Valerio Cappelli, Corriere della Sera 3/10/2014, 3 ottobre 2014
EFFETTO MUTI ALL’OPERA DI ROMA LICENZIATI IL CORO E L’ORCHESTRA
ROMA Tutti a casa. Un licenziamento collettivo. Il Teatro dell’Opera di Roma è ingestibile, il sindaco Ignazio Marino e il sovrintendente Carlo Fuortes danno il benservito a orchestra e coro: dal primo gennaio 2015 saranno (con un termine brutto ma non evitabile) esternalizzate.
«Muore il musicista-impiegato, le masse artistiche si responsabilizzano», dice Fuortes. Si pagano a prestazione (o a progetto), non faranno più sciopero, perché a quel punto lo sciopero sarebbe contro il loro interesse. «Il licenziamento è una decisione dura e sofferta — dicono Marino e Fuortes —, ci rendiamo conto che quello che pronunciamo è un percorso mai stato eseguito prima in Italia. L’alternativa un rattoppo o la chiusura del teatro. Puntiamo alla rinascita». La decisione arriva dopo quasi tre ore di Consiglio di amministrazione. Atmosfera surreale, davanti al Campidoglio la protesta delle farmacie comunali dismesse, non c’è traccia della Cgil che ha paralizzato l’Opera, ma poi dice: «È un atto scellerato». Ci sono invece i «cugini» sindacalisti di Santa Cecilia. Usando lo «sciopero selvaggio» e abbandonati dalla sponda del Pd già prima dell’avvento di Renzi, i «ribelli» hanno provocato «il danno d’immagine e economico» e l’addio di Riccardo Muti. Le buste paga dei 92 orchestrali e dei 90 coristi sono garantite fino a Natale: il licenziamento riguarda 182 dipendenti su 460.
L’ Aida prevista il 27 novembre per inaugurare la stagione non è stata cancellata. E «se ci saranno le condizioni», chiarisce il sindaco, si potrebbe salvare. Ma bisogna trovare il sostituto di Muti. Oggi si avvia la procedura che, secondo la legge 223 del 1991, dura al massimo 75 giorni: i primi 45 per «la trattativa», gli altri 30 per completare la questione sui tavoli istituzionali. Il ministro Franceschini ritiene la decisione «dolorosa ma necessaria», inedita in Italia. Il primo a parlare di «esternalizzazione» fu l’ex sovrintendente di Bologna Marco Tutino. È un modello che in Europa è stato adottato ad Amsterdam, Valencia e al Teatro Real di Madrid, e in realtà non analoghe a una Fondazione lirica come il Théâtre du Châtelet a Parigi e il Theater an der Wien a Vienna. La protesta sindacale degli ultimi mesi ha allargato di ulteriori 4 milioni e 200 mila euro, il «buco» di 28 milioni 800 mila euro causato dalla passata gestione: ora vi si deve far fronte, pena l’uscita dalla legge Bray, che assicurerà all’Opera 25 milioni.
Gli sponsor si sono «volatilizzati», la biglietteria è in flessione, gli scioperi a Caracalla hanno portato in cassa 700 mila euro in meno. Il costo annuo delle masse artistiche a Roma è di 12 milioni 500 mila euro. Azzerato il contratto integrativo, in futuro orchestra e coro a Roma saranno organismi flessibili e meno costosi, viene meno il concetto di contratto a tempo indeterminato o determinato. Il teatro (che continuerà a decidere titoli, direttori e solisti) non farà una selezione dei singoli musicisti, ma valuterà l’orchestra e il coro, che si presenteranno dopo essersi formati in associazione giuridica. Il teatro valuterà e comprerà un servizio orchestrale: è come se fosse un’orchestra ospite, solo che è sempre la stessa. «Le orchestre devono rappresentare l’eccellenza, è come per gli Azzurri: la maglia te la devi meritare», dice Fuortes, che parla al plurale: a Roma il progetto pilota per tutta Italia, visto che otto teatri su tredici sono indebitati?
«Alla base della nostra idea — dice Fuortes — c’è il superamento di norme che vanno scardinate. I contratti integrativi, per come sono stati costruiti, sono un freno alla qualità e allo sviluppo dei teatri». Il riferimento è alle mille indennità, vestizione, umidità, trasferte, che a Roma arrivano alla loro massima espressione; per Caracalla soldi a tutti i dipendenti, anche a chi non lavora: il famigerato gettone di assenza.