Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 4/10/2014, 4 ottobre 2014
PRESENTIAMOGLI IL CONTO
Wolfgang Munchau, il 22 settembre scorso, ha dedicato sul Financial Times un lungo articolo al debito pubblico italiano, affermando che il suo peso è un problema per tutti noi. In rapporto al Pil, il debito è già passato dal 103,3% del 2007 al 132,6% del 2013; se la stagnazione economica dovesse proseguire anche nel 2015 e nel 2016, arriverebbe all’incirca al 150%. Un livello insostenibile, che potrebbe portare al default, evento che metterebbe in discussione la presenza dell’Italia nell’Eurozona e forse la tenuta di questa. L’Italia sarebbe alle prese con le dinamiche brutali della deflazione, la diminuzione generalizzata dei prezzi che comporta la riduzione del Pil nominale, e quindi con un rapporto debito/Pil che continua a crescere anche nel caso in cui il bilancio pubblico annuale non sia più in deficit.
L’Italia, che fa parte dell’Unione europea e ha rinunciato alla propria moneta, purtroppo non ha più gli strumenti idonei per far crescere il Pil nominale più velocemente del debito: né una propria banca centrale che possa monetizzare il debito, né la possibilità di ridurre i tassi di interesse interni, né quella di svalutare come invece accadde nel 1992. Per evitare quindi il rischio che il debito pubblico italiano divenga insostenibile servono quelle politiche di carattere eccezionale, coordinate a livello europeo, che fin qui sono state escluse.
Le preoccupazioni di Munchau sono pienamente condivisibili: senza sosta, sin dall’estate del 2011, MF-Milano Finanza insiste sulla necessità di abbattere il debito pubblico con misure straordinarie. Una attenta analisi di quanto è accaduto in questi anni è indispensabile, se si vuol evitare di rimanere impelagati nella inconcludente tenzone in cui si confrontano gli andamenti del debito pubblico con quelli del Pil nominale. Infatti, se ci si limita a dividere aritmeticamente il maggior debito accumulato per la variazione del Pil si arriva a conclusioni aberranti. Visto che il debito pubblico italiano era di 1.605 miliardi di euro nel 2007 ed è arrivato a 2.063 miliardi a fine 2013 (+458 miliardi), e che il Pil nominale è passato negli stessi anni da 1.554 a 1.560 miliardi (+6 miliardi), ne deriverebbe l’assoluta inutilità del maggior debito contratto ai fini della crescita economica. La verità è ben diversa. In questi anni non ci siamo venuti a trovare in uno schema keynesiano, in cui la spesa finanziata in deficit serve a sostenere la domanda interna. Vediamo invece, analiticamente, qual è stata la dinamica del debito pubblico italiano e quali le responsabilità. Nel periodo 2007-2011, il debito è passato da 1.605 a 1.907 miliardi di euro e il suo rapporto sul Pil è cresciuto del 17,5%. Secondo il Fmi, ben 15 punti di tale incremento sono stati determinati dalla crescita degli interessi sul debito, mentre 2 punti derivavano dalla contrazione delle entrate ed il residuo 0,5% dagli aiuti al sistema bancario. Al confronto, in quegli stessi anni, Francia, Germania e Regno Unito avevano aumentato il loro rapporto debito/Pil molto più dell’Italia, per via dei più consistenti aiuti erogati ai rispettivi sistemi bancari. Viceversa, avevano subito meno dell’Italia l’impatto dell’aumento dei tassi di interesse sul debito per via della migliore situazione di partenza. Fino al 2011, quindi, l’Italia aveva retto alla crisi meglio degli altri per via di un sistema bancario più sano, ma aveva sofferto di più per via della perdita di controllo da parte della Ue e della Bce del sistema dei tassi di interesse sul mercato secondario dei debiti pubblici. Ciò è avvenuto nel corso della crisi greca nell’inverno del 2010 e della crisi bancaria spagnola a partire dalla tarda primavera del 2011: il contagio ha portato ad un aumento incontrollato degli spread e dei tassi delle nuove emissioni del debito pubblico. La situazione si è normalizzata solo sul finire del 2012, dopo il famoso monito londinese di Mario Draghi e la approvazione dell’Omt. Troppo tardi, come sempre: ormai, per l’Italia, il danno era fatto. Nel 2011, il rapporto debito/Pil era tornato indietro di un quindicennio, polverizzando i sacrifici, essendo sceso dal 121,1% del 1994 al 103,7% del 2007.
