Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 4/10/2014, 4 ottobre 2014
PIPPI, TINTIN E TOME
& JERRY. I NOSTRI EROI FINITI SOTTO ACCUSA -
«Pippi Pippi Pippi, che nome, fa un po’ ridere…». Pensavate che si trattasse di una famosa e innocentissima serie televisiva per bambini tratta da un romanzo altrettanto innocente di Astrid Lindgren? Vi siete sbagliati, e di grosso. In realtà il libro, scritto nel 1945, venne già ripulito qualche anno fa, su suggerimento della teologa Eske Wollrad, dalla lima di una casa editrice tedesca che per evitare l’odore di razzismo sostituì «Regina negra» con il più accettabile «Regina dei Mari del Sud» (e perché non del Nord?). Adesso, come racconta Giulio Meotti sul Foglio , ci si mette anche la tv svedese che interviene con censure meno fantasiose: il «Re dei negri» diventa «Re» e basta, e cade la sequenza in cui la ragazzina ribelle «fa il cinese». Insomma, il pubblico infantile va salvaguardato dalle sbavature velenose del politicamente scorretto d’antan.
Del resto non è solo la monella svedese dalle lunghe trecce a finire sotto il riflettori del perbenismo occhiuto, preoccupato della salute morale dei piccoli. Chi avrebbe mai immaginato, per esempio, che i simpatici e litigiosissimi Tom & Jerry, il gatto e il topo di Hanna-Barbera, potessero nuocere alla sensibilità dei nostri figli? Ebbene sì, tant’è vero che per Amazon, il simbolo della democrazia neoliberale tecnologica, «incarnano alcuni pregiudizi etnici e razziali che erano sbagliati un tempo e lo rimangono». L’oggetto dello scandalo è, tra l’altro, la domestica afroamericana Mammy Due Scarpe; ma anche certi sigari fumati dal gattone bullo hanno sollevato, negli anni, le proteste di genitori fin troppo timorati. Per non dire della nefasta pedagogia che sottostà, secondo alcune menti benpensanti, a Tintin, l’eroe del fumetto di Hergé, più volte colpito dalla mannaia censoria. Meotti cita vari altri casi, più e meno recenti, da Cappuccetto rosso (edulcorata nel ‘68 in altre tinte meno compromettenti) a un’opera di Roald Dahl, da cui fu cassato ogni riferimento ai pigmei. Poi: le tante razze deformi di Tolkien, i Dieci piccoli negri di Agatha Christie diventati indiani nel ‘77, e persino il buon vecchio Andersen, accusato di essere cruento e discriminatorio.
Ovvio che dalla presunta salvaguardia dell’infanzia a quella degli adulti il passo è breve. Tempo fa, Giulio Giorello avvertiva che di questo passo finirà che i «bigotti dell’animalismo» metteranno al bando il Moby Dick di Melville. Non era molto lontano dal vero, se c’è chi ha avuto da ridire sulla liceità di far circolare a piede libero il simbolo del colonialismo Robinson Crusoe, la cui prevaricazione etnica sul selvaggio Venerdì è già stata ben ripulita in una serie televisiva di qualche anno fa tratta dal romanzo di Defoe. Vittima predestinata delle migliori intenzioni civili, analizzate criticamente già nel ‘93 dal celebre saggio di Robert Hughes La cultura del piagnisteo (diventato la bibbia degli assatanati del «politically incorrect»), è anche il povero Mark Twain: al punto che il suo capolavoro, Le avventure di Huckleberry Finn , è stato dissanguato stilisticamente dagli editor bacchettoni della Alabama New South Books, che in una versione purgata hanno sostituito ben 200 parole «disturbanti», a cominciare dal solito «nigger», diventato «slave» (schiavo). Su quest’onda moralizzante qualche mese fa un’associazione di studenti universitari della California ha chiesto ai docenti di segnalare con un bollino rosso i libri «pericolosi» (con scene violente, razziste, erotiche, omofobe, classiste, misogine eccetera), quelle letture cioè che potrebbero «causare sintomi di disturbo da stress post-traumatico». Senza pensare che con queste cautele sarebbe difficile trovare capolavori privi di bollino. Né Dante né Shakespeare, né Dostoevskij né Nabokov... Resterebbero tranquillamente accessibili molte mezze calze (corte).
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