Sergio Romano, Corriere della Sera 4/10/2014, 4 ottobre 2014
L’ISLAMISMO IN CINA. IL CASO DELLO XINJIANG
È lecito domandarsi (e domandare) come mai i terroristi islamici minacciano di conquistare e di distruggere l’Occidente, ma non si permettono di rivolgere le stesse minacce anche alla Cina, per esempio?
Riccardo D’Auria
rdauria@alice.it
Caro D’Auria,
Anche in Cina esiste una questione musulmana. Nella provincia autonoma del Xinjiang, sulle frontiere occidentali della Repubblica popolare, vivono gli uiguri, discendenti delle antiche tribu turcomanne variamente presenti in quasi tutte le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Sono più di 8 milioni, rappresentano il 41% della popolazione, praticano l’Islam con gradi diversi di devozione e chiedono una autonomia che fu teoricamente concessa da Mao negli anni Cinquanta del secolo scorso, ma negata di fatto dal potere centrale negli anni seguenti. Vi sono stati sporadici atti di terrorismo, anche a Pechino, e vi sono stati sanguinosi scontri nel luglio del 2009 fra gli uiguri e i residenti cinesi di etnia Han quando le autorità hanno deciso la distruzione del centro storico di Kashgar, una delle maggiori città della provincia, per fare posto a un quartiere moderno. Occasionalmente appaiono notizie sulla presenza di qualche volontario uiguro nelle milizie islamiste che combattono in Afghanistan, Iraq e Siria. Ma i musulmani del Xinjiang, come quelli dell’Asia centrale, sembrano avere una connotazione religiosa molto più sfumata e distaccata di quella che caratterizza le società del grande Medio Oriente.
Più che confessionale, quindi, il problema sembra essere soprattutto identitario. Gli uiguri vogliono usare la loro lingua nelle scuole, nelle università, nei mezzi d’informazione e chiedono autogoverno. Pechino resiste alle loro richieste perché teme e combatte tutti i fenomeni potenzialmente separatisti. Il caso del Xinjiang, quindi, non è sostanzialmente diverso da quello del Tibet. Ma nel caso della provincia musulmana, i cinesi, secondo alcuni osservatori, si sono serviti dello spauracchio dell’islamismo radicale per meglio giustificare la durezza con cui trattano gli uiguri. In un articolo dell’International New York Times del 29 settembre, uno storico americano dell’Asia Centrale, James A. Millward, ha ricordato il caso recente di un intellettuale uiguro, Ilham Tohti, che è stato condannato all’ergastolo per «incitazione al separatismo». Ma Tohti, secondo Millward, chiedeva soltanto il rispetto delle promesse di Mao.
Quanto alla sua domanda, caro D’Auria (perché i terroristi islamici non minacciano la Cina?) la ragione è soprattutto storica. Il mondo arabo fu colonizzato dagli Stati europei, non dallo Stato cinese.