Nel periodo 2012-2013, in appena due anni, il debito pubblico italiano è cresciuto ancora, passando da 1.907 a 2.063 miliardi di euro (+156 miliardi). Il rapporto sul Pil è salito dal 120,8 al 132,3% (+11,5%). Questo è stato il frutto avvelenato della recessione determinata dalle misure di risanamento strutturale del bilancio pubblico: una serie infinita di bastonate fiscali che hanno stroncato la domanda interna ed indotto le famiglie a risparmiare ogni euro possibile. Mentre il Pil nominale è sceso appena dell’1%, passando da 1.578 miliardi a 1.560 miliardi, la caduta in termini reali è stata del 2,4% nel 2012 e poi ancora dell’1,9% nel 2013. Le manovre di bilancio volte a creare il pareggio strutturale, che ci fu richiesto nell’agosto del 2011 con la famosa lettera a firma congiunta Trichet–Draghi e poi dal duo Merkel-Sarkozy nell’ambito della applicazione anticipata del Fiscal Compact, hanno portato allo strangolamento dell’economia reale, già stressata da tre anni di crisi. Né si è tenuto conto del vero squilibrio di fondo della finanza pubblica italiana, rappresentato dalle spese per interessi derivanti da un debito sbalorditivamente alto. Al pareggio strutturale, teorico, cui saremmo prossimi (con il -0,8/-0,5% del Pil potenziale) corrisponde un deficit congiunturale inchiodato al 3% ed una economia che non riesce ad uscire dalla recessione. La politica fiscale di questi anni è stata completamente sbagliata: non è solo questione di pressione fiscale eccessiva, ma dei danni non recuperabili che sono stati inferti al tessuto economico. C’è stato, ancora una volta, un errore delle istituzioni europee, poi riconosciuto dallo stesso Fmi: il moltiplicatore fiscale delle correzioni strutturali non è stato quello previsto, pari a 0,5. Ha superato ampiamente l’unità: per ogni euro di tasse in più o di spese in meno, il Pil non è calato di 0,5 euro, ma di 1,5/1,8: è la catastrofe da cui non veniamo fuori.
Il peso del debito pubblico italiano è un problema per tutti: per evitare che l’insostenibilità del nostro debito porti al default, compromettendo la stabilità dell’intera Eurozona, ormai servono misure eccezionali, coordinate a livello europeo, che determinino l’immediata e duratura ripresa della crescita economica in Italia. Ciò significa che le ricette di politica di bilancio finora imposte dalle istituzioni europee sono state completamente sbagliate e che altrettanti errori ci sono stati nelle decisioni e nelle omissioni della politica monetaria della Bce. Se vi è stata una responsabilità politica, grave e diretta, per la dinamica ormai ingestibile che ha assunto il debito pubblico e per la grave recessione in cui è stata fatta precipitare l’economia italiana, dovrebbe essere innanzitutto sterilizzato, con oneri tutti a carico della Unione e della Bce, il maggior debito italiano che è stato determinato da una così lunga serie di errori. La situazione dell’Italia non ha niente a che vedere con quella dell’Irlanda e della Spagna, che hanno chiesto e ottenuto aiuti per fronteggiare i fallimenti bancari derivanti da operazioni speculative immobiliari, né con quella della Grecia, i cui conti pubblici erano stati tangibilmente taroccati.
Visto che la Bce intende aumentare il proprio bilancio di almeno 1.000 miliardi di euro. Invece di andare in cerca di improbabili Abs e di incerti Covered bond, acquisti titoli del debito pubblico italiano per 400 miliardi euro, l’ammontare che deriva dagli errori compiuti dalle istituzioni europee nella gestione delle crisi. Li mantenga in portafoglio per i prossimi vent’anni, retrocedendo nel frattempo al nostro ministero dell’Economia gli interessi sulle cedole che via via maturano. Questo sarebbe l’unico piede di partenza onesto e credibile per andare avanti con il Fiscal Compact. I Paesi che lo rispettano, e l’Italia è fra i pochissimi a farlo, hanno inoltre il diritto di pagare sul debito pubblico un tasso pari a quello del miglior Paese debitore: per chi rispetta i parametri, va garantito che lo spread sia pari a zero. Non si possono fissare le regole, esigere che vengano rispettate e poi lasciare che la speculazione faccia i suoi comodi nei confronti di chi le rispetta. Per parte nostra, con la costituzione del Fondo patrimoniale degli Italiani, ridurremo di 350 miliardi il debito pubblico. Bisogna uscire fuori dalla morsa del debito, solo così l’Italia può ricominciare a crescere. Da tempo sosteniamo le posizioni espresse da Munchau: servono, con urgenza, misure eccezionali.
Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 4/10/2014