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 2014  ottobre 04 Sabato calendario

NÉ VIGILANTE NÉ BANCA, IL FMI È IN CRISI D’IDENTITÀ

Nella seconda parte della settimana che comincia con il 6 ottobre, e precisamente tra il 10 e il 12, si riuniscono a Washington per gli «annual meetings», secondo tradizione, le assemblee, rispettivamente, del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale. Di solito questi eventi sono preceduti dal rilascio delle pubblicazioni del Fondo, dal suo Outlook e, in generale, dalla pubblicazione di stime e dati economici, a cominciare da quelli sulle prospettive di crescita a livello mondiale. Un tempo tali sedute erano l’occasione per lo sbarco nella capitale americana di un gran numero di banchieri e finanzieri, soprattutto italiani, che corrispondevano così a esigenze di immagine o coglievano questi incontri per sviluppare relazioni e discutere di affari. Guido Carli ironizzava su queste presenze, sottolineando che non aveva mai incontrato un banchiere che stesse per andare a Matera o in un altro centro del Sud. Poi, pur non venendo meno, questo rito è stato ridimensionato, anche per motivi di riduzione delle spese. Ma non mancano inviti a cena promossi da questo o quel banchiere o a incontri di lavoro, soprattutto nelle pause delle riunioni dei suddetti organismi. Generalmente, questa è anche la circostanza per riflettere su queste due istituzioni finanziarie globali e per riesumare le idee, tante volte esposte, di una riforma. Questa però finora è decollata, in parte, solo per il regime delle quote di partecipazione all’Fmi e per il maggior peso dei Paesi emergenti, ma sulle funzioni e sulla governance non sono stati fatti significativi passi avanti. Di recente il Fondo, che negli anni della crisi si era caratterizzato per una linea fondamentalista in materia di austerità e si era dimostrato, nell’ambito della Troika (con Bce e Commissione Ue), come il più rigido del terzetto, ha cominciato a mutare atteggiamento, probabilmente anche per un maggiore impulso del capo economista, l’apprezzato Olivier Blanchard, arrivando quasi in prossimità di posizioni keynesiane, favorevoli alle politiche espansive. È pur vero che questa linea ha visto soprattutto il Fondo rivolgere sollecitazioni, se non critiche, alla Bce per gli asseriti ritardi nell’espansione monetaria e che, a fronte di tali interventi, la Bce ha risposto anche duramente, invitando il Fondo e il suo direttore generale, Christine Lagarde, a rivolgere solleciti anche alla Fed. E così si è sviluppato un confronto non raro tra le due istituzioni, rinfocolatosi pure per il movimentismo della Lagarde e, forse, per le sue ambizioni di carriera (di recente è stata, sia pure per breve tempo, anche in corsa per la presidenza dell’Unione europea). Ma al di là di questa quasi tradizionale dialettica e del fatto che negli anni addietro il Fondo si era caratterizzato per la eccessiva drammatizzazione della situazione delle banche europee, ingigantendone le necessità di capitale, tanto da meritare sottovoce il nomignolo di hedge fund, oggi sembra che il Fondo sia entrato in una fase di ripensamento - sarebbe meglio se fosse anche un’autocritica - e si colloca su una linea lontana dall’austerità cieca. Naturalmente la prova migliore della sincerità di questa linea, soprattutto della sua non strumentalità, la si potrà ricavare anche dalle analisi e dalle proposte che le missioni di questo organismo elaborano nei diversi Paesi, nonché dall’attività che il Fondo svolge quando è impegnato in compiti di monitoraggio degli impegni assunti in sede internazionale dai diversi Paesi. Ma si vedrà anche dalla posizione che assumerà sul progetto di rafforzamento ulteriore di Basilea 3, accrescendo ancora i requisiti di capitale per le banche di rilevanza sistemica, come alcuni vorrebbero, senza però considerare l’effetto restrittivo che ne potrebbe derivare sulla concessione dei prestiti. E anche gli annual meeting saranno un test, per quanto essi siano pervasi da una certa ritualità e dalla necessità di visibilità. Dunque è lecito accogliere ancora con beneficio d’inventario le nuove indicazioni di politica economica e di finanza pubblica.
