Bruno Tinti, il Fatto Quotidiano 5/10/2014, 5 ottobre 2014
I NODI CHE IL CSM NON HA VOLUTO SCIOGLIERE
Non vorrei ripetermi ancora una volta; ma la colpa di tutto quello che sta succedendo alla Procura di Milano è del Csm. Nel marzo 2014 scoppia il conflitto tra il procuratore aggiunto Robledo e il procuratore Capo Bruti Liberati. Il primo accusa il secondo di sottrargli indagini importanti e di ostacolarne comunque lo sviluppo. Narra anche di relazioni interpersonali improntate ad arroganza e intimidazione: “Ricordati che sei qui perché non ho detto a uno dei miei (Md) al Csm di andare a fare pipì quando si doveva decidere se farti fare il procuratore aggiunto”. Il secondo contesta le accuse, ammette la frase inelegante attribuendola a humour britannico e, soprattutto, inizia a sottrarre a Robledo la gestione dei processi contro la pubblica amministrazione.
Il Csm si occupa dei fatti e decide di non decidere. Svolge un’istruttoria rapida e strozzata . Evita di sentire i magistrati che si dicono disposti a riferire sull’accaduto: “Quelli che hanno qualcosa da dire lo scrivano e noi leggeremo...”. Rigetta le proteste di un componente (Racanelli): “Con questo sistema sarà impossibile fare domande. E se servono chiarimenti?”. E non adotta alcun provvedimento. Lo spirito santo risolverà il problema.
Naturalmente questo non succede e i contrasti tra i due si acuiscono. Bruti emargina Robledo dalla gestione di altre indagini, Robledo presenta nuovi esposti, Bruti crea un super pool competente per le indagini sull’Expo di cui assume la direzione, il Consiglio giudiziario glielo boccia. Alla fine, riesumando un fatto vecchio di cinque anni, Bruti contesta irregolarità nella gestione di un’indagine (quella sui derivati acquistati dal Comune di Milano) e revoca a Robledo la direzione del pool sui reati contro la pubblica amministrazione; lo “sbatte” (copyright dello stesso Bruti) al dipartimento dell’esecuzione, quello che prepara i dossier per mandare effettivamente in prigione i condannati. Considerato che in prigione non ci va nessuno o quasi, non è che ci sarà molto da fare...
Quest’ultima vicenda si presta a due chiavi di lettura. Con legge 133/08 è istituito il Fondo unico di giustizia. L’idea è buona; devono esservi depositate somme di denaro, titoli, depositi in conti correnti, libretti bancari, insomma ogni attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale sequestrata o confiscata in procedimenti penali. Il Fug farà fruttare al meglio il tutto e le somme ricavate (e quelle confiscate) verranno destinate ai ministeri degli Interni e della Giustizia. Da quella data dunque i magistrati (in particolare le Procure) non devono più depositare quanto sequestrato presso le banche (in genere presso la Bnl che ha una sede presso quasi tutti i Tribunali), come hanno sempre fatto, ma presso il Fug.
Robledo, nel gennaio 2009, sequestra alle banche che hanno venduto derivati al Comune di Milano, fatto per cui gestisce l’indagine, un sacco di soldi, circa 170 milioni. E li deposita in banca secondo la vecchia prassi. Nessuno ci fa caso ma, nel luglio 2012, il Fug protesta: perché non ci avete mandato tutti questi soldi? Non si tratta di dignità offesa. Due mesi prima il ministro delle Finanze ha stabilito che, a decorrere dal gennaio 2011, al Fug spetta un compenso per l’attività svolta: il 5% della gestione finanziaria. Insomma quanto più gli investimenti delle somme provenienti da sequestri e confische sono proficui, tanto più il Fug guadagna. E si capisce che 170 (o 100, così dice Robledo) milioni avrebbero reso un bel mucchietto di utili. E poi, dare i soldi al Fug avrebbe permesso di risparmiare il compenso spettante al custode. Anche qui non si tratta di pochi euro: i custodi sono pagati a percentuale sul valore del bene sequestrato. Insomma, Robledo ha sbagliato.
Però, che Bruti stia agendo nell’interesse proprio e non in quello della Procura diventa sempre più evidente: la lettera del Fug arriva nel 2012. Solo ora, in piena faida, se ne ricorda? E poi: l’errore fu commesso nel 2009: costituisce valido motivo per revocare a Robledo, a distanza di 2 anni, la delega a capo del pool pubblica amministrazione?
Ecco perché è tutta colpa del Csm. È evidente che la Procura è squassata da una bega personale. Andava risolta. Subito. Esistevano due possibilità: il trasferimento per incompatibilità ambientale; e il procedimento disciplinare che prevede sanzioni di vario tipo (ammonimento, censura, perdita di anzianità, destituzione) e anche il trasferimento. Certo, con l’incompatibilità ambientale sarebbe stato trasferito Robledo: in questo caso non si entra nel merito (l’incompatibilità può anche derivare da comportamenti incolpevoli); e, senza accertare responsabilità, non si decapita una Procura. L’obiettivo di queste procedure è il buon andamento dell’amministrazione: si sarebbe scelto il trasferimento che arrecava meno danno all’ufficio. Oppure si poteva avviare un procedimento disciplinare con riferimento ai fatti di cui ognuno dei due, a dire dell’altro, sarebbe stato responsabile: accertate le responsabilità e condannati entrambi, o uno di loro, si sarebbe proceduto con il trasferimento.
Ma il Csm queste cose non le fa. Meglio: non le fa nei confronti di un correntocrate (Bruti è un big di Md) ai massimi livelli. Così adesso abbiamo la Procura di Milano con vertici delegittimati (se il Csm è cieco volontario chiunque altro tiene gli occhi ben aperti), l’Expo che si avvicina, il Mose e altre decine di indagini gestite in questo clima sfruttabile da chiunque vi abbia interesse. Altro che organo di autogoverno: questa è un’impresa di demolizione.