Fiorella Minervino, La Stampa 5/10/2014, 5 ottobre 2014
La marchesa Casati una musa del ’900 A Venezia quadri, sculture, abiti, foto sulla “femme fatale” che ammaliava gli artisti Fiorella Minervino Eccentrica, stravagante, sovente travestita e mascherata, una vita all’eccesso nel segno dell’insolito, dell’esotico e dell’occulto
La marchesa Casati una musa del ’900 A Venezia quadri, sculture, abiti, foto sulla “femme fatale” che ammaliava gli artisti Fiorella Minervino Eccentrica, stravagante, sovente travestita e mascherata, una vita all’eccesso nel segno dell’insolito, dell’esotico e dell’occulto. Tra le sue bizzarrie i levrieri tinti, a seconda degli abiti, e non le pantere al guinzaglio ma anche indossare serpenti vivi come gioielli intorno al collo e alle mani. «Proprio come Marina Abramovich nella performance del 1990», avverte Gioia Mori, curatrice con Fabio Benzi della mostra che si apre al Museo Fortuny. È dedicata a un idolo del bel mondo fra Belle Epoque e Anni folli, la marchesa Casati dal volto cadaverico, occhi profondamente cerchiati e resi magnetici con la belladonna, chioma fulva o a strisce variegate, sublime « femme fatale» del decadentismo, ritratta dal Boldini, Balla, Alberto Martini, immortalata da Man Ray e Cecil Beaton. «Oggi sarebbe una maniaca del selfie - dice la Mori - era ossessionata dalla frenesia di rappresentarsi e rendere visibile la propria vita». Ancora, un’irrequieta che sognava di vagare tra le nebbie e i fumi dell’Ade e fra i giardini d’una Bisanzio popolata di pavoni, altrimenti voleva incarnarsi in eroine meno lontane, la contessa di Castiglione e Cristina Belgiojoso. A Venezia aveva alloggio a Palazzo Venier dei Leoni. La mostra, sui tre piani del Museo Fortuny (il palazzo dell’amico Mariano), vuole restituirle una dimensione completa e spiegare quanto abbia inciso sui tempi a venire. La riconsegna al ruolo di collezionista appassionata degli artisti prediletti, Alberto Martini e Balla, degli scrittori D’Annunzio, Robert de Montesquieu, dei fotografi Man Ray, de Meyer, Cecil Beaton. Per farlo mette in vetrina cento opere fra disegni, dipinti, sculture, foto, abiti, gioielli, da musei e collezioni private, che permettono di seguirne. A «inventare» l’esposizione è stata la direttrice del Museo Fortuny, Daniela Ferretti: «L’idea mi è venuta nel 2007 appena assunta la direzione. Ho trovato fra le prime acquirenti del Delphos, il famoso abito plissettato di Fortuny, la marchesa Casati con la Duse e la Duncan: donne forti che si andavano affermando. Poi è venuta la ricerca delle opere dai collezionisti, i rari italiani, molti all’estero». A stimolare la Ferretti è stata la personalità moderna, nevrotica, all’eccesso, la fama mondiale, ma pure la curiosità e non solo per spiritismo ed esoterismo. «La Marchesa Casati - continua - vive il suo tempo, frequenta i musei, conosce la storia dell’arte, con passione e notevole occhio chiama artisti famosi e sconosciuti, colleziona Boccioni, Balla, Depero, la Goncharova, Epstein, Kees van Dongen, frequenta Marinetti che a lei si ispira. A Venezia era venuta perché D’Annunzio era di casa mentre lavorava al progetto del teatro di massa con Fortuny; poi c’erano gli intellettuali, da Montesquieu a Proust che ammirava Fortuny. L’omaggio interesserà ai giovani che sappiano capire il personaggio. Una donna dal carattere esasperato, attuale, anche nella moda e nel trucco pesante, peraltro all’epoca senza botulini e chirurgia plastica». Tanto attuale che John Galliano le ha intitolato una sfilata per Dior nel 1998, Karl Lagerfeld e Alexander Mc Queen l’hanno citata, torna di nuovo in un replicante del film Blade Runner 1982, e Lady Gaga si trasforma in lei in uno spettacolo del 2009. Gioia Mori racconta: «Ho cominciato un anno fa le ricerche sui ritratti di cui voleva essere la musa: in mostra sfilano 12 opere di Alberto Martini, tre inchiostri di Balla, il magnifico Boldini con levriero dalla Gnam di Roma, uno di Bakts, il Van Dongen del ’21, due sculture di Trobetzkoy, un Epstein del ’18, e Zuloaga, Augustus John, Romaine Brooks, oltre le foto di Man Ray, Cecil Beaton, de Meyer». L’intento è di ricostruire la collezione dispersa in due fallimenti, nel 1923-24 e nel ’32, «C’erano quattro sculture di Boccioni, opere della Gocharova, ora introvabili. Sono invece presenti i ritratti della sua cerchia, D’Annunzio, Montesquieu, con i manoscritti a lei consacrati. L’ultima parte riguarda le suggestioni a Chanel, Lagerfeld, Cartier, a Marinetti per la danza nel Manifesto del 1917, rilevante il peso sul cinema: da Cabiria del 1914 a Thaiss di Bragaglia del ’17, a Madame Satan di Cecil B. de Mille del 1930, al costume di Zigfield Girl con Hedy Lamarr nel ’ 41». Ma la Casti ha stimolato pure l’underground: Jack Kerouac le dedica dei versi nel 1954, ed è il riferimento per la musica «shock rock» di Alice Cooper. «In mostra abbiamo inseriti armadi magici, pelli di tigre e di orso bianco, gufi e serpenti impagliati. D’altronde lei era trasgressiva per meravigliare. E ci riusciva: di lei parlavano i giornali di tutto il mondo, dal Figaro, al New York Times, La Stampa come i vari Vogue e Vanity Fair, ho trovano persino una foto sua con i serpenti in un quotidiano d’Australia nel 1924», conclude. E sul web è già scoppiata la #marchesacasati mania».