L. Off, Corriere della Sera 3/10/2014, 3 ottobre 2014
VETI INCROCIATI E MINACCE DI VENDETTE A BRUXELLES CAOS SULLA COMMISSIONE
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES Un gioioso caos avvolge le audizioni dei nuovi commissari europei davanti all’Europarlamento: ne rimarrà qualcuno in piedi, immune dalla guerriglia incrociata fra i governi? Nelle ultime 48 ore, ben 5 candidati non hanno passato il vaglio del botta-e-risposta senza rete davanti alle varie commissioni parlamentari, che però hanno concesso a tutti una «seconda prova», e questa volta con la rete: cioè una manciata di domande scritte su cui rispondere senz’ansia nella prossima settimana. Quello che accade, lo vedono tutti: centrosinistra e centrodestra, e dietro di loro Francia, Germania, Gran Bretagna e altri Paesi si danno battaglia per interposta persona, divisi a spanne fra coloro che ancora sostengono l’«austerity» alla tedesca e coloro che la contestano. Così Pierre Moscovici, socialista francese, candidato commissario agli Affari economici e finanziari, notoriamente non appassionato dei mastini che azzannano i deficit eccessivi, promette solennemente: «Farò rispettare a tutti, anche a Italia e Francia, le regole Ue». Ma poi viene grigliato per 3 ore e «rimandato» da cecchini annidati in tutto il centrodestra, e non solo. Operazione, dicono i maligni di Bruxelles, condotta con possibile regia tedesca.
Non c’erano invece solo i tedeschi, ma probabilmente diversi altri governi, dietro l’alt provvisorio imposto allo spagnolo di centrodestra Miguel Arias Cañete, designato commissario al Clima e all’energia: già azionista di grosse imprese petrolifere, e dunque in odor di conflitto d’interessi, ha rassicurato tutti spiegando di aver appena ceduto quelle azioni; ma poi ha dovuto ammettere di averle cedute fra gli altri alla moglie, al figlio, a un cognato. Perché «un cognato non è un familiare diretto». Infilzato Cañete, il partito popolare cui fa riferimento avrà chiamato altri alla rappresaglia, come riferito più sopra a proposito dell’«imboscata» a Pierre Moscovici: prese di ostaggi, memorie del Far West. Tutto ciò, proprio mentre Mario Draghi lancia l’ennesimo allarme — senza riforme non ci sarà vera crescita — e José Manuel Barroso, presidente della Commissione uscente, chiede ai governi 4,7 miliardi in più per rianimare il bilancio dell’Europa.
Più o meno nelle stesse ore François Hollande, per primo, e Matteo Renzi con David Cameron, subito dopo, inviano ad Angela Merkel il preavviso di divorzio causa austerità, con tanto di «non siamo studenti», vale a dire «non vogliamo maestrine». Il nesso Londra-Bruxelles non è certo così diretto, ma certe atmosfere sono contagiose. Per esempio Jonathan Hill, britannico che ha sempre scorrazzato alla grande sui mercati della City, e a cui ora Bruxelles vorrebbe affidare i mercati d’Europa, viene bollato come «evasivo» dagli eurodeputati di vari gruppi, e rimandato anche lui: per Cameron, un nuovo schiaffo (fra i poteri dello stesso Hill erano già stati sforbiciati dal presidente della Commissione Jean Claude Juncker). Rimandato anche Tibor Navracsics, ungherese candidato alla Cultura, criticato per certe riforme che nel suo Paese parlavano molto di giornalisti, moltissimo di pensioni e ferie dei magistrati, e un po’ meno di libertà dell’informazione.
È andata poi maluccio a Vera Jurova, ceca, candidata alla Giustizia, leader in patria del partito Ano («Azione dei cittadini scontenti») e consegnata anche lei alla probabile resurrezione garantita da qualche domanda scritta. Nella prossima settimana. Fra tutti i candidati, forse solo la bulgara Kristalina Georgieva, candidata commissaria al Bilancio, non si è attirata tempeste sul capo e anzi ha regalato agli eurodeputati qualche analisi disincantata, come questa: «Oggi come oggi, ci sono un sacco di soldi che dormono nelle banche». Alla fine della giornata, resta il commento di Juncker: «Sono soddisfatto, anche di Miguel Arias Cañete».