Carlo Valentini, ItaliaOggi 4/10/2014, 4 ottobre 2014
10 MESI IN USA, 10 ANNI IN ITALIA
[Intervista a Enzo Mularoni] –
È il Marchionne della piastrella. L’ad Fiat si divide tra Torino e Detroit, lui tra Sassuolo e Loudon (Tennessee). Si chiama Enzo Mularoni e ha scelto gli Stati Uniti, o meglio di produrre un pò qui in Italia e un pò là negli States. È il modello-Fiat.
Ritiene che, solo producendo in loco e secondo i gusti dei consumatori americani, è possibile fare business su quei mercati. Ha scalato in breve tempo la classifica del distretto della ceramica di Sassuolo, tra i più grandi al mondo. È ormai il terzo gruppo a guida italiana del settore: la crisi dell’edilizia ha infatti tagliato le gambe ad alcune imprese di medie dimensioni mentre i due colossi hanno vissuto delle vicissitudini: Marazzi è stata venduta al gruppo americano Mohawk, Iris è stata a due passi dalla chiusura poi si è riposizionata ma con una drastica cura dimagrante. Due vanti della ceramica italiana che guidavano il comparto, peccato che ora il primo non abbia più la bandierina tricolore e il secondo bordeggi a vista.
Così l’imprenditore emergente è lui, estimatore di Obama ma anche della filosofia dell’ottimismo predicata da Matteo Renzi. «Quando metto a confronto la mia esperienza (dinamica) americana con quella (soporifera) italiana - dice - non lo faccio assolutamente nel segno di quel diffuso vittimismo italico contro cui invece combatto, non voglio assolutamente partecipare a quello sport nazionale che è il piangerci addosso, no, i raffronti servono per capire e migliorare. Da quando mi sono incontrato la prima volta con le autorità del Tennessee spiegando che avrei voluto costruire lì uno stabilimento produttivo a quando è uscita la prima piastrella sono passati 10 mesi. Ebbene, nel 2003 avevo chiesto al Comune di San Clemente, provincia di Rimini, dove ho uno stabilimento, di poterlo allargare. La risposta, positiva, è arrivata dopo 10 anni, ma a quel punto la crisi europea e la decisione di aprire negli Stati Uniti mi hanno fatto rispondere no, grazie. 10 mesi contro 10 anni. Mi chiedo quante occasioni di crescita imprenditoriale e di occupazione faccia perdere la burocrazia e il disinteresse».
«Inoltre» prosegue Mularoni «negli Stati Uniti facilitano l’insediamento industriale predisponendo le infrastrutture e facilitando in ogni modo l’investitore straniero. Io ho fatto un investimento di 50 milioni di dollari, a cui ne seguiranno altri 20, e dò lavoro a 100 persone che diverranno 178. Mi hanno detto grazie. Da noi è 60 anni che si parla di una bretella tra Sassuolo e l’Autostrada del Brennero, pochi chilometri che faciliterebbero il trasporto delle merci e si è ancora in alto mare, con la beffa che ogni politico che arriva da queste parti promette che è questione di settimane per il primo cantiere e invece passano gli anni, anzi i decenni, e nulla si muove».
Domanda. Nel suo stabilimento nel Tennessee esiste l’articolo 18?
Risposta. Scherziamo? No, c’è grande flessibilità. Ma il capitale umano qualificato è considerato un importante fattore di successo produttivo e i colleghi imprenditori americani fanno tutto il possibile per limitare il turnover, che va a scapito della produttività. Trovo surreale il dibattito in corso in Italia. L’imprenditore deve potere continuamente rapportare l’organizzazione della sua azienda al mercato e questo consente di avere un’economia che funziona e quindi di creare posti di lavoro permettendo una mobilità fisiologica. Però le assicuro che l’imprenditore mai si priverà, se non vi è costretto, di una forza lavoro qualificata che gli consente di competere e di primeggiare sui mercati.
