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 2014  ottobre 04 Sabato calendario

L’ALLEANZA CON HOLLANDE E CAMERON CONFERMA CHE RENZI VUOLE GESTIRE IN PRIMA PERSONA LA POLITICA ESTERA EUROPEA

La sequenza dei fatti è rivelatrice del fatto che il premier Matteo Renzi vuole gestire in prima persona la politica estera dell’Italia, con particolare riguardo allo scenario europeo, con un taglio completamente diverso dal passato. Un ruolo di primo piano, che intende gestire con un’irruenza sconosciuta finora alla diplomazia italiana ed europea, e relega Federica Mogherini in seconda fila, a farle da spalla, sia in Italia che nella sua nuova veste di Lady Pesc.
Rivediamo la cronaca. Renzi prima ha giustificato la Francia di Francois Hollande, che ha rinviato al 2017 il pareggio di bilancio, ignorando così Maastricht e il Fiscal Compact. Il giorno dopo, appena uscito dal colloquio con David Cameron a Londra, non solo ha ribadito il concetto, ma ha sottolineato che in Europa nessuno ha il diritto di trattare gli altri Paesi come scolari. Dunque, anche se non ne ha fatto il nome, neppure la cancelliera Angela Merkel, che aveva appena ripetuto il solito monito sui «compiti a casa» per i Paesi in deficit.
Giusto per salvare le apparenze, e non confondersi con la plateale inadempienza della Francia, che nonostante i due anni di tregua concessi dall’Ue ha tuttora un deficit-pil al 4,4%, Renzi ha ribadito che l’Italia resterà sotto il paletto di Maastricht del 3%. Un comportamento virtuoso, che insieme ad alcune riforme «pesanti» è da lui ritenuto sufficiente per «sforare» nel pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact. E prima ancora che a Bruxelles i custodi dell’austerità alzassero il sopracciglio, in un’intervista di ieri alla Cnn è andato all’attacco degli eurocrati, dicendo che il paletto del 3% è roba del passato, che è urgente «cambiare l’Europa», e che per farlo bisogna mandare a casa gli euroburocrati.
Traduzione politica: è evidente che Renzi si è alleato sia con Parigi (governo socialista), sia con Londra (governo conservatore), per imprimere una svolta alla politica dell’Europa, con un intento che è difficile non definire anti-Merkel. Attenzione: non si tratta di una alleanza anti-austerità, perché da questo orecchio Cameron non ci sentirebbe: l’austerità è un tratto saliente dei conservatori britannici, e un cedimento anche minimo su questo terreno gli verrebbe fatto pagare moltissimo dagli euroscettici inglesi, che chiedono addirittura l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue per non pagare dazio ai Paesi in deficit. L’alleanza che Renzi sta cercando di costruire, e per certi versi pilotare (non a caso, per il futuro, parla di «Italia Paese leader in Europa»), è squisitamente politica, per coagulare i Paesi che in Europa hanno da ridire sull’egemonia di Berlino, e vogliono porvi fine per ragioni diverse gli uni dagli altri.
È una partita politica complessa, che sembra quasi voler rimettere in gioco il risultato delle elezioni europee, dove si registrò una risicata vittoria del Ppe sul gruppo S&D (socialisti e democratici). Grazie a quella vittoria, la Merkel ha imposto un uomo del Ppe, Jean Claude Juncker alla guida della Commissione Ue, e quest’ultimo – nonostante la grande coalizione tra Ppe e socialisti - ha varato un esecutivo dove gli esponenti del Ppe hanno in mano le principali leve di comando. Ma non è detto che il Parlamento europeo, che ora ha un potere d’interdizione più incisivo del passato, dia via libera a tutti i commissari scelti da Juncker. Anzi, è bastato seguire in streaming le prime audizioni, per verificare che il gruppo del Ppe e quello S&D si stanno facendo una guerra aperta nel tentativo di mettere in difficoltà i commissari della parte politica avversa. Il bersaglio principale del Ppe è stato il socialista francese Pierre Moscovici, designato agli Affari economici; i socialisti hanno invece messo nel mirino lo spagnolo Miguel Arias Canete (Energia) e l’ungherese Tibor Navracsics (Cultura), entrambi del Ppe. E ogni pretesto per mettere in difficoltà l’avversario è stato usato, sia quelli politici che personali.
Un simile clima politico, per certi aspetti, ricorda gli scontri tra correnti all’interno di un grande partito, un terreno che Renzi conosce bene per esperienza personale, e lo agevola nel suo movimentismo anti-Merkel. Per la cancelliera, parca di parole e più lenta nei movimenti politici rispetto a Renzi, si tratta di uno scenario che probabilmente non aveva previsto. E già ora appare evidente che la sua egemonia politica sull’Europa, conseguenza diretta di quella economica, non è più così solida come nei trascorsi cinque anni.
Per quanto riguarda l’Italia, agli ubbidienti Mario Monti ed Enrico Letta, è subentrato un giovanotto che vuole «cambiare verso» all’Italia e all’Europa. Nel primo caso, ha rottamato con una ferocia senza precedenti l’intera nomenclatura ex-Pci del suo partito, riscuotendo consensi altissimi dentro e fuori del Pd. In Europa, cambiare verso significa rottamare l’egemonia della Merkel. Impresa non altrettanto facile, se si considera che i Paesi del Nord Europa sono quasi tutti al suo fianco. Renzi tuttavia ci sta provando, e ha già portato dalla sua parte Cameron, che sarà pure un conservatore, ma come Renzi è giovane, come Renzi non stravede per Juncker, e come tutti gli inglesi ha un’allergia storica verso l’egemonia tedesca. Uno show che sembra destinato a durare.
Tino Oldani, ItaliaOggi 4/10/2014