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 2014  ottobre 03 Venerdì calendario

E MARINO ALL’OPERA LICENZIA L’ORCHESTRA CHE HA SCHIFATO MUTI

Licenziamento collettivo per coro e orchestra, ma 280 tecnici e amministrativi restano inspiegabilmente al proprio questo. È questa la soluzione trovata ieri pomeriggio dal consiglio di amministrazione del teatro dell’Opera di Roma che, dopo gli scioperi che hanno portato all’addio del direttore musicale Riccardo Muti, «mancano le condizioni di serenità», ha deciso di fare tabula rasa. «È un passaggio doloroso ma necessario per salvare l’Opera di Roma e ripartire», ha spiegato il ministro dei Beni e delle Attività culturali, Dario Franceschini, motivando le scelte del cda. Il procedimento coinvolgerà «182 unità di personale su 460, non riguarda gli altri 278», ha precisato il sindaco di Roma, Ignazio Marino, motivando l’ennesima sforbiciata. Un percorso, quello dell’ex teatro Costanzi, mai visto in Italia. In modello non è nuovo. «In Spagna ad esempio», ha detto il sovrintendente del Teatro dell’Opera, Carlo Fuortes, «a Madrid e Valencia, ci sono cori e orchestra esterni, così come a Parigi, Amsterdam e Vienna». La decisione, hanno detto, è stata presa «per ragioni di spending review». Coro e orchestra costano 12 milioni e mezzo di euro all’anno, esternalizzando il servizio il risparmio previsto è di 3,4 milioni. La procedura di licenziamento parte da oggi. Quarantacinque giorni per le trattative sindacali e i trenta successivi per le trattative ai tavoli istituzionali poi si procederà ai licenziamenti collettivi. «Non c’è stata alcuna intenzione ritorsiva nei confronti dei sindacati», ha chiarito Fuortes, aggiungendo che «i contratti integrativi sono un freno ai teatri lirici italiani». I sindacati non ci stanno però, «siamo pronti ad intraprendere tutti i tipi di iniziative», annuncia il segretario generale della Slc-Cgil di Roma e Lazio, Alberto Manzini. Non solo secondo il sindacalista «ora l’abbandono di Muti è chiaro, si guardava bene dal dirigere un’orchestra affidata a una cooperativa esterna e non quella di un teatro stabile». Ma come si è arrivati ad una scelta così radicale? Il piano di risanamento già a giugno era definito. La volontà di Fuortes era di apportare tagli per rientrare nella legge Bray che avrebbe dato un po’ di ossigeno alle casse del Teatro. A luglio il piano viene approvato con l’ok della maggioranza dei lavoratori ma iniziano gli scioperi selvaggi a Caracalla, fino all’addio di Muti. Al danno di immagine, «assolutamente disastroso», è seguito un calo vertiginoso degli abbonamenti. Il rifiuto di Muti di dirigere l’Aida e le Nozze di Figaro ha di fatto bloccato le vendite al botteghino. Come se non bastasse, sponsor come la Camera di Commercio di Roma «si sono volatilizzati», ha raccontato Fuortes. «Il buco sul bilancio futuro che si è così determinato è stato di 4,2 milioni di euro», ha aggiunto Fuortes, «Visti i precedenti tagli di 10 milioni era impossibile tagliare il bilancio della fondazione per oltre 14 milioni senza incidere sui costi del lavoro». Cosa c’è nel futuro del teatro dell’Opera? Probabile la ventilata fusione con il coro e l’orchestra di Santa Cecilia. «Qui non dobbiamo pensare all’articolo 18, stiamo parlando della Nazionale di calcio della musica», ha detto Fuortes, «e per stare nella Nazionale di calcio bisogna dimostrare di avere delle qualità». Quanto alla stagione in corso le decisioni non sono state ancora prese. Si cerca di salvare capre e cavoli. L’Aida prevista per il 27 novembre è ancora in piedi. «Ma se non si troverà un sostituto di Muti», ha detto Marino, «l’opera verdiana salta». Il successore potrebbe essere sir Antonio Pappano, che tre mesi dopo, dirigerà proprio l’Aida con l’Orchestra di Santa Cecilia. Forse è la volta buona affinché Roma abbia un teatro dell’Opera all’altezza della sua storia dopo anni di sprechi e incuria. Si parte da zero. Marino e i suoi non hanno più scuse.