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 2014  ottobre 03 Venerdì calendario

IL GIORNO DELL’ARRESTO BOSSETTI TENTÒ DI FUGGIRE

Siamo nel carcere di via Gleno, 6 agosto scorso, ore 10 e 25. Massimo Bossetti, per la terza volta (su cinque) risponde al pm Letizia Ruggeri. Il magistrato punta su una serie di incongruenze. Dice l’interrogante al presunto assassino: «Il 19 giugno, quando lei è stato sentito la prima volta ha dichiarato di non essersi preoccupato, di non avere temuto nulla, quando i carabinieri, 2 giorni prima, l’hanno fermata e sottoposta all’alcol test». Il muratore di Mapello conferma: «No! Non ero preoccupato di niente». E il pm: «Allora, mi scusi, perché ha avuto tanta paura quando sono venuti ad arrestarla?». Sono pochi istanti concitati: carabinieri e polizia entrano a decine nel cantiere di via Volta. Bossetti lavora al secondo piano del ponteggio. «Controlliamo se ci sono marocchini o lavoratori in nero!», dicono i militari. Il muratore, dall’alto, vede la scena. Si spaventa. Salta giù dall’impalcatura e cerca di scappare da un’uscita laterale. Gli agenti lo bloccano. E lo ammanettano. «Perché ha avuto così paura?», insiste il magistrato. «Ho visto carabinieri ovunque sul ponteggio, da sopra, da sotto. Ho avuto paura di essere portato via come uno spacciatore di droga», risponde lui. Ma come può Bossetti, si domanda l’accusa, sapere che le forze dell’ordine piombano a prendere proprio lui? A due giorni dal prelievo del Dna? Se lo aspettava? Perché perde il controllo e salta giù da due piani di impalcatura cercando una via di fuga? In quel cantiere ci sono altri operai, eppure lui è il solo a spaventarsi. Il magistrato, in carcere, passa al macigno sul quale poggia l’impianto accusatorio. Ossia la cosiddetta prova regina del Dna. Incalza il pm: «Il suo Dna è stato trovato sugli slip di Yara! Questo vuol dire che lei era lì!». Lui non nega che quello sia il suo profilo genetico. Non lo mette in dubbio. Semmai dice: «Non riesco a capire come il mio Dna possa essere finito su quel corpo. Dico la verità: non ho mai fatto male a nessuno». Il magistrato vuole sapere se abbia mai parlato «di questa cosa del Dna con sua madre?». E lui: «Sì, ne ho parlato quando le hanno chiesto di fare il prelievo salivare. E lei ha detto che stavano chiamando tutti». Nell’audizione emerge un altro particolare ora al vaglio dei carabinieri. Il 9 dicembre 2010, da una bolla di accompagnamento, risulta che Bossetti ha comprato un metro cubo di sabbia da destinare a Chignolo. Come lui stesso scrive sulla bolla di accompagnamento. «Dove ha portato quella sabbia? A cosa le serviva?», gli si chiede. E qui la versione data, verrebbe di nuovo smentita: «Era per mio cognato che ha un’attività a Bonate, sul confine con Chignolo». Bossetti giustifica così. E il furgone? «Lei puliva spesso il furgone?», chiede ancora il pm. «No, al massimo davo una spolveratina al cruscotto. Ma no, non lo aspiravo nemmeno», è la risposta. Eppure assicura il Ris, il furgone di Bossetti è risultato alle analisi incredibilmente pulito. «Perfino troppo per essere quello di un muratore», dice un investigatore. «Quando Yara sparisce ero al cantiere di Palazzago», dichiara il muratore di Mapello nel primo interrogatorio del 19 giugno. Due colleghi lo smentiscono: quel giorno Bossetti «non era proprio al lavoro». Allora lui, il 6 agosto si corregge in tutta fretta: «Mi sono sbagliato, quel giorno sono andato a prendere materiali edili». Ma erano le due e mezzo del pomeriggio, e il suo furgone viene inquadrato dalle telecamere a ridosso dela palestra di Brembate anche dopo le 18, proprio quando Yara esce da quel centro sportivo. Cosa ha fatto dalle due e mezzo fino a quell’ora Bossetti nei luoghi in cui c’era Yara? «Quel pomeriggio sono andato dal meccanico… è tutto verificabile, ci sono le fatture. Poi sono andato da mio fratello per alcuni lavoretti, in due edicole, dal falegname e dal commercialista». Il meccanico, interrogato, dichiara: «È venuto qui, sì, ma un mese prima come documenta una fattura». Il falegname dice: «Fosse passato dal negozio, me lo ricorderei». Il commercialista spiega: «Non credo sia venuto in studio il 26 novembre, la firma delle fatture era fissata a inizio mese o al massimo il 24. E lui, in genere, firmava entrambi i documenti nei primi giorni del mese. Per praticità». Il fratello, contesta il pm, «non ricorda tutti quei lavoretti». E incredulo, racconta: «Lo vedevo raramente. Non ricordo sia venuto da me a fare lavoretti». I due edicolanti non hanno memoria di Massimo Bossetti. Quel pomeriggio lontano.