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 2014  ottobre 03 Venerdì calendario

IL VOLTO DI PALLADIO COME VERAMENTE ERA RUBATO DALLA VILLA

DALLA NOSTRA INVIATA VICENZA Il vuoto lasciato ieri mattina da Andrea Palladio sulla parete della Foresteria centrale di Villa Valmarana, a Vicenza, è addirittura più doloroso di quello che lasciò nel cuore dei vicentini morendo, 434 anni fa, senza suscitare grandi emozioni né meritare grandi cerimonie in città. Perché quel quadro, di incerta provenienza e ancor più discussa datazione, è l’unico, perciò il più importante e prezioso, ritratto dell’impareggiabile architetto veneto. Insostituibile. Inestimabile.
I ladri hanno agito con sconcertante sfrontatezza, poco prima delle 9 del mattino, mentre i padroni di casa erano già svegli e in movimento dentro la villa; il custode, Fiodor, aveva staccato gli allarmi e stava rimuovendo i sacchi dell’immondizia, prima che si aprisse come ogni mattina al pubblico il meraviglioso complesso settecentesco, formato dalla Palazzina decorata da Giambattista e Gian Domenico Tiepolo, e dalla Foresteria, affacciata sulla «Valletta del silenzio», celebrata da Antonio Fogazzaro che qui vi ambientò il suo «Piccolo Mondo moderno».
Alle 8.35 quando la contessa Carolina Valmarana ha attraversato la foresteria, Andrea Palladio stava ancora sorvegliando dalla sua parete la porta d’ingresso, stranamente socchiusa. La discendente di Leonardo Valmarana, mecenate dell’architetto, ha spinto il battente per richiuderla e si è allontanata. Alle 9, la porta era spalancata; il custode Fiodor ha notato sul pavimento quello che gli sembrava un’inopportuna «dimenticanza» dei labrador del proprietario ma che, a un più attento esame, si è rivelato essere un pezzetto di legno scuro. Peggio, un pezzo di cornice: Fiodor ha alzato gli occhi verso il ritratto del Palladio e ha visto solo il muro. Nudo.
A Carolina Valmarana non importa se quel ritratto uscì realmente dal pennello di Giovanni Battista Maganza contemporaneo del Palladio. O se fu la libera interpretazione di un ricopione ottocentesco, come sospetta Guido Beltramini, direttore del Centro studi su Palladio di Vicenza: «La tecnica pittorica non è quella cinquecentesca e quel tipo di compasso, in acciaio e ottone, fra le sue dita, non esisteva prima del ‘700».
Ma per Carolina il ratto di un «membro della famiglia» è anche uno schiaffo alla disponibilità dei Valmarana, sei cugini riuniti in una srl, che tengono aperta al pubblico la proprietà, tramandata di generazione in generazione dal 1720: «Con il quadro non abbiamo perso soldi — considera Carolina Valmarana — perché tanto non l’avremmo mai venduto. È la villa che si è impoverita. Chiunque abbia voluto per sé quel ritratto potrà soltanto contemplarselo in solitudine, perché non è commerciabile, mentre qui era fruibile da tutti». Certo, molti dei 25 mila visitatori che ogni anno s’incantano davanti alle dieci stanze affrescate dai Tiepolo, a metà del ‘700, forse non noteranno l’assenza di Andrea Palladio. Ma Vicenza ha perso il volto della sua «archistar». «La reliquia principale — riconosce Beltramini —. Già fu abbastanza traumatizzante per la città scoprire, nell’800, che non era nato qui ma a Padova. Si ripiegò sulla sua sepoltura. E quando si rinvenne, nella chiesa di Santa Corona, un sepolcro che portava uno stemma simile al suo sigillo, si stabilì che era la sua tomba. Dei 18 teschi umani che conteneva fu prescelto il più grosso dall’ampia fronte degna del genio».