Monica Guerzoni, Corriere della Sera 6/10/2014, 6 ottobre 2014
PARLA LAURA BOLDRINI: «PER FAVORE, BASTA CON I VOTI DI FIDUCIA»
Laura Boldrini controcorrente. La presidente della Camera è preoccupata per la forza con cui il vento dell’antipolitica continua a soffiare nel Paese. Teme che la demagogia finisca per danneggiare la democrazia e propone una riflessione che ribalta il punto di vista dopo anni di attacchi alla «casta». Il primo passo? Riportare al centro il valore delle istituzioni. Poi riaprire il dibattito sul finanziamento ai partiti: «Quando il Parlamento votò l’abolizione io non fui affatto contenta. Non perché le norme di prima andassero bene, ma perché averle abbattute con la scure e senza una legge sulle lobby, fu cosa poco oculata».
Lei vede un rischio per la democrazia?
«Nel 2017, quando i rubinetti si chiuderanno,ogni partito si troverà costretto ad andare a caccia di gruppi di potere e di imprenditori che poi ti presenteranno il conto».
La legge che abolisce il finanziamento va rivista?
«Non sta a me deciderlo, ma dobbiamo essere consapevoli che stiamo andando verso un ulteriore depotenziamento della politica nei confronti della finanza e dell’impresa. La politica deve tornare centrale, perché se è forte detta le regole, se è debole le subisce».
I nostri leader fanno le leggi per il consenso?
«Cercare consenso denigrando le istituzioni è pericoloso. Salvemini esortava a trasformare la protesta in riforme e non in voti. E poiché la sfiducia nei confronti delle istituzioni mina la fiducia nel futuro, la sfida è rinnovarle affinché i cittadini ne abbiano più rispetto».
Qualcuno ha osservato che a volte i suoi moniti sembrano rivolti anche al premier.
«Dico quel che penso. Io non ho alcuna prevenzione verso Renzi, anzi ho anche apprezzato cose da lui dette, come di recente la difesa di Mare Nostrum. Ma la mia più grande responsabilità, oggi, è rivalutare l’istituzione che rappresento. Per avere tanti applausi io potrei dire di essere a capo di una istituzione di fannulloni, ma non è vero, a Montecitorio ci sono tanti bravi deputati e tanti bravi dipendenti. La cattiva politica c’è stata, ma le cose possono funzionare diversamente. Oggi ad esempio, per la prima volta, ospitiamo nell’aula della Camera seicento sindaci. La lista delle loro doglianze è lunga».
Ce l’hanno con il governo?
«Non è questo, è che si sentono lasciati soli. Vogliamo fare sistema Paese con le commissioni, il governo e l’Anci, per contribuire appunto ad arginare l’antipolitica, istituzionalizzando la triangolazione fra territorio, Parlamento e governo».
Sulla legge di Stabilità prevede scontro?
«Ci sarà una opposizione, come è giusto che sia in un momento di crisi dura. Ma io mi auguro che si accolgano le istanze delle opposizioni e di chi cercherà di rendere la legge di bilancio più completa e più equilibrata».
È ancora preoccupata per il combinato disposto tra Italicum e nuovo Senato?
«È bene che le firme per le proposte di legge di iniziativa popolare siano state ridotte rispetto alla modifica iniziale. Anche le soglie non possiamo tenerle troppo alte, l’8% tiene fuori dal Parlamento due milioni di cittadini».
Il governo accelera sul lavoro, ma la sinistra chiede di togliere dal tavolo l’articolo 18.
«Se l’obiettivo è creare posti di lavoro, la discussione sull’articolo 18 non mi pare cruciale. Cruciale è la crescita che non c’è, sono i posti di lavoro che mancano. Il problema è crearli, non erodere le garanzie di chi un lavoro ancora ce l’ha. Invece di concentrarci sull’articolo 18 dovremmo avere più coraggio e spostare il focus su un modello di sviluppo alternativo».
Il modello Italia non va?
«Penso a una economia non rapace, che tuteli ambiente e territorio e investa su ricerca e innovazione. L’economista americano Rifkin ha detto che il vento e il sole non ti mandano la bolletta a casa, eppure la rivoluzione dell’economia sostenibile da noi stenta a decollare».
E se il governo mette la fiducia sul Jobs act?
«È sempre auspicabile non eccedere nella richiesta di voti di fiducia, che hanno valore in quanto strumenti eccezionali nelle mani del governo».
Con i sindacati sotto attacco, la ripresa della concertazione è un segnale di disgelo?
«Trovo positivo che il premier li incontri, per fare le riforme c’è bisogno di un approccio inclusivo. Sindacati e partiti soffrono della stessa crisi, devono rinnovarsi senza arroccarsi. Delegittimarli non fa bene all’assetto democratico».
Cosa innesca la crisi dei partiti?
«Se sono in sofferenza è perché in passato si sono allontanati dalla realtà vissuta dai cittadini. Ma anche per un leaderismo sempre più forte».
Si può invertire la rotta dell’antipolitica?
«Sì. Se vogliamo cambiare il clima e fare pace con l’opinione pubblica è l’ora di ribaltare la prospettiva: anziché lucrare sul discredito delle istituzioni, bisogna mettere in atto il cambiamento e avere il coraggio di rivendicarlo».