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 2014  ottobre 04 Sabato calendario

IL GOL DOPPIO IN TRASFERTA DIVIDE IL CALCIO MODERNO

Esiste da così tanto tempo che ci siamo affezionati: come al pallone, alle porte e alle proteste contro gli arbitri. La regola del gol fuori casa («Away goals rule») è una delle prime verità che apprende il tifoso di calcio quando nasce: nei confronti a eliminazione diretta con andata e ritorno in caso di risultato aggregato di parità passa chi ha fatto più reti in trasferta. Che il «gol doppio» fosse una regola strana lo hanno sempre pensato in molti. E che la pratica sia diventata anacronistica stanno cominciando a pensarlo anche alla Uefa, dove addirittura si starebbe ragionando sulla sua abolizione. Nell’incontro fra gli allenatori di elite a Nyon del mese scorso il dibattito pare sia stato interessante e profondo come quello fra aristotelici e platonici un tempo. «Molti sono convinti che la regola non serva più», ha raccontato sir Alex Ferguson, lucido nell’analisi storica e tecnica: «L’enfasi moderna sul gioco d’attacco fa sì che siano sempre di più le squadre che vanno in trasferta, segnano, e vincono». Non era così quando la regola venne introdotta nel 1965 (Dukla Praga-Honved Budapest, Coppa delle Coppe, 2-3 e 2-1, ungheresi qualificati). Lo scopo era superare l’usanza medievale del sorteggio con la monetina. Inoltre a quei tempi ogni trasferta era un’avventura, i viaggi complicati, lo stato dei campi spesso pessimo, la tv assente e le informazioni sulle rivali scarse. Tatticamente poi, aggiunge Ferguson, «si faceva contropiede con uno o due giocatori, non cinque o sei come oggi». Vincere fuori casa era come conquistare l’Everest senza bombole, dunque pareva giusto premiare i visitor capaci di osare e uscire dai propri scudi catenacciari. Ma adesso è ancora così? Sir Alex crede di no: «I campi sono tutti perfetti, i viaggi non sono più un problema e tutti sanno tutto di tutti». Perciò, accusa l’allenatore dell’Arsenal, Arsene Wenger, «la regola oggi sbilancia troppo i valori reali e non ha più senso». Anche perché, paradossalmente, i suoi effetti si sono capovolti. Ricorda sir Alex: «Ai miei giocatori a Old Trafford dicevo: non prendiamo gol qui e giochiamoci tutto fuori». E non a caso un furbo come José Mourinho preferisce giocare in casa l’andata, dove non disdegna lo 0-0. Anacronistica e troppo condizionante le tattiche, ma non solo: secondo gli oppositori la regola sarebbe anche antisportiva. La casistica a supporto è infinita. Nel dibattito di Nyon si è citato il caso dello scorso anno in Champions League: Psg-Chelsea 3-1 e 0-2, Blues qualificati. Obiezione filosofica stimolante: «Perché a decidere dev’essere il gol della bandiera del Chelsea a Parigi?». Ovvero: perché certi gol contano più di altri? Se lo chiedono da 11 anni i tifosi dell’Inter: nel 2003 i nerazzurri uscirono in semifinale di Champions col Milan dopo uno 0-0 «in trasferta» e un 1-1 «in casa», entrambi a San Siro: c’è qualcosa di più beffardo e ontologicamente ingiusto? Nel 2013 invece l’Inter uscì in Europa League con il Tottenham dopo uno 0-3 a Londra e un 4-1 a Milano. E questo è il caso più assurdo, perché il gol doppio l’Inter lo subì nei supplementari, dopo il 3-0 nei 90’. Domanda: «È accettabile che una squadra abbia a disposizione 30 minuti in più per fare il gol doppio?». Se la regola deve restare, ecco allora la richiesta minima del pubblico ministero su cui la Uefa rifletterà: abolirla almeno nei supplementari. Altrimenti, il suo peso è davvero eccessivo. Fastidioso e incontrollabile come una monetina lanciata in aria.
Alessandro Pasini