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 2014  ottobre 05 Domenica calendario

VE LA RACCONTO IO LA VERITA SUL TEATRO


Caro Direttore,

ho letto le inchieste e gli articoli che, in questi giorni, «Il Tempo» sta pubblicando sulla delicata questione del Teatro dell’Opera di Roma. Alcuni li condivido, altri meno. Fra questi ultimi l’intervento di Giorgio Albertazzi che sottolinea lo strapotere dei sindacati, gli sprechi, la necessità di mandare a casa i dipendenti. In tempi in cui si fa a gara a dare addosso alla Casta, l’idea di chiudere il «carrozzone» dell’Opera rischia di attirare facili entusiasmi che sono poi altrettanto facili da smontare. E se lei e i suoi lettori avranno la pazienza di seguirmi, capirete in quale abbaglio in troppi stanno cascando.

Allora. Il mio è un punto di vista privilegiato in quanto conosco i conti dell’Opera molto da vicino. Quand’ero sindaco di Roma sono stato presidente del Consiglio d’amministrazione del teatro quindi nessuno meglio di me sa come stavano, e stanno, le cose. Oggi va di moda sparare sui sindacati e tutti li accusano. La verità, però, è che attorno all’Opera di Roma si sta attuando una manovra che parte da lontano, anche in ambienti ministeriali impegnati a riconoscere in Italia solo due poli d’eccellenza: la lirica a Milano con la Scala, e la sinfonica a Roma con l’Accademia di Santa Cecilia. Il futuro, già scritto, è nel depotenziamento dell’Opera di Roma e nel suo eventuale accorpamento con Santa Cecilia.

Finché c’eravamo noi al governo ci siamo opposti e abbiamo rilanciato giungendo fino a portare il Maestro Muti ad essere direttore onorario a vita del teatro. Il sovrintendente Fuortes con l’amministrazione Marino si è mosso in direzione del tutto opposta. Ha letto il bilancio aziendale nel modo più grave possibile per fare ricorso alla legge Bray. Gli investimenti sulla qualità possono essere considerati spese. Ed è come vedere il bicchiere mezzo vuoto quando in realtà è pieno per metà, ma sta di fatto che se fossimo di fronte a una montagna di sprechi sarebbe stato facile per il nuovo sovrintendente eliminarli e risanare il teatro senza licenziamenti.

Senza contare che questi licenziamenti consentirebbero un risparmio di 3,4 milioni di euro che più o meno corrispondono agli sponsor e ai contributi pubblici persi con la partenza di Muti. Finora, Direttore, sono state messe in giro una serie di immagini caricaturali per demonizzare l’orchestra, ma un maestro di musica guadagna mediamente 2.500 euro al mese che non mi sembra uno stipendio vergognoso per un professionista che ha studiato, si è specializzato e ha vinto un concorso internazionale. I licenziamenti non cambieranno la sostanza del bilancio comunale ma uccideranno la qualità e il futuro del teatro.

Negli ultimi mesi i sindacati possono aver sbagliato molte cose ma si è fatto di tutto per dividerli e spingerli all’esasperazione. Domani, infatti, il Teatro dell’Opera potrebbe diventare la sede di Santa Cecilia, liberando molti spazi oggi occupati nell’Auditorium Parco della Musica. Questo può rispondere al progetto di creare un’unica fondazione lirico-sinfonica con sede in piazza Beniamino Gigli. Con questo non voglio dire che il Teatro del’Opera non sia sempre stato in affanno. Certo, molte cose si potevano e dovevano migliorare ma contro la gestione del sovrintendente De Martino è stata fatta una retorica negativa francamente eccessiva.

Adesso la situazione si può affrontare in due modi: puntando su nuovi investimenti oppure scegliendo la strada del depotenziamento. Fuortes ha scelto di tagliare e ridurre tutti gli investimenti fino a portarli sotto il livello di un teatro di prima grandezza. D’ora in poi l’orchestra e il coro dell’Opera non potranno non ridurre la loro qualità perché nessun musicista affermato vorrà lavorare in un’orchestra non più stabile. Si creerà un circolo vizioso: sempre meno investimenti finché si arriverà alla scomparsa della Fondazione. Tutti i grandi teatri e fondazioni liriche hanno orchestre e cori stabili. La verità è che si sta portando il Teatro Costanzi, sede dell’Opera, verso la morte per risparmiare pochi milioni di euro. E questa è la fine di tutta la retorica della sinistra sugli investimenti per la cultura. E Carlo Fuortes potrebbe essere l’ultimo sovrintendente di un’istituzione secolare come l’Opera di Roma. Credo che tutta la nostra città si debba mobilitare per evitare questa vergogna.

Gianni Alemanno