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 2014  ottobre 06 Lunedì calendario

GIORGIO FALETTI E IL SUO AMORE PER L’ISOLA D’ELBA

Io lo so… che questa è un’isola… un’isola… che c’è…”. Fa una certa impressione ascoltare su Youtube l’ultima canzone di Giorgio Faletti, “Da casa mia si vede il mare”, brano dedicato all’isola d’Elba che non ha fatto in tempo a cantare davanti a un pubblico. A suonarla è il gruppo di amici isolani, come Carlo Ridi, impiegato comunale con la passione per la musica. Voce e chitarra degli ‘Oltre le nuvole’. O il dottor Tiberio Pangia, medico con la vena del cantastorie. Doveva cantarla lui, Faletti, per l’inaugurazione del Teatro Flamingo di Capoliveri, dove aveva casa. Quella casa, appunto, da cui si vede il mare. Ma in quei giorni di maggio stava già troppo male e allora sul palco sono saliti i suoi amici. Le condizioni di Faletti poi si sono aggravate, fino alla morte, il 4 luglio scorso. “Era una domenica di un anno fa”, ricorda Carlo Ridi, “nel pomeriggio mi telefona Giorgio, al suo solito modo. ‘Che fai?’. ‘Niente, sono sul divano a saltare da un canale all’altro’. ‘Vieni a casa mia che ti faccio sentire una cosa?’. ‘Ok’. Arrivo, lui imbraccia la chitarra e mi fa sentire questa bellissima canzone. ‘Sai’, mi dice, ‘erano dieci anni che volevo scrivere una canzone per l’Elba e non l’ho mai fatto. Poi questa mattina in un paio d’ore è venuta fuori da sola, musica e parole’. La sua idea era di inciderla e presentarla all’inaugurazione del Teatro Flamingo. Ma purtroppo non è andata così”. Faletti all’Elba ci stava bene. L’aveva scoperta in vacanza, nei primi anni Novanta. Poi, nel 1996, si presenta l’occasione di una casa. Sta su un declivio, in mezzo al bosco. Con una vista incredibile sul golfo di Capoliveri. Profumo di gelsomini e lavanda. La brezza marina che arriva leggera. Tramonti rosso fuoco e gabbiani. Breve trattativa e compromesso firmato. “Lo sa, Faletti, se mi dava cento milioni in meno gliela davo lo stesso…”, gli dice il proprietario. “Lo sa che se me ne chiedeva 200 in più, glieli davo io…?”, la risposta (pronta) dell’artista. La casa affacciata sul mare Così nasce il rapporto tra Faletti e l’isola. Prima ci viene solo d’estate. Poi inizia a passarci più tempo. Gli piace pure d’inverno, quando il mare è in burrasca. Infine decide di vendere la casa di Milano e trasferirsi qui. Ci resterà fino al 2010, quando tornerà a vivere ad Asti. Ed è proprio dalla casa da cui si vede il mare che Faletti si reinventa completamente: si mette alla scrivania, davanti al pc, e diventa “il miglior scrittore italiano”, come lo battezzò il critico del Corriere della Sera Antonio D’Orrico all’uscita del suo primo romanzo, ‘Io uccido’, un best seller da 4 milioni di copie. Li ha scritti tutti qui, i suoi romanzi. Dopo ‘Io uccido’ arrivano ‘Niente di vero tranne gli occhi’, ‘Fuori da un evidente destino’, ‘Io sono Dio’, fino all’ultimo, ‘Appunti di un venditore di donne’. Ma anche libri di racconti, come ‘Pochi inutili nascondigli’ e ‘Da quando a ora’. “E’ l’isola a ispirarmi, è come se scrivessi sotto dettatura”, diceva Faletti. E infatti lavorava tutto il giorno. Iniziava al mattino, poi una pausa per un rapido giro in paese. Caffè, giornali, quattro chiacchiere al bar, da Jimmy. Nel pomeriggio ancora al lavoro e la sera fuori con gli amici. A cena da Pilade. O al Koala. Oppure al Grigolo, a Riomarina. Spaghetti tonno e limone, pesce alla brace, una bottiglia di vino, chiacchiere, ricordi e risate. “Spesso organizzava da lui. Chiamava e diceva: ‘Ho portato un tartufo gigante da Alba,vii aspetto per le nove’”, racconta Carlo Ridi. “Era un ottimo cuoco, si divertiva ai fornelli. Una volta mi ha cucinato la bagna cauda”, ricorda il sindaco di Capoliveri, Ruggero Barbetti, anche lui nel gruppo di amici. “Ci chiamava scherzosamente ‘i suoi amici sfigati’, perché nessuno di noi è famoso. Ma qui stava bene perché era tra persone normali, nessuno aveva favori da chiedergli, si sentiva a suo agio”, continua Ridi. Che ama ricordare un episodio. “Un amico aveva appena rilevato una lavanderia industriale, ci teneva tantissimo a farcela vedere. E così, una sera, dopo cena, si va tutti a Riomarina a vedere questa benedetta lavanderia. E Faletti fa: ‘Ecco come mi tocca passare le serate. Io, Giorgio Faletti, con questo gruppo di scemi a girare per lavanderie industriali…’. Ci prendeva in giro ma si divertiva…”. Il successo come scrittore arriva inaspettato. Quando si