Quanto, invece, a una riforma vera delle funzioni del Fondo, a cui si è accennato, si è tuttora sostanzialmente al punto di partenza, se si fa eccezione per la distribuzione delle quote. È da tempo che si parla, ma inutilmente, di una trasformazione del Fondo in una «centrale di allarme» delle crisi internazionali: ne abbiamo scritto anche altre volte su queste colonne per rilevare come questo progetto sia rimasto lettera morta, anche se alcune attribuzioni che originariamente si intendeva conferire al Fondo sono state poi riconosciute al Financial Stability Board (Fsb) che è stato, quindi, configurato come un organismo collaterale e in qualche modo funzionale all’attività dello stesso Fmi. A maggior ragione è inutile pensare, visto il livello di impegno in materia di riforme, a un Fondo come a un soggetto preposto al monitoraggio e a possibili interventi sulla liquidità internazionale, nella veste di una banca centrale mondiale in nuce. È anche vero tuttavia che, se non fa strada l’irrobustimento delle funzioni, con una loro più netta distinzione da quelle della Banca mondiale - nell’interesse di entrambe le istituzioni - progressivamente il Fondo appare destinato a diventare sempre più la sede di confronti e di analisi, nonché di verifica delle condizioni macroeconomiche dei diversi Paesi aderenti, facendo sorgere l’interrogativo sulla validità dei criteri e, più in generale della filosofia con i quali effettua le missioni e i controlli. Insomma, l’ente appare sempre più un organo di Vigilanza, anziché un organismo finanziario, sia pure sui generis. Non è lontano, dunque, il tempo in cui il Fondo potrebbe entrare in crisi di identità, a meno che non si decida di battere la via di una sua sostanziale revisione.
A livello internazionale, di pari passo con la globalizzazione finanziaria, cresce il bisogno di controlli preventivi e successivi. Molti campi restano ancora da arare. Bisogna superare i ritardi che si sono accumulati, per esempio, in materia di interventi, normativi e di controllo, sullo shadow banking o in generale sulla finanza innovativa ovvero, ancora, in materia di agenzie di rating. Il Financial Stability Board ha svolto un’intensa opera di analisi e di proposta in passato, mentre negli ultimi tempi sembra assente. Un impegno del Fondo sulla regolamentazione delle attività economiche e finanziarie a livello globale, sulla base delle analisi dell’Fsb sarebbe importante, come lo sarebbe la più netta finalizzazione delle attività della Banca Mondiale agli interventi nei Paesi in difficoltà, alla lotta contro la povertà, allo stimolo allo sviluppo. Sarà possibile realizzare un nuovo equilibrio, dunque? O vi si opporranno i principali partner che oggi guardano principalmente agli incarichi di vertice nei due organismi? E, soprattutto, verrà il momento in cui, nelle assemblee a Washington, si discuterà apertamente di riforme, non solo da sostenere nei diversi Paesi aderenti, ma degli stessi organismi in questione, insomma dell’autoriforma?
Quanto all’Italia, alle predette riunioni parteciperanno, come al solito, il ministro dell’Economia e il Governatore della Banca d’Italia. Le sedute si terranno dopo che l’8 ottobre si sarà svolta, a Milano, la Conferenza europea sul lavoro e subito prima del varo della legge di Stabilità; esse contribuiranno a definire il quadro globale e i risultati che ne scaturiranno saranno un ulteriore elemento perché la predetta legge abbia u respiro maggiore di quello che si sta preannunciando, e possa veramente avviare il «cambiamento di verso».
Angelo De Mattia, MilanoFinanza 4/10/2014