. Nato in Belgio da una famiglia di origini trapanesi (a Trapani gli hanno già intitolato un fan club), il piccolo Totti ha militato nelle giovanili dell’Anderlecht, ma papà Pino ha capito subito che quel talento lo avrebbe potuto portare dappertutto. “È un vero leader”, dichiarava il papà tra una magia e l’altra del figlio prodigio sul web, scoprendosi a propria volta procuratore prodigio. Con ottimi risultati, visto che a osservare Pietro sono arrivati dal Barcellona, dal Real Madrid, dall’Arsenal... Alla fine l’ha spuntata la Roma e la famiglia, pur benestante, non ci ha pensato due volte prima di abbandonare Courcelles, nei pressi di Charleroi, per spostarsi al seguito del fenomeno di casa, e pazienza se in casa si è sempre tifato Milan. Indiana Jones è un dilettante, per chi insegue il mito del nuovo Lionel Messi: acquistato a 12 anni per 10mila euro, oggi vale mille volte tanto.
Il mito del nuovo Lionel Messi
Su come Pietrino e la sua famiglia si stiano ambientando la società tace, trincerandosi dietro la necessità di proteggere la privacy della piccola star (che, tuttavia, è diventata tale impazzando su Youtube). Tutto ciò che è dato sapere è che si farà le ossa nelle giovanili, con la speranza di farlo debuttare in prima squadra tra qualche anno. Non più di sette, se tutto andrà come deve, visto che l’età di reclutamento degli esordienti prodigio sta scendendo sempre di più, ultimo esempio nel nostro campionato Hachim Mastour, il sedicenne “Messi marocchino” entrato ufficialmente nella rosa del Milan.
Ma ciò che è ancor più in caduta libera è l’età di reclutamento dei giocatori. Sebbene il trasferimento di minori da una squadra all’altra senza essere accompagnati dai genitori sia vietato, è in corso una sorta di tratta di giovanissimi che arrivano in Europa dall’Africa e dal Sudamerica, non necessariamente accompagnati. Tra i tanti viaggi della speranza, ci sono anche questi. Una volta giunti nell’eldorado del pallone, però, si può finire abbandonati a se stessi, vittime di finti procuratori, mercanti senza scrupoli di sogni altrui. Oppure, se davvero si riesce a ottenere un ingaggio, i modi per aggirare i regolamenti della Fifa non mancano, e il trasferimento viene comunque sanato se i genitori del giovane calciatore lo raggiungono nel Paese della società “per motivi indipendenti dal calcio” (altra risibile ipocrisia). Così, il mercato si popola a vista d’occhio di aspiranti predestinati, sul juke box di internet le nuove proposte sono quotidiane, e la concorrenza tra i 5 mila agenti Fifa autorizzati nel cercare si fa sempre più spietata.
Non c’è luogo sulla faccia della Terra che, a sentire Internet, non abbia un futuro Pallone d’Oro: si può scegliere tra il “Messi d’Irlanda” Zak Gilsenan, il “Messi giapponese” Take Kubo o il “Messi colombiano” Tomy Angel junior; a Mateo Sitckler, invece, conviene candidarsi a nuovo Ronaldo, visto che anche lui, come Messi, è argentino. Il fenomeno si è fatto talmente virale che qualcuno ha pensato bene di inventare un Facebook su misura; www.tascout.com è una piattaforma social riservata ai calciatori dai sette ai 17 anni. Il suo slogan, “La distanza tra sogno e realtà è un video”, dice già tutto, e assona sinistramente con gli slogan dei casinò online. Una distanza alquanto ottimistica, dal momento che fino a una certa età ci sono troppe cose che nessun video potrà mai prevedere, la personalità, la struttura fisica, la capacità di ambientarsi e di fare gruppo. Insomma, la scoperta che la strada per farcela è lastricata di spogliatoi, molto più che di campo. Secondo l’ultima statistica disponibile (2012), il 57% dei baby-calciatori arrivati in Italia aveva in media 12 anni; mentre la percentuale dei bambini trasferiti diventati davvero professionisti è dello 0,1. In fondo, la percentuale classica dei sogni che diventano realtà. La morale più triste è un’altra: troppi piccoli geni del pallone non sono diventati professionisti, ma non sono nemmeno mai stati dilettanti, perché troppo presto hanno smesso di essere bambini. “La storia del calcio” ha scritto Eduardo Galeano, “è un triste viaggio dal piacere al dovere, mano a mano che si è fatto industria è andato perduto il piacere che nasce dall’allegria del giocare per giocare.” Una volta di più, la carica dei baby fenomeni ci conferma come il calcio rimanga una perfetta metafora della società. Il rito magico, che una volta faceva tornare gli adulti bambini, adesso preferisce trasformare i bambini in adulti.