D. Chi vince, quanto a efficienza, tra i due stabilimenti?
R. Sono alla pari. L’efficienza degli stabilimenti italiani è simile a quella della fabbrica americana, dove, tra l’altro, tutti i capi reparto sono italiani. I lacci e lacciuoli che imbrigliano l’imprenditore in Italia sono più al di fuori che dentro l’azienda.
Il gruppo (Del Conca, Faetano) di questo industriale diventato italoamericano fattura 125 milioni di euro, a cui andranno aggiunti quelli dello stabilimento americano, entrato in funzione a luglio (il 95% della produzione sarà venduta in Usa e Canada). In sintonia col suo approccio ottimista, Mularoni lancia un appello agli imprenditori italiani: più investimenti in innovazione e meno Ferrari in garage, e poi scrollarsi di dosso un certo provincialismo e varcare le frontiere europee per cogliere le opportunità sui mercati più vivaci come quelli americano e cinese. «Ho incominciato a esportare anche in Cina» dice «ma i cinesi sono forti produttori di ceramica e i costi di trasporto di un materiale così pesante come le piastrelle sono altissimi, perciò bisogna puntare solo sulla fascia più alta del mercato, quella che è disposta a fare salti mortali pur di avere un prodotto made in Italy».
D. Al di là del suo ottimismo, l’Italia ce la farà?
R. L’Italia ha un sistema produttivo che non ha uguali al mondo poiché riesce a coniugare qualità e gusto, anche per questo, in giro, c’è voglia d’Italia. Il problema è l’enorme debito pubblico e forse occorrerebbe affrontarlo con provvedimenti radicali come si verificò quando si trattò di entrare nell’euro perché, fino a che ci porteremo dietro questo fardello, sarà difficile approntare politiche economiche efficaci e ridare slancio al sistema industriale, che poi è il motore di un Paese, con buona pace di chi non vede al di là della finanza.
Mularoni ha un passato ai vertici di Confindustria-Ceramica ma è troppo dinamico per le ovattate strutture confindustriali. Nella sua azienda ha costituito un team che si occupa esclusivamente di innovazione. Così ha messo sul mercato, negli ultimi due anni, la piastrella che riscalda (con all’interno un filo che trasporta energia), la piastrella che suona (incorpora un ingegnoso sistema che diffonde la musica, che in questo modo avvolge la stanza ed è un passo avanti rispetto alla stereofonia), la piastrella coi disegni di Milo Manara e quella col personaggio Lupin The 3rd, ideato da Monkey Punch, che sta spopolando in mezzo mondo. Spera di avere Renzi ospite nel suo stabilimento americano in occasione della prossima visita del presidente del consiglio negli Stati Uniti, com’è avvenuto con Marchionne. «Renzi mi piace», dice, «bisogna continuare a dargli credito, ha idee chiare sulle cose da fare ma gli sgambetti all’interno del suo stesso partito potrebbero farlo cadere».
D. Cosa si aspetta da Renzi?
R. Che dia una svegliata a questo Paese incominciando a tagliare le unghie alla burocrazia. La mia esperienza sulla richiesta di ampliamento dello stabilimento di San Clemente è stata kafkiana, dieci anni senza ottenere un sì o un no, un viavai di vigili del fuoco, tecnici dell’Asl, dell’ufficio del lavoro, dell’Autorità di bacino, del Comune, della Provincia e di tanti altri organismi. Pensi che perfino la Conferenza dei servizi deve dare un parere, ebbene una volta s’è riunita e abbiamo aspettato sei mesi per avere il verbale di quella riunione. No, con questi tempi non si va da nessuna parte. Renzi fa benissimo a incontrare gli investitori in giro per il mondo ma se non agisce con l’accetta, se non semplifica, ci possiamo scordare che qualcuno venga a investire in Italia.
Carlo Valentini, ItaliaOggi 4/10/2014