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 2014  ottobre 06 Lunedì calendario

FORSE È FINALMENTE LA VOLTA BUONA PER REALIZZARE ANCHE IN ITALIA IL DEPOSITO NAZIONALE PER I RIFIUTI RADIOATTIVI A BASSA E MEDIA INTENSITÀ

Forse è finalmente la volta buona per realizzare anche in Italia il tanto atteso deposito nazionale per i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, come previsto dalle direttive europee. Infatti, a giugno di quest’anno, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) ha pubblicato una guida tecnica contenente le disposizioni per la localizzazione di un simile deposito di superficie. In essa sono elencati 15 criteri di esclusione (ad esempio livello di sismicità, distanza dalla linea di costa, caratteristiche geomorfologiche, ecc.) che serviranno ad individuare le aree del Paese inadatte ad ospitare un deposito definitivo per i rifiuti nucleari a bassa e media attività, generati ogni anno in Italia dall’industria, dalle applicazioni della radiomedicina e dallo smantellamento dei nostri vecchi impianti nucleari. Un’infrastruttura dal costo complessivo di poco più di un miliardo di euro.
Secondo la legislazione vigente, Sogin, la società interamente controllata dal ministero dell’Economia, ha ora il compito di tracciare, per esclusione, una carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e di consegnarla a inizio gennaio 2014 nuovamente ad Ispra e ai ministeri competenti per una validazione. Quindi sarà avviato un dibattito pubblico della durata di alcuni mesi, nelle Regioni (al momento nessuna può essere esclusa a priori) dove si troveranno tali aree, nel corso del quale verranno illustrate le caratteristiche del deposito e del parco tecnologico annesso e i possibili benefici economici e verranno raccolte le istanze avanzate dai portatori di interesse. Insomma, un processo trasparente e aperto che richiama l’esperienza del debat public francese.
Nella speranza che possano emergere candidature spontanee a ospitare il deposito nazionale di superficie, come accaduto in Paesi come Svezia e Finlandia, per citarne alcuni, ahimè certamente più maturi del nostro in fatto di programmazione strategica di grandi infrastrutture. In Italia, infatti, i rifiuti radioattivi a bassa e media attività di varia provenienza sono al momento raccolti in una ventina di strutture sparse sul territorio nazionale, inclusi i depositi temporanei all’interno dei nostri 8 vecchi siti nucleari. Nessuno di questi è adatto come deposito definitivo; cioè nessuno è progettato e costruito per durare circa 300 anni. Serve allora il deposito nazionale, infrastruttura ambientale di cui si sono già da tempo dotati gli altri grandi Paesi europei e che l’Italia attende da decenni. Speriamo che sia possibile procedere attraverso le tappe previste senza incorrere nelle disavventure che hanno conosciuto la Tav, il Mose, e si può dire ogni grande opera venga prospettata in Italia.
Ma tutto questo è nelle mani giuste? È Sogin, anche dopo il rinnovamento dei vertici avvenuto circa un anno fa, il soggetto più adatto ed affidabile a gestire un processo così delicato? Più di una preoccupazione ha destato l’intervista su Panorama della scorsa settimana, nella quale l’ad di Sogin, Riccardo Casale, improvvidamente annuncia che in quattro regioni italiane, Basilicata, Puglia, Lazio e Toscana, saranno concentrate la maggior parte delle aree idonee ad ospitare il deposito. L’esperienza del passato dovrebbero indurre a priori a maggior cautela, evitando improvvisazioni che potrebbero aprire la strada a speculazioni e conflitti sui territori.
Il presidente di Sogin, Giuseppe Zollino, appare figura al di sopra di ogni sospetto, sia per competenza tecnica (è docente tra l’altro di Impianti Nucleari a Padova) che per esperienza internazionale (si occupò per 5 anni delle Direttive Euratom). Lo contatto per domandargli dei chiarimenti. Si dice addolorato dell’episodio dell’intervista, che ritiene inopportuna e riconosce che possa essere letta come un’anticipazione che rischia di minare la credibilità del processo. Tuttavia mi assicura che le valutazioni in corso alla Sogin per tutti i criteri di esclusione sono tutt’altro che concluse e vengono condotte con riservatezza e rigore estremi, coinvolgendo, ove necessario, le migliori competenze del Paese.
Il professor Zollino mi sembra sincero, ma il dubbio mi rimane: come potrà evitare in futuro fughe in avanti di qualcun altro dei suoi dirigenti, dopo quella dell’amministratore delegato? Non ci resta che applicare con rigore da subito criteri di assoluta trasparenza e di vigile controllo secondo le norme europee.
Mario Pirani, la Repubblica 6/10/2014