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 2014  ottobre 03 Venerdì calendario

BROOM BROOM, FRIDAY FRIDAY

Un pomeriggio di tanti anni fa, ero ancora un bambino con dei capelli adeguati e sani, mi sono fatto prestare una bici fiammante da un mio amichetto. Era un regalo di compleanno, credo, una bella bici con le sospensioni (anche la mia le aveva, era gialla con le molle) che sembrava poter andare veloce in qualsiasi situazione. Era domenica e la piazza del mio paese era colma di gente, non ricordo perché – non credo fossero lì per la bici del mio amico anche se sembrava essere il centro dell’attenzione: perlomeno della mia. Ho chiesto al mio amico se potevo provare il mezzo, lui ha detto di sì, io ho ringraziato, fatto qualche decina di metri e inchiodato con il freno anteriore catapultandomi così in avanti, sul suolo. Di faccia. Davanti a centinaia di estranei. Mi sono rialzato. Avevo qualche graffio e perdevo un po’ di sangue ma la vergogna mi aveva dopato: ho ripreso la bici e l’ho riportata al mio amico. Mi guardavano tutti. Io facevo il duro che non si era fatto malissimo e non stava assolutamente per piangere, “no per carità”, e cercavo di dimenticarmi di quanto le abrasioni da cemento sulla molle carne di uno studente delle medie siano dolorose e punitive. Sono andato a casa. Perdevo sangue, ero Rambo. Non mi sentivo più tanto a mio agio nel mondo.

“E fu così che nacque Pietro Minto” direbbe a questo punto la voce fuori campo se questo fosse un film.

Sono passati tanti anni e immagino che tutti i presenti a quella scena si siano dimenticati della mia piroetta, eppure la vergogna e l’imbarazzo di quei momenti mi assale ogniqualvolta il mio pensiero corre a quel volo d’angelo idiota. E allora, direte, perché parlarne online sul prestigioso sito L’Ultimo Uomo? Perché spalmare internet del mio imbarazzo, come a ridare vita a uno shock infantile? Perché non importa. Voi non eravate presenti all’accaduto e io potrei essermi inventato tutto (no). Non esistono testimonianze perché eravamo nei ruggenti anni Novanta e l’umanità doveva ancora trasformarsi in una specie animale che legge notifiche e riprende attimo per attimo la sua vita. Quella figura di merda colossale è evaporata così al sole, scomparendo dalle cronache locali e iperlocali. Me la ricordo solo io.

Quel detto latino, Errare humanum est, è allo stesso tempo monito e consolazione: sbagliamo tutti e sbaglieremo sempre. Ogni esistenza umana si erge su un solido colonnato di Figure Di Merda che usiamo per costruirci una vita felice e – si spera – scevra di vergogne. Oggi però è tutto più difficile per i motivi accennati poco sopra: tutti i nostri simili sono diventati registratori di audio e video, Facebook e Whatsapp si alimentano di Figure Di Merda da condividere e lo sghignazzo collettivo è più che mai sadico e bullo. I server di YouTube sono oberati da clip in cui ragazzini idioti come il sottoscritto vengono trascinati nella fossa dell’imbarazzo sotto l’occhio vigile di uno smartphone. In un qualche universo parallelo quindi il mio tonfo è stato forse ripreso e trasformato in una piccola hit dal titolo “Un bambino fa il mona in bici, cade e fa finta di niente”. Perciò, in quanto baciato dalla fortuna di un’adolescenza non così avanzata tecnologicamente, non posso che osservare preoccupato il dilagare di ingenue Figure Di Merda (d’ora in poi FDM) con cui Zuckerberg e i suoi hanno costruito il loro mondo. La FDM è un elemento base nella tavola degli elementi digitale: qui è assurta a una tale importanza da aver trovato una nuova forma e un nuovo nome, epic fail, a suggerire lo scarto tra la FDM base e quella new. Quest’ultima è epica (ha quindi più a che fare con le gesta di Achille che con le azioni di qualche imbranato) e ha accesso a un pubblico sterminato. Eterna e immanente, è uno dei mostri sociali della nostra epoca. Prendete un qualsiasi film ambientato in una high school americana. Prendete il personaggio sfigatino e indeciso che vuole fare colpo sulla Biondona Esagerata. Guardatelo cadere a terra davanti ai di lei occhi, mentre l’intera scuola lo sfotte. Questa è la FDM classica, ed è già dura. L’epic fail è simile solo che a ridere di te c’è il pianeta intero. Per sempre.