trasferisce all’Elba Faletti è a un punto morto della sua carriera. Aveva fatto la tv, come comico, creando personaggi memorabili come Vito Catozzo (“temo di incontrarlo per strada e che mi chieda indietro tutti i soldi che mi ha fatto guadagnare”, diceva) e l’Adalpina. Poi il cantante, con due Festival di Sanremo e il suo “minchia signor tenente…” sparato dritto sul palco dell’Ariston. E poi autore di canzoni per Mina, Branduardi, Gigliola Cinquetti. A fine anni Novanta, però, è indeciso. Riprovare con la tv o buttarsi sulla musica? Tentare col teatro o il cinema? Scrivere gli è sempre piaciuto. E così, proprio qui, all’Elba, si mette alla prova. E inventa quella terribile storia ambientata nel principato di Monaco che inaugurerà la sua terza vita, quella di scrittore. Proprio il giorno della presentazione del libro, però, arriva l’ictus. Qualche anno prima aveva dovuto combattere con un infarto. Sembra che la vita gli presenti il conto sempre nel momento migliore. Faletti, però, si riprende bene e si gode il suo successo. Gli intellettuali arricciano il naso, dicono che i suoi sono romanzi di serie B. Lui fa spallucce e si consola con i milioni di lettori. “Il mondo letterario è infame, peggio di quello dello spettacolo. Intorno hai solo nemici”, diceva Fa-letti. “Il successo dei libri gli ha dato un’enorme soddisfazione, perché ha dimostrato a tutti di essere un artista a 360 gradi, non solo ‘quello di Drive in’”, racconta Barbetti. E Faletti nei suoi romanzi ha il passo dei grandi giallisti americani. Come Jeffery Deaver, suo grande estimatore. Mi manca solo il saltimbanco Nessuna delle sue storie è ambientata all’Elba. Ma dell’isola si ritrovano immagini, sensazioni, colori, personaggi. Aveva anche una barca, ma l’ha venduta per “manifesta incapacità”, come amava dire lui. “Quando arrivo in porto tutti mi prendono in giro: ‘Arriva Faletti, fate largo!’. Allora ho preferito lasciar perdere”, raccontava piccato. Lo stesso con le moto. “Avevo messo una motocicletta Ducati in un romanzo. Così la casa motociclistica me ne regala una, bellissima. L’ho provata ma poi l’ho restituita, le due ruote non fanno per me”, diceva. Il suo vero amore erano le automobili. In gioventù faceva addirittura i rally, come quello di Montecarlo. Da anni aveva una rubrica fissa su Autosprint, “Io canaglia”. L’Elba è stato anche lo scenario del suo matrimonio con Roberta Bellesini, nel 2003. Qui Fa-letti non solo scriveva, ma continuava a comporre musica e canzoni, per sé e per gli altri. “Branduardi di me dice che non sono un musicista, ma sono ‘musicale’. Lui invece mi fa da cavia per i romanzi”, raccontava Faletti. Negli ultimi tempi aveva iniziato a dipingere. “Mi manca solo il saltimbanco e il chiromante, poi ho fatto tutto”, amava dire. Era qui anche il Natale scorso. Con gli amici di sempre. Tra cui il giornalista Massimo Cotto. “Aveva iniziato a girare l’Italia con uno spettacolo di musica e canzoni. Negli ultimi tempi ciò che lo rendeva più felice era imbracciare la chitarra e salire sul palco davanti al suo pubblico”, racconta Carlo Ridi. La tv, invece, non gli mancava. Quando guardava alcuni suoi colleghi rendersi ridicoli sul piccolo schermo, diceva: “Io non mi ridurrò cos , piuttosto muoio di fame”. Eventualità assai remota, visto il successo dei suoi romanzi. Il cinema, invece, lo interessava. Partecipa a diversi film e anche qui si toglie qualche soddisfazione: il ruolo di un professore cattivo in ‘Notte prima degli esami’ gli vale il David di Donatello come miglior attore non protagonista. Gli sarebbe piaciuto vedere una pellicola tratta da ‘Io uccido’, magari contribuendo alla sceneggiatura. Ma, anche per questo, non ha fatto in tempo. “Prima un infarto, poi l’ictus, questa è la mia terza vita. Del resto con tutto quello che ho fatto si possono davvero riempire tre vite”, diceva di se stesso. Il cuore degli elbani - come tutti gli isolani, persone non facili - Faletti se l’è conquistato vivendo qui per dieci anni. Specie in inverno, quando la frenesia estiva lascia il posto a un tempo rarefatto che permette di entrare in contatto con l’essenza delle persone. Sempre spontaneo e ottimista. Con una grande carica vitale. Un mattatore, con la battuta sempre in canna. E agli amici di Capoliveri manca quel vederlo spuntare all’improvviso, in maglietta e calzoncini, il cappellino da baseball calato sugli occhi e il suo solito saluto: “Ciao bell’uomo…”.
Gianluca Roselli, il Fatto Quotidiano 6/10/2014