Massimo Bubola, Corriere della Sera 3/10/2014, 3 ottobre 2014
MARIA CHE ALLA DECIMA BARA SCELSE IL MILITE IGNOTO
La mamma di un irredentista e la nascita del soldato-simbolo raccontati da un cantautore M aria Bergamas, 54 anni, nata a Gradisca d’Isonzo, allora sotto l’Impero Austro-Ungarico, era lì di fronte all’altare della Basilica di Aquileia, il 28 ottobre del 1921. Dietro aveva le autorità militari e civili, tanti soldati e molti reduci. Fuori una folla di uomini e donne giunti da tutto il Veneto, aspettava davanti alla chiesa. Maria sfilò lentamente davanti a quegli undici feretri di soldati senza nome, ragazzi morti senza una croce. Maria come un fantasma col capo chino coperto da un velo nero doveva sceglierne uno, come le era stato richiesto dalla commissione parlamentare.
Maria doveva decidere quale di questi giovani caduti sarebbe andato a Roma sull’Altare della Patria e lì tumulato come simbolo di tutti i soldati sconosciuti, morti nella Grande guerra. Maria fu scelta, perché madre di Antonio, partito al fronte come volontario, che disertò dall’esercito austriaco per arruolarsi in quello italiano e morire, poco dopo nel giugno del ’16, senza che il corpo venisse mai ritrovato, in quel gigantesco mattatoio che fu il Monte Cimone, una spina tra il Pasubio e l’altopiano d’Asiago, la Gibilterra d’Italia.
Maria in uno stato di trance, passò quasi barcollando vicino alla prima bara e s’allungò a guardarla come se volesse riconoscere il ragazzo che là dormiva. Sulla seconda bara ebbe uno scarto come se le ginocchia le cedessero; s’appoggiò con entrambe le mani e stese sopra la cassa il suo velo nero: una coperta contro la notte. Alla terza bara si avvicinò e fece due passi, poi si abbassò ancora un poco per seguire le parole che stava sussurrando quel povero figliolo caduto.
Sulla quarta bara ebbe un mancamento e fu sorretta da un ufficiale decorato. Passò la quinta, la sesta e la settima sorretta e quasi trascinata seguendole di profilo. Sull’ottava allungò avanti i gomiti e si fece il segno della croce baciando l’indice destro. Sulla nona posò quel minuto mazzo di fiori che le era stato donato da una contadina sul sagrato della chiesa. Quando arrivò alla decima cominciò a chiamare il nome del figlio – Antonio, Antonio, il mio Antonio! – con un mugolio che si trasformò man mano in un grido. Si gettò sulla bara e continuò a ripetere quel nome, ma piano, come una ninna nanna. Fu questa la raffigurazione di una nuova Pietà di Maria col figlio sulle ginocchia.
Il feretro venne prelevato il mattino seguente, venne trasportato alla stazione ferroviaria di Aquileia, accompagnato da due ali di folla e da lì poi proseguì in treno per Udine e poi Venezia, Padova, Bologna e infine Firenze e Roma.
L’Italia non conobbe mai una manifestazione di concordia così vasta e unanime e una partecipazione popolare come quella che seguì lungo quegli ottocento chilometri di rotaie, il feretro che viaggiava lento lungo le campagne e attraverso le città. Tutti gettavano fiori, ciocche di capelli, lettere. Tutti avevano un saluto e un arrivederci per quel soldato caduto e ora non più sconosciuto, perché era il ragazzo, il figlio e il fratello di tutti .