Donatella Stasio, Il Sole 24 Ore 4/10/2014, 4 ottobre 2014
L’ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ DEL CAPO DELLA PROCURA
Le «criticità» analiticamente descritte nelle otto cartelle con cui il Procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati ha revocato all’Aggiunto Alfredo Robledo il coordinamento del pool anticorruzione fotografano una situazione di obiettiva ingestibilità in un settore delicatissimo, di fronte alla quale è arduo contestare a un "capo" il diritto-dovere di riorganizzare l’ufficio.
Come ricorda Bruti nella premessa del provvedimento, il Procuratore della Repubblica ha «la responsabilità» di assicurare «la credibilità e l’efficacia dell’azione giudiziaria». Ma di quest’altra faccia del "potere" ci si dimentica spesso nelle diatribe sulla struttura - più o meno gerarchica - degli uffici di Procura dopo la riforma del 2006. La responsabilità è invece quel che più connota una vera leadership, anche se non è una virtù così diffusa. Fra i rimproveri che possono muoversi a Bruti sicuramente non c’è quello della mancata assunzione di responsabilità. E l’iniziativa di ieri lo conferma: dopo le violente polemiche innescate dagli esposti di Robledo, a un passo dalla decisione del Csm sulla sua conferma alla guida dell’ufficio e a poco più di un anno dalla pensione, il procuratore di Milano poteva scegliere di tirare a campare, di sopravvivere, non foss’altro per proteggersi da una nuova raffica di polemiche, anche se strumentali. Ha invece deciso di esporsi, interpretando il suo ruolo di dirigente coerentemente al dettato normativo e assumendosene fino in fondo la responsabilità. Se alle spalle non ci fosse «lo scontro» con Robledo, del suo provvedimento neanche si parlerebbe, perché rientra nella fisiologia del potere di organizzazione degli uffici di Procura valutare attitudini e professionalità dei singoli magistrati e decidere dove assegnarli. Invece se ne parla come se fosse in atto un’usurpazione di potere.
È la motivazione che misura la legittimità di scelte che, pur essendo fisiologiche, possono creare sconcerto in un contesto poco sereno qual è diventata la Procura di Milano. La revoca di Robledo è sostenuta da una motivazione robusta, in fatto e in diritto, per spiegare la sua sostanziale inidoneità a svolgere il delicato compito di coordinatore del pool anticorruzione. Ogni dietrologia è fuori luogo. Di più: nelle otto cartelle si descrivono comportamenti al limite della scorrettezza, come la violazione del dovere di «puntuale preventiva informativa al Procuratore della Repubblica degli sviluppi rilevanti delle indagini e delle iniziative in corso», oggetto di «richiami verbali e scritti». Un comportamento «anomalo e unico» in un ufficio in cui la circolazione di informazioni e opinioni è invece la regola. Bruti rileva carenze nel modo in cui Robledo ha gestito i rapporti con i colleghi del suo pool ma anche con gli altri Aggiunti. Ricorda che in quattro anni si sono svolte solo due delle prescritte riunioni di Dipartimento, peraltro convocate dal Procuratore e considera «inaccettabili» le giustificazioni addotte nonché «la mancata trasparenza delle assegnazioni delle indagini». Segnala il «rischio di disvelamento di indagini in corso» per l’invio di carte al Csm, nonché una gestione di oltre 170 milioni sequestrati diversa dalla prassi consolidata. Quanto basta a creare una situazione che rischia «di indebolire la credibilità e l’efficacia dell’azione giudiziaria» della Procura di Milano e che perciò rende «doveroso» l’intervento del Procuratore, visto che «i provvedimenti di carattere organizzativo finora adottati non sono stati sufficienti a superare la situazione di criticità». Di qui lo spostamento di Robledo al Dipartimento esecuzione penale che, per le sue caratteristiche, non è incompatibile con le «criticità» dimostrate alla guida del pool anticorruzione.
Come per ogni provvedimento sull’organizzazione interna delle Procure, il Csm dovrà limitarsi a «prenderne atto», con o senza «rilievi». Che – se formulati – potranno eventualmente incidere sulla conferma di Bruti come Procuratore capo. Così come le «criticità» evidenziate su Robledo potrebbero, se riscontrate, configurare illeciti disciplinari. Ma la revoca non è modificabile. E non in virtù di un potere che Bruti si è autoassegnato bensì della legge. Dal 2006 la magistratura si divide e si scontra sulla dose di gerarchizzazione delle Procure introdotta dalla riforma. Ma, salvo cambiarla, la legge è chiara. Come le parole della Cassazione: «Al Procuratore della repubblica è affidato, tra l’altro, il potere-dovere di determinare i criteri generali di organizzazione della struttura e di assegnazione dei procedimenti, di stabilire i criteri cui il magistrato assegnatario deve attenersi nell’esercizio delle indagini conseguenti all’assegnazione del procedimento, di revocare l’assegnazione se vi è contrasto sulle modalità di esercizio delle attività di indagine o se non sono osservati i principi e i criteri di tale esercizio». I "capi" devono certamente coinvolgere tutti i magistrati dell’ufficio in una gestione trasparente ed efficiente, ma una cosa è la sinergia, altro è la pretesa di condizionare il potere organizzativo del capo.
Donatella Stasio, Il Sole 24 Ore 4/10/2014