Massimiano Bucchi, la Repubblica 4/10/2014, 4 ottobre 2014
BENVENUTI AL NOBEL DEGLI ERRORI
Mettiamo che qualcuno vi chieda a bruciapelo di pensare a uno scienziato e a una scoperta premiata con il Nobel, a chi pensereste in primo luogo? Probabilmente ad Albert Einstein e alla teoria della relatività, magari immaginandovi il grande fisico inchinarsi al Re di Svezia nell’atto di ricevere il prestigioso premio. Peccato che una simile scena non sia mai avvenuta. Einstein non ricevette il Nobel per la relatività, né andò mai a Stoccolma a ritirare il premio. In oltre un secolo di storia - la prima edizione fu nel 1901, l’ultima si svolgerà la prossima settimana - la sua è stata una delle tante assegnazioni sbagliate.
Fu il risultato di un lungo e rocambolesco percorso segnato dalle lotte interne al Comitato Nobel per la Fisica a cui compete la proposta per il voto finale dell’Accademia Reale Svedese delle Scienze. Il suo nome era comparso regolarmente sin dal 1910 nelle “nomination” che il Comitato riceve da un selezionato pool di studiosi di tutto il mondo ma fino al 1922 alcuni membri del Comitato si opposero strenuamente: in parte perché la forte enfasi del Comitato sugli aspetti sperimentali portava a considerare la relatività troppo speculativa, perfino “filosofica”; in parte perché difficile da comprendere per alcuni degli stessi esponenti del Comitato. Dopo le conferme sperimentali arrivate nel 1919 e la crescente popolarità e visibilità pubblica di Einstein la posizione del Comitato divenne sempre più difficile. Riuscì a sbloccarla il fisico svedese Carl Wilhelm Oseen, che propose di premiare Einstein nel 1922 (con il premio non assegnato nel 1921) ma non per la relatività, bensì «per la scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico».
Einstein, che mise a disposizione dell’ex-moglie Mileva Maric l’intero ammontare del premio (121.000 corone svedesi, equivalenti a dieci anni di stipendio di un professore universitario dell’epoca), ricevette la notizia nel novembre 1922, quando era in viaggio verso il Giappone e non poté quindi partecipare alla tradizionale cerimonia che si tiene a Stoccolma ogni 10 dicembre (anniversario della morte del fondatore Alfred Nobel). Perfino sul diploma, unico caso in tutta la storia del premio, fu aggiunto una sorta di disclaimer, ennesimo invito a maneggiare con cura la teoria della relatività. Einstein non sembrò darsene troppa pena quando finalmente tenne la sua “conferenza Nobel” l’11 luglio dell’anno successivo. Non a Stoccolma, ma nella sala dei concerti del parco Liseberg a Göteborg. In prima fila tra gli altri uno spettatore desideroso di imparare qualcosa sulla relatività: Re Gustavo V di Svezia.
Ma se il cammino di Einstein verso il Nobel fu tribolato, altri scienziati e scienziate furono ancora più sfortunati. Senza il contributo della biofisica e cristallografa Rosalind Franklin, come in seguito ammisero gli stessi colleghi James Watson e Francis Crick, «la comprensione della struttura del Dna sarebbe stata improbabile se non impossibile». Ma il suo nome non figura negli annali del premio. Esclusa dall’articolo che esponeva lo storico risultato, morì nel 1958 quattro anni prima che Watson, Crick e il loro collaboratore Maurice Wilkins ricevessero, nel 1962, il Nobel per la medicina.
La fisica austriaca Lise Meitner ebbe un ruolo decisivo nel chiarire il processo della fissione nucleare. Costretta a lasciare il proprio Paese in quanto ebrea, trasferitasi in Svezia, più volte nominata come possibile premio Nobel, fu vittima di tensioni tra fisici e chimici, ostilità personali da parte di influenti scienziati svedesi e scelte “politiche” legate alla delicata situazione internazionale al termine della Seconda guerra mondiale.
Altre scelte del Comitato si sono rivelate assai discutibili anche nella sostanza: il patologo danese Johannes Fibiger ricevette il Nobel 1926 in me- dicina per la scoperta del parassita Spiroptera carcinoma e del suo ruolo, poi smentito da successivi studi, in alcune forme di cancro. L’anno dopo il medico austriaco Julius Wagner-Jauregg fu premiato per i suoi tentativi di curare la dementia paralytica con inoculazioni malariche: una tecnica che aveva la lieve controindicazione di uccidere circa il 15 per cento dei pazienti.
A volte l’abbaglio è dei mezzi di informazione, magari fuorviati da diffuse indiscrezioni ed aspettative. Il 7 novembre 1915 il New York Times e numerose altre testate giornalistiche in tutto il mondo annunciarono trionfalmente l’assegnazione (mai realmente avvenuta) del premio Nobel per la fisica all’ingegnere, fisico e inventore serboamericano Nikola Tesla e all’inventore americano Thomas Alva Edison. Del resto, una svista degli organi di stampa contribuì alla stessa istituzione del premio da parte dello svedese Alfred Nobel (chimico, inventore e imprenditore, titolare di oltre trecento brevetti tra cui quelli della dinamite e della gelatina esplosiva). Scioccato dalla lettura del proprio necrologio - pubblicato per errore alla morte del fratello - che lo definiva «mercante di morte» e desideroso di essere ricordato in modo diverso, Nobel decise nel testamento (1895) di destinare gran parte del proprio patrimonio a premiare ogni anno le più importanti scoperte o invenzioni in campo fisico, chimico e medico; «l’opera letteraria più notevole di ispirazione idealistica«; «la personalità che avrà più contribuito al ravvicinamento tra i popoli».
Ma la grande visibilità ed autorevolezza del premio seduce e abbaglia anche il grande pubblico. Gli archivi dell’Accademia Reale Svedese delle Scienze custodiscono, oltre ai documenti ufficiali su proposte e decisioni relative al premio, una serie di voluminosi scatoloni. È “il lato B” del premio Nobel: lettere di sedicenti geni che reclamano il premio sulla base di rivoluzionarie e improbabili scoperte; corposi manoscritti illustrati contenenti clamorose rivelazioni suggerite talvolta da fonti aliene; cartoline i cui mittenti chiedono di essere contattati dalla segreteria per prendere accordi sulla consegna del riconoscimento. Una vertiginosa finestra sull’ambizione umana che a modo suo testimonia la popolarità del premio, l’ultima e forse la più grande invenzione del prolifico inventore Alfred Nobel.