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 2014  ottobre 05 Domenica calendario

I luoghi del cuore di Marella Agnelli icona dello splendore italiano In un libro autobiografico il racconto delle case e dei parchi che ha “coltivato” Interni e giardini di una protagonista dell’epoca d’oro del Novecento nel nostro Paese Mirella Serri Il vestito di seta lascia leggermente scoperte le lunghe gambe, lo sfondo è un po’ sfocato e la diciannovenne che siede sull’altalena appare disorientata

I luoghi del cuore di Marella Agnelli icona dello splendore italiano In un libro autobiografico il racconto delle case e dei parchi che ha “coltivato” Interni e giardini di una protagonista dell’epoca d’oro del Novecento nel nostro Paese Mirella Serri Il vestito di seta lascia leggermente scoperte le lunghe gambe, lo sfondo è un po’ sfocato e la diciannovenne che siede sull’altalena appare disorientata. Marella, non ancora signora Agnelli, figlia del diplomatico di sangue blu Filippo Caracciolo di Castagneto e dell’americana Margaret Clarke, davanti a quello scatto del 1946 non prevedeva di diventare di lì a breve tempo una delle ragazze più corteggiate e ambite da reporter e fotografi. Adesso un’altra più giovane Marella, Caracciolo Chia, che con la celebre zia condivide non solo il nome ma anche la passione per le case e per i giardini, in apertura della bella biografia di Marella Agnelli da lei redatta, «Ho coltivato il mio giardino», ha posto proprio questo ritratto fino a oggi inedito. Il volume della Caracciolo Chia, scrittrice e giornalista di «T - The New York Times Style Magazine», che alterna la sua voce narrante con quella della Marella più adulta, esce in contemporanea in Italia (Adelphi) e negli Stati Uniti (Rizzoli). Il libro, nato da un suggerimento di John Elkann, il maggiore degli otto nipoti di donna Marella, segue le vicende degli «interiors», dei luoghi del cuore e della vita della Agnelli, delle ville e dei parchi da lei stessa ideati e disegnati, a cui sono affiancati suoi splendidi ritratti, molti dei quali ritrovati negli archivi da Marella junior e mai pubblicati (di Richard Avedon, di Cecil Beaton e altri). La biografia ripercorre così l’esistenza di una delle figure femminili più rappresentative del secolo scorso: la fanciulla sull’altalena, dopo essere convolata a nozze nel 1953 con Giovanni Agnelli, protagonista degli scenari internazionali, nipote del fondatore del gruppo Fiat e futuro presidente, diventerà anche lei una speciale e ammirata esponente della famiglia. Con la sua straordinaria classe sarà l’incarnazione di quello che Truman Capote aveva definito lo «splendore italiano», riferendosi al regale tenore di casa Agnelli. Ma l’interesse per la moda, per la fotografia, per l’arte ne faranno qualcosa di più: una testimonial d’eccezione, un’icona dell’Italia più raffinata e moderna negli anni di crescita e di espansione economica e culturale. La formazione artistica di questa protagonista individuata, fin dalle prime pubbliche apparizioni, dalla stampa internazionale come l’immagine del più sofisticato Italian Style, inizia all’Académie Julian di Parigi. È il fotografo Erwin Blumenfeld che, dopo averla assunta come modella, ne intuisce le attitudini: «Posare mi annoiava», racconta la Agnelli che nella ricomposizione dei ricordi ha usufruito della collaborazione di suo fratello, lo storico e giornalista Nicola Caracciolo. «E un giorno, il maestro mi disse: “Passa dall’altra parte dell’obiettivo”. Nessuno possedeva come lui il coraggio di sperimentare». La sperimentazione di insoliti territori espressivi diventerà la molla vitale di donna Marella, che si manifesterà anche dopo le prestigiose nozze. Accetta di diventare corrispondente per la Condé Nast ma poi abbandona dopo la nascita di Edoardo e Margherita. «La vita era diventata un’interminabile vacanza - ricorda -. Un giorno la contessa Volpi mi disse: “Mi giunge voce che non sai tenere una casa”. E aggiunse: “I mariti si acchiappano sotto le coperte, ma ci vuole una casa per tenerli”». Donna Marella apprende le nozioni di economia domestica però «lo splendore» di cui parla Capote, le vacanze dorate, i weekend con i Kennedy non l’appagano interamente. Sarà la passione di sempre per lo stile e l’eleganza («La moda era una forma privilegiata di espressione», afferma), a indirizzarla verso una nuova avventura nelle arti applicate, nel disegno di tessuti, nella sistemazione delle case a cui si dedica con energia e fermezza