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 2014  ottobre 03 Venerdì calendario

IL PECCATO ORIGINALE DEL COMMISSARIO INPS

Tiziano Treu è una delle massime autorità in materia previdenziale e di mercato del lavoro. È stato ministro, appunto del Lavoro, tanto nel governo di Lamberto Dini al tempo della riforma delle pensioni quanto in quello di Romano Prodi al tempo del pacchetto di norme, battezzato con il suo nome, che contribuì a una forte crescita dell’occupazione. Parlamentare del centrosinistra per 17 anni, nel 2013 ha lasciato il Senato ed è stato subito nominato consigliere dell’inutilissimo Cnel. Prima di ricevere dal governo di Matteo Renzi l’incarico di commissario dell’Inps.
Decisione piuttosto contrastante con i propositi di rottamazione più volte espressi dal premier anche rispetto a certi metodi di selezione della classe dirigente. Quelli per cui i posti di vertice di enti e società pubbliche venivano in passato utilizzati per sistemare politici rimasti senza seggio. Spesso indipendentemente dalle attitudini.
Non è questo il caso: la competenza e lo spessore di Treu, come abbiamo già spiegato, sono fuori discussione. Ma che Renzi abbia dovuto fare ricorso a un signore di 75 anni, pur espertissimo, per un ruolo operativo (e sottolineiamo operativo) come quello di commissario dell’Inps non può non farci riflettere. Perché delle due l’una. O il panorama dei nostri manager è così scarso di alternative meno anagraficamente mature, e allora c’è seriamente da preoccuparsi, oppure in quella scelta hanno pesato anche altre considerazioni oltre a quelle strettamente tecniche.
L’autorevolezza e l’onestà, non c’è dubbio: a Treu non difettano. Ma la sua lunga storia professionale e accademica è stata pure costantemente caratterizzata, come egli stesso precisa nel curriculum pubblicato nel sito Internet ufficiale del Cnel, da «una stretta collaborazione con il sindacato, in particolare la Cisl».
Un dettaglio importante. Perché sta a significare che a dispetto delle bellicose dichiarazioni di Renzi nei confronti dei privilegi e del potere del sindacato, non risulta intaccata l’influenza che hanno sempre esercitato sull’Istituto di previdenza le organizzazioni sindacali. Cisl compresa, ovviamente. Dei 48 dirigenti generali dell’Istituto una trentina almeno sono iscritti al sindacato cattolico o ne sono diretta emanazione. A partire dall’attuale direttore generale Mauro Nori, ex rugbista, già braccio destro del presidente del consiglio di indirizzo e vigilanza, l’ex segretario confederale cislino Aldo Smolizza.
Si potrà dire che nella storia dell’Inps non è comunque una novità, se si pensa che alla presidenza dell’istituto, in passato, era arrivato addirittura un segretario confederale della Cgil nella persona di Giacinto Militello. E che pure il predecessore di Treu, Antonio Mastrapasqua, ha avuto l’investitura con l’esplicito gradimento della Cisl. Ma l’affinità fra l’attuale commissario e il sindacato lo espone inevitabilmente a polemiche quale quella innescata dalla trasmissione televisiva Le Iene , che ha ricordato come Treu sia stato l’autore di una norma attuativa della riforma Dini con la quale si sono garantite ai sindacalisti distaccati pensioni pagate prevalentemente con i contributi figurativi: dunque in gran parte a carico della collettività.
Di questo meccanismo, al pari della famosa legge Mosca che sulla base di semplici dichiarazioni ha consentito a politici e sindacalisti la ricostruzione di formidabili carriere previdenziali, ne hanno beneficiato in migliaia. Non senza abusi oggi ancor più intollerabili, hanno ammesso perfino gli stessi vertici dei sindacati. Quale migliore occasione, allora, per mettere mano a una revisione radicale di regole inique e anacronistiche? Sappiamo che per farlo serve una legge. Ma sappiamo pure che il commissario dell’Inps ha il peso per chiederla e ottenerla.