Giuliano Ferrara, Panorama 2/10/2014, 2 ottobre 2014
I MIEI DUBBI SU PAPA FRANCESCO
Panorama, giovedì 2 ottobre
Che Joseph Ratzinger sia ancora Papa perché non rinunciò al munus, ma solo al suo esercizio, e Jorge Mario Bergoglio non lo sia mai stato per nullità canonica della sua elezione; che si debba al più presto convocare un nuovo conclave, tornato Bergoglio in Argentina: ecco questioni che oltrepassano la mia capacità di visione delle cose di Chiesa dall’esterno della medesima. Antonio Socci è senese, come santa Caterina, e Adriano Sofri una volta mi disse che i senesi sono tutti indistintamente pazzi. Bene. A patto che follia voglia dire anche santa visitazione, mentalità mistica, insomma, con Foucault e Basaglia, un’altra forma di conoscenza.
Scherzo perché il libro di Socci, sebbene io dissenta da alcuni suoi argomenti e da questa o quella conclusione, è molto importante, severo, scandaloso, e se è febbricitante lo è perché Socci ha un cuore di carne cristiano, fervente e innamorato. Della sua Chiesa, della fede, nutrita con vigore militante da una forte impronta di cultura e di amore. Anni fa Ezio Mauro lo definì uno «strano cristiano» e aveva ragione, se i cristiani regolari, all’appuntamento con il mondo mai in ritardo, sono convenzionali, conformisti, pallidamente osservanti, e in definitiva pecorelle smarrite in preda a lupi feroci, a cinghiali, a leoni e tigri della cultura moderna.
Sottoscrivo nel libro aureo di Socci, che tutti a partire da Francesco dovrebbero leggere sine ira ac studio, alcune cose importanti: questo Papa piace troppo (e per le ragioni sbagliate, alle persone e ai gruppi sbagliati); Joseph Ratzinger piacque troppo poco, era un profeta e la mente più eccelsa del suo secolo, non era fatto per governare la Chiesa se non nel segno di luce spirituale e teologica che implicava per questo governo san Bonaventura; il cardinale Martini era un uomo di Dio, e chi siamo noi per giudicare, ma elevò se stesso su di un piedistallo umano e frale e fu venerato come icona di tutto quanto è insopportabilmente spiritualistico, modernistico, protestantistico nella cultura cattolica post-conciliare (don Milani, a me ostico, mandava a quel paese gli illuminati secolaristi che lo adoravano, e si dava di prete senza vergogna, e prete obbediente, non un «ante-papa» come Martini); Jorge Mario Bergoglio ha atteggiamenti simpatici, crea consenso popolare per la semplicità dei modi e dei costumi, che lo avvicinano alla vita quotidiana dei fedeli, ma si discosta dal magistero e dalla tradizione, misinterpreta il Concilio Vaticano II, ha delle punte di perfidia gesuitica nell’aggressione ai fraticelli dell’Immacolata e nel disprezzo per i suoi critici, non riforma le strutture, minaccia sfracelli nei sinodi sulla famiglia, questa specie di Vaticano III convocato, sembrerebbe, per annichilire i valori non negoziabili della vita cristiana, e se è per questo anche della concezione laica, razionale, non ortodossa, della vita occidentale.
Non so dire se questa delusione, così cocente nella bella e intensa prosa di Socci, derivi dal compromesso elettorale in favore di Bergoglio stipulato in conclave tra due Chiese fallimentari, a sentire Socci: la tedesca dei Karl Lehman e dei Walter Kasper (due cardinali favorevoli ad ammettere i divorziati risposati all’eucaristia, ndr), ispirati dal «cristianesimo anonimo» di Karl Rahner, il teologo del Concilio che più radicalmente influì sul dopo Concilio, e quella latinoamericana che presiede, di calle in calle, tra le villas miserias, in una sua crassa ignoranza teologica, in una sua sempre più striminzita capacità di far fronte alle sette e all’inosservanza delle regole senza le quali una religione non lega, è un flatus vocis, una sociologia e una politica ma non un credo spiritualmente protetto dalla tradizione cristiana.
La mia impressione è un’altra. Io credo nel fine santo di Francesco, la riconquista del mondo secolare alla relazione intima con Dio e con la Chiesa di Cristo. Ma credo anche, per poco studio ma fervoroso della storia dei gesuiti, che il fine santo sia tradito dai mezzi, da quelli pastorali innanzitutto, nel loro rapporto di influenza diretta con i mutamenti dottrinali e di magistero che sono in corso a ogni livello della Chiesa dei Maradiaga (il vicepapa) e degli altri bulli che sfottono e sbertucciano persino i «teologi tedeschi» e gli «esperti del logos», con malagrazia e poca accortezza o prudenza ecclesiale.
Quando Socci cita Ratzinger che cita Pascal per dannare il vizio gesuita della maturità secentesca dell’ordine, quando i reverendi padri assolvevano tutto «para buscar la voluntad de Dios», per non dire poi della sua senilità novecentesca, io godo affettuosamente per il vulnus spirituale inferto a questa straordinaria classe dirigente che si lascia trasportare oltre la Chiesa di Cristo, oltre i confini della ragione e del cuore stesso, dalla propria intelligente abilità esecutiva e di pensiero e di studio. Credo anche che Ignazio non sarebbe scontento di Bergoglio.
Al contrario, nonostante le apparenze e le ragioni addotte da Socci, è nella scaturigine stessa del gesuitismo, e in Pietro Favre (che non a caso è il santo speciale di Francesco), una tendenza a disconoscere il valore delle opposizioni e dell’esclusivismo necessari al cristianesimo, oltre ogni logica dell’et et, contraria agli aut aut. Ma queste mie convinzioni non sono un dissapore, semmai un gesto critico di interesse e di ammirazione per quest’opera insieme assurda e grandiosa, devota e scismatica, che tutti, ripeto, dovrebbero leggere per la sua serietà.
Giuliano Ferrara