che ne mascherano anche la fragilità e un segreto. Marella «grande», come la chiamano in famiglia, sa che «di una grande fortuna esiste anche il lato oscuro». E che «la ricchezza può essere un fattore d’isolamento». Il titolo del libro riprende una citazione del «Candide» di Voltaire: l’orto che donna Marella ha coltivato è anche quello dell’educazione estetica e sentimentale che ha accompagnato il viaggio della gran signora assai nota nel mondo. Ancora oggi la sua dedizione al «giardino» in senso voltairiano non si è arrestata: ora è il momento dei pergolati di Aïn Kassimou a Marrakech, tra le sue residenze preferite. PAOLO PEJRONE Piccole e grandi gioie nella Natura senza veleni Paolo Pejrone Del giardino di Alziprato, alle porte di Calenzana in Corsica, ciò che più colpisce sono i ruscelletti che portano l’acqua dall’alta e antica cisterna (e dalla sua generosa sorgente) un po’ dappertutto. Scendendo di balza in balza, di orto in orto, l’acqua arriva a perdersi per vecchi e spaziosi agrumeti. Gelsomini, ortensie, insalate, zucchine, pomodori, aranci, mandarini e pompelmi venivano tenuti in vita con questo antico e ben collaudato regime. Il loro restauro fu un’affascinante risposta ai vani e nevrotici spruzzi e spruzzetti dei giardini «all’inglese». Un giardino sostenibile e biologico era stato da sempre, e in tempi non sospetti, ben prima delle attuali mode, nelle sue profonde intenzioni: Marella sa e sapeva benissimo a quali limiti si sarebbe dovuta piegare per ottenerne i relativi risultati. Veleni sotto forma di insetticidi o anticrittogamici non sono mai entrati nei suoi giardini, come conseguenza di un semplice e lapalissiano ragionamento: perché far vivere una situazione dannosa e pericolosa a chi vi lavora e a chi gode del giardino? Concimi fatti in casa con i resti di sfalci, foglie, rami e letame (vero!) sono stati da sempre la base del suo grande successo: del resto la conseguente esuberanza e l’allegra vivacità degli stessi sono note in tutto il mondo e da tempo. Marella è ed è stata, prima di tutto, un’autentica «professionista dilettante», tanto nell’architettura (e non solo nell’arredamento) quanto nel governo dei suoi giardini, sempre semplici, festosi. E soprattutto mai solenni né pomposi. Il suo è un sincero piacere per le piccole e le grandi cose: due felci spontanee al bordo di uno stradino la riempiono di gioia, così come un orto maturo e soprattutto ben curato, come quello di Villar Perosa o, in questi ultimi anni, quello di Marrakech. Tutto suo, e speciale, è il rispetto e l’affetto per coloro che i giardini hanno mantenuto e stanno mantenendo: dal vecchio Agostino Stella a Guido Pascal, da Oscar a Thierry, da Giuseppe a Fabrizio, giardinieri sempre motivati nel loro lavoro e felici del loro successo. Una vastissima cultura botanica la portò a dedicarsi con passione per anni all’Associazione dei Giardini Hanbury, presiedendo il famoso e prestigioso premio letterario dei giardini stessi. L’aver patrocinato ed in parte inventato per il Fai i «giorni» di Masino fu parte di quella condivisione che è da sempre nel suo carattere. Già ricordato nel libro «Giardino segreto», edito da Rizzoli, l’avventura, negli Anni Cinquanta, del risorgente giardino di Villar Perosa così come il rapporto amichevole-conflittuale con il grande Russell Page: un vivace scontro terminato in un successo giardiniero clamoroso, con la pace suggellata dalla realizzazione di una piccola valle dinamica e piena d’acqua (sempre l’amatissima acqua!) diffusa da un ruscello costellato di piccoli laghi. Una vera collana di specchi e un susseguirsi di leggeri e amichevoli fragori. Il giardino di Marrakech non ha bisogno di esser descritto: le numerose fotografie ne sono la testimonianza più recente. È un pezzo di paesaggio fatto di giardini di agrumi e soprattutto di orti strabordanti di verdure. Queste ultime, spesso in eccesso, sono pure loro condivise tra chi le coltiva. Pochissimo amate da Marella sono le piscine, purtroppo necessarie per non avere nipoti immusoniti o demotivati: allontanate alla vista, semplici e lineari (e soprattutto, mai a fagiolo) vivono la loro vita in posti discreti. Queste non amate architetture fanno parte, come gli antirrhinum (le bocche di leone) o le aucube, delle personali e civili idiosincrasie di Marella (e che ogni giardiniere normalmente esprime). Non ci sono dubbi come, anche senza di loro, Marella sia riuscita a ben coltivare il suo giardino. Con buona pace di Voltaire.