Primissimi giorni del 2011, un giovedì sera. L’ex modello Patrice Wilson sta lavorando a un nuovo brano. È il suo lavoro: ha fondato Ark Music Factory, un’agenzia di consulenza musicale con sede a Los Angeles, e ha dei nuovi clienti, la signora e il signor Black, una coppia californiana con una figlia tredicenne che vuole fare la cantante. (Non è dato sapere quanto i Black abbiano influito con le loro velleità sul coinvolgimento della pargola, tuttavia temiamo la risposta sia “molto”.) Wilson è stanco e confuso: cosa dovrebbe cantare una bambina di 13 anni? Cosa ne sa del mondo una bambina? Affranto, tenta e ritenta versi finché non si accorge che la mezzanotte è passata e tecnicamente è sabato. Come racconterà qualche mese dopo ad Adrian Chen di Gawker, a quel punto ha una sorta d’epifania: «I’ve been up a long time and it’s Friday. [...] I was like, wow, it is Friday».

Grazie alla collaborazione con il rapper Patrice Thomas nasce “Friday”, una canzoncina zuccherosa pronta ad infiammare le illusioni di una bambina e consacrare le misere pulsioni dei suoi genitori.

In pieno stile Sliding Doors, lasciamo da parte lo scenario fatato in cui la giovane Rebecca riesce a diventare “la risposta femminile a Justin Bieber” e concentriamoci sulla più succosa realtà: il 10 febbraio 2011 il video di “Friday” viene caricato su YouTube e lì rimane indisturbato per un mese, fino a quando il comico statunitense Michael J. Nelson lo scopre e scrive un tweet in cui lo definisce “il peggior video mai realizzato”.

Seguono i retweet, tra cui quello del comico Daniel Tosh. Condizioni meteo locali: una perturbazione di merda si alza dall’Atlantico e si dirige verso un enorme ventilatore posto di fronte alla tredicenne.

A questo punto la giovane Rebecca Black, che non sospetta nulla, è pronta a diventare una “star”. Non il genere di star che i suoi genitori immaginavano, quanto uno dei buchi neri supermassicci che di tanto in tanto risucchiano odio online. Meno Justin Bieber e più scudo umano, diciamo.

Quando il 16 giugno 2011 il video viene cancellato da YouTube è già troppo tardi: Rebecca Black è diventata l’incarnazione di ciò che non va nel mondo e nella pop music; la sua naïveté è sotterrata sotto tonnellate di commenti, minacce di morte, offese, ilari incitamenti al suicidio, e altra bile condensata in 167 milioni di visualizzazioni e più di tre milioni di voti negativi al video. Il tonfo è maestoso, la piazza del paese strapiena e Rebecca Black è una ragazzina fi-ni-ta. Come spesso succede alle Vittime Della Rete, la giovane Black non sopravvive all’evento mantenendo la forma umana e diventa meme, un oggettino culturale senza organi e sentimenti, da editare, remixare e di cui abusare: su The Awl, Dana Vachon interpreta il video come fosse un documento marxista, si diffondono notizie sulle vicende della giovane, costretta a cambiare scuola e città per sfuggire ai lulz generali (la distanza tra lulz e linciaggio è, vi stupirà, piuttosto breve). Perfino le comparse del video diventano “virali”, come sfiorate dal cugino povero di Re Mida.

Solo Charlie Brooker, comico inglese e noto hater, anzi l’odiatore per eccellenza, dimostra di avere misericordia per la ragazzina, quando su 10 o’ clock Live (bellissimo show inglese con David Mitchell, Jimmy Carr e Lauren Laverne) sposta il focus da Rebecca al vero problema: il pubblico, gli altri, noi, che tanto amiamo odiare minorenni.

Il formato video è potentissimo: veloce e gratuito, è il vero Sacro Graal della nuova Era dei Contenuti. Non è un caso che negli ultimi mesi Facebook abbia abbracciato l’immagine in movimento prima riempiendo di clip le nostre bacheche, poi rendendo la controllata Instagram in grado di registrare filmati dai toni vintage. Ma l’innovazione video più interessante degli ultimi anni è di sicuro Vine: la creatura di Twitter è un servizio che permette di filmare, editare e postare loop video di sei secondi. In pochi mesi Vine ha costruito una solida base d’utenti, perlopiù giovanissimi, e un’eccellenza artistica con una serie di utenti che hanno per primi capito l’anima del format, attirando milioni di curiosi. Se YouTube ha avuto Ze Frank e John Green, Vine ha un bizzarro set di artisti in grado di far ridere e impressionare in un istante. Allo stesso modo però, se YouTube ha incoronato Rebecca Black come feticcio dell’epic fail e valvola di sfogo di un’intera comunità, anche Vine ha trovato la sua inesauribile fonte di imbarazzo in una ragazzina: si chiama Tish Simmonds, ha 18 anni e viene da Skelmanthorpe, un paesino dello Yorkshire.

La sua storia comincia quest’estate, a fine luglio, quando Simmonds posta un loop trainato da un’ingenuità pura a cui non siamo più abituati.

Per meglio comprendere la profondità del documento e del suo mistero, eccone la versione teatrale:
TISH: (alla guida di una macchina ferma) I’m in my mum’s car. (fa il verso dell’auto) Broom broom.
MAMMA: (severa) Get out me car!
TISH: (delusa) Aww.

In una settimana il video conquista la viralità e con essa il primo post su BuzzFeed, diventando in poco tempo “il meme dell’estate”: “in my mums car” è una notevole stramberia, un epic fail che ha finito per riscrivere le regole del genere, percorrendo la parabola fama-sfortuna in un lasso di tempo irrisorio in confronto al caso di Rebecca Black. E trovando alla fine del percorso un barlume di speranza. Ma non divaghiamo: l’inizio dell’epic fail è, come vuole la tradizione, selvaggio: moltissimi like, milioni di visualizzazioni e l’attesa salva di parodie.

Arriva anche tanto odio anonimo che spinge Tish ad appendere il Vine al chiodo, notizia che affida a Twitter, dove confessa di non “capire l’odio” ricevuto, domandandosi perché le persone a cui non piacciono i suoi video continuino a guardarli. È un interrogativo molto interessante e quanto mai importante, quel tipo di domanda che ci si chiede quando si vive in una meravigliosa bolla di fiducia nell’umanità: Tish è una splendida creatura che non guarda né giudica ciò che non apprezza: fa quasi parte del Circolo delle Grandi Personalità Pure (Gesù, Gandhi) e forse per questo ha così tanti nemici.

A questo punto però la vicenda prende una strada diversa dal solito: i media si interessano alla vicenda, il Daily Mirror e la Bbc pubblicano storie sull’astro nascente del fail e lentamente il coro di hater si placa. Il mondo sembra capire Tish Simmonds, la quale rivendica con insistenza la natura non comica del suo Vine. L’emergenza rientra e la 18enne, dopo essersi fatta meme, riesce a tornare umana tramite un doloroso calvario artistico: riconoscere la natura orribile del suo lavoro davanti alla platea che la voleva morta. È una mossa che toccherà anche a Rebecca Black (ci arriviamo), una procedura lenta ma dal risultato assicurato. Tish comincia a pubblicare le tante parodie sul suo lavoro, endorsando così il proprio sfottò e ritrovando la forza di sfornare altro materiale, sempre scosso da un fervido humor che non sembra esistere sul nostro pianeta.

Viviamo in un tempo avido di meta. Tish Simmonds lo sa. Lei sembra sapere tutto. Attualmente nella sua bio su Vine c’è un contatto mail dedicato al “business” per coloro fossero interessati a reclutarla per qualche pubblicità. Vuol forse dire che la giovane ha capito come sfruttare economicamente se stessa? No, vuol dire che ha capito come sfruttare noi e il nostro odio. Ha vinto lei insomma. Vroom vroom.

Persino la fosca vicenda di Rebecca Black ha incontrato recentemente il lieto fine. È successo a inizio 2013, quando con una geniale mossa di marketing è rientrata nella grotta dell’orrore di YouTube caricando sul sito un video in cui riguarda sconvolta la famigerata clip di “Friday”. A circa due anni di distanza dal suo linciaggio, Rebecca appare cambiata, matura, quasi simpatica.

Sconvolta dall’imbarazzo, la “nuova” Rebecca Black diventa una di noi mentre sembra quasi odiare l’ingenua ragazzina che credeva davvero di poter diventare una star. È una sessione dall’analista osservabile da tutti, uno spartiacque che svela definitivamente la sua condizione di vittima – della società, dei suoi genitori, della Ark Music Factory, di tutti noi. E di se stessa. Ora che l’ha capito – e ha reso pubblica la sua conversione al partito anti-Rebecca Black – può essere accettata dal branco. Non è più una ragazzina o un meme: ora è libera di odiare.

Oh, dimenticavo: Rebecca ha ripreso la carriera da cantante. Vuol forse dire che ha capito come sfruttare economicamente se stessa? No, vuol dire che ha capito come sfruttare noi e il nostro odio. Rebecca Black ha vinto. Voi